Agosto 2020
Suscita molto rumore, cioè reazioni sui social anche se non sempre informate, la notizia che a Ostia un bambino autistico viene segnalato dalla vicina alla polizia municipale perché fa le bolle di sapone sul balcone di casa. La motivazione dell’esposto è il rischio di diffusione del contagio con l’evidente corollario che il bambino deve/dovrebbe stare chiuso in casa.
Novembre 2020
Suscita consenso, cioè reazioni positive nella stampa e tra gli opinionisti, ma anche tra gli operatori del settore, il progetto “A scuola di distanze”. Si tratta di un percorso di “Arteducazione outdoor”, che propone ai ragazzi il linguaggio del teatro, del rap, della breakdance e della scrittura creativa , fuori dalle aule di un istituto romano. Nel Rione Monti operatori di un’associazione del terzo settore portano la classe fuori dall’aula sul piazzale pedonale e i ragazzi, divisi in gruppi, si dedicano, a turno, a una forma espressiva diversa.
Dentro/fuori
La vicinanza geografica non è l’unico elemento in comune delle due storie. Il loro accostamento non è pretestuoso, ci induce invece a riflettere sull’opposizione chiuso/aperto, dentro/fuori.
Mentre la gestione sociale e politica della pandemia rinchiude i bambini e gli adolescenti in casa per tutte le attività ricreative, confinandoli nella solitudine o nella sola compagnia dei fratelli o magari proponendo la distanza perfino per un corso di pianoforte; la scuola, quand’anche venga tenuta aperta, rinuncia all’aula perfino per un’attività di scrittura.
La scrittura è un’attività complessa: siamo sicuri che, nel rispetto del distanziamento sociale, sedersi su un gradino, pur con lo sfondo del Colosseo, offra la postura migliore? La scrittura richiede riflessione e revisione, in contesto scolastico è interlocuzione con gli altri prima ancora che con se stessi, può entrare in una logica di distanziamento sociale?
Non si tratta di trasformare l’aula in un feticcio. Si può apprendere dappertutto, ma ciò che si impara a scuola, nell’aula, con i compagni e i docenti non si impara in nessun altro luogo. Ce lo ricorda Anita, la ragazza di Torino, che portando con i suoi compagni il suo banco fuori dal suo liceo, rivendica il diritto all’istruzione, cioè alla scuola, alla classe, comunità operosa di bambini o giovani studenti e adulti insegnanti.
I docenti sono ben consapevoli dei costi sociali e psicologici della mancanza di scuola, una reale ipoteca sul futuro.
Scrivere a scuola
Molti docenti sono anche consapevoli dei problemi che c'erano già prima del Covid, ora aggravati e difficilmente recuperabili nell'emergenza; in particolare i problemi dell’analfabetismo funzionale e del mancato superamento delle diseguaglianze di partenza.
Ma è pur vero che la scuola, in modo più o meno esplicito, mette in atto un curricolo di scrittura in ogni sua sede, comprenda esso la scrittura creativa o meno. Si potrebbero scrivere pagine sulle esperienze, sui riferimenti teorici e sui maestri che hanno guidato la costruzione delle progettazioni più sensate e significative (dalla scrittura collettiva della scuola di Barbiana alla Grammatica della fantasia di Gianni Rodari).
L’importante è ribadire che il curricolo è praticato e che gli insuccessi e i limiti nei risultati dell’azione didattica non possono essere compensati da attività aggiuntive né all’aperto né al chiuso. Imparare a scrivere, esplorando forme testuali, modelli, scopi, ecc. - come più in generale imparare – è un diritto, non può essere oggetto di un intervento assistenziale nemmeno se a sostegno di soggetti fragili o di situazioni di fragilità diffusa come la pandemia. Garantire il diritto all’istruzione è dovere istituzionale della scuola e non può essere delegato.
La scrittura – come ben sappiamo - è un processo complesso, si articola in diverse fasi (dalla pianificazione alla stesura alla revisione) e richiede silenzio, attenzione, concentrazione, ascolto dei pari e/o del docente. Non può essere caratterizzato da estemporaneità nemmeno quando il suo scopo sia giocare con la lingua o esprimere emozioni.
Nel primo caso le esperienze scolastiche di scrittura creativa sono tante e varie: dalle descrizioni soggettive alle scritture più prettamente ludiche come i «draghi locopei»; dalla riscrittura di testi letterari (parodie, variazioni di finali di storie, variazioni di punto di vista narrativo, trasposizioni dal narrativo allo scenico e viceversa ecc.) alla vera e propria scrittura di testi letterari (poetici, narrativi, teatrali). Ovviamente esperienze graduali – cioè curricolari – attente alle età e alle situazioni di partenza degli alunni.
Ma anche le esperienze di scrittura autobiografica o introspettiva - abbiano esse per oggetto emozioni o riflessioni o, in merito al tempo che viviamo, le preoccupazioni e i vissuti a cui siamo costretti dalla pandemia – richiedono silenzio, attenzione e concentrazione e, seppure possano avere limitati requisiti di pianificazione, richiedono ovviamente varietà lessicale e correttezza morfosintattica se non si vuole che siano la trascrizione semplice di un parlato spesso povero e stereotipato.
La pratica della scrittura creativa si è diffusa nelle scuole perché crea dimestichezza con la parola scritta e incoraggia la voglia di scrivere, pur essendo chiaro agli insegnanti che non può sostituire l’uso della scrittura come strumento del pensiero.
E’ compito della scuola proporre agli studenti diverse e frequenti occasioni di scrittura, intrecciare attività diverse, garantire a tutti la comprensione e la produzione di un testo scritto.
Scuola ed extrascuola
L’apertura ad associazioni che pongono al centro dei loro progetti la lotta alle povertà educative sembra in questi tempi la via maestra contro l’autoreferenzialità della scuola e il sostegno alle sue difficoltà.
Non riprendo quanto scritto dal direttore della rivista nel suo editoriale del 24 novembre: le sue argomentazioni sono chiare e pienamente condivisibili.
Vorrei solo precisare che sono pienamente convinta che la scuola debba uscire dalle aule, ma per le sue ragioni e con i suoi tempi. Mi sembra una precisazione ovvia e gli esempi di queste possibilità così banali che quasi mi vergogno a scriverli. Purtroppo credo che la scuola pubblica sia in questa situazione politica quasi costretta a giustificare se stessa in quanto istituzione con un mandato costituzionale.
Eppure anche in questo caso le esperienze sono tante e varie: dai viaggi d’istruzione alla visita a un museo, dall’incontro con un testimone alla partecipazione a un concorso. È ben diverso leggere le pagine di Shakespeare o vivere la magia di uno spettacolo teatrale, stare zitti nel silenzio di un cinema per farsi ammaliare dalle immagini o seguire un film con un audio vetusto dell’aula proiezioni di una scuola.
Ma non voglio eludere il tema del rapporto con le associazioni e penso che questo rapporto non debba vedere solo la dichiarazione scontata della centralità della scuola, ma debba porsi al servizio della scuola, partendo dalle esigenze e dalle eventuali richieste della scuola. Per spiegarmi meglio faccio un esempio a mio parere positivo.
Da anni la Commissione scuola dell’Anpi della mia città organizza un convegno rivolto agli studenti delle scuole superiori. Inizialmente il convegno si svolgeva secondo la solita formula (relazioni e dibattito) confermando la modalità trasmissiva che purtroppo caratterizza anche molte lezioni; negli ultimi anni la formula è stata cambiata: l’Anpi propone un tema – nel 2019 ad esempio era l’uguaglianza – affidato a un relatore e chiede ad alcune classi di contribuire con un loro intervento lasciando studenti e docenti liberi di approfondire l’aspetto verso cui emerge maggiore interesse e di scegliere le modalità della comunicazione. L’unico vincolo, oltre al tempo a disposizione, è la consegna preventiva dell’intervento degli studenti in modo che il relatore ufficiale possa interloquire concretamente con quanto elaborato dagli studenti. Non è difficile inserire temi così importanti in un curricolo delle discipline dell’ambito storico-sociale; sta alla progettazione del docente rendere coerente l’approfondimento con il suo piano di lavoro. La presentazione richiede inoltre una capacità comunicativa articolata anche attraverso l’uso di diversi linguaggi.
Mi sono dilungata nella descrizione dell’esempio perché mi è capitato di partecipare con la classe o di assistere diverse volte ed ho avuto, a mio parere, ripetutamente la prova che la scuola possa trovare le occasioni per interloquire con le associazioni, gli enti e le istituzioni, ma debba partecipare a quella rete di relazioni da protagonista non tanto da committente di un progetto né tanto meno da delegante. Ho avuto anche la prova che gli studenti, posti al centro del percorso e dell’attenzione, trovano ragioni e motivazioni per partecipare ad un discorso pubblico, superando percezioni di marginalità e di esclusione generazionale.