Recenti fatti di cronaca ripropongono il tema del rapporto tra scuola pubblica e fonti di finanziamento private.
Certo, la scuola può fare in modo che la gestione dei soldi offerti da aziende e soggetti commerciali non leda la qualità degli apprendimenti, come prescrive la norma. Ci chiediamo, tuttavia, quanti istituti sappiano tutelare l'equità mantenendo il saldo controllo progettuale delle intromissioni del privato nelle loro reti di funzionamento.
Ci chiediamo, soprattutto, se sia giusto che la scuola pubblica non debba avere autonomia economica sufficiente per potere realizzare l'autonomia didattico-pedagogica e garantire una formazione equa e di livello pari in ogni parte d'Italia.
Un istituto comprensivo del Nord Italia ha proposto un'iniziativa a dir poco discutibile, facendo entrare nel tempo scuola una celebra industria dolciaria.
Isa Jori, "Difendiamo l’educazione dei bambini e delle bambine nella indipendenza della scuola pubblica dagli interessi commerciali".
Altra disinvoltura scandalosa appare quella dei produttori di un registro elettronico, che propone pubblicità di beni e servizi a chi lo usa.
Il quotidiano "La Stampa" dedica ampio spazio a questo caso, con un'intervista anche alla presidente Valentina Chinnici (articolo in allegato).
Il tema del rapporto tra scuola e soldi pubblici si è posto molte volte, recentemente ne abbiamo parlato a proposito del liceo del Made in Italy e della filiera tecnico-professionale, che silura studenti e studentesse nell"isola che non c'è" del mondo del lavoro, e fa accomodare in cattedra lavoratori del privato, naturalmente contrattualizzati.