Lo scontro personalistico tra Ministero dell’Istruzione e alcune Regioni, tra cui la Campania, presentato come una sorta di sfida tra titani, nasconde, ai non addetti ai lavori, che gli attori coinvolti dal processo di dimensionamento non sono due, ma almeno tre: primi, gli enti locali (i Comuni per il I ciclo, Province e città metropolitana per il secondo) a cui spetterebbe la realizzazione di una rete scolastica di prossimità e a cui il legislatore affida, non a caso, la competenza di definirla in base ai bisogni dei cittadini, seppur nei limiti imposti delle Linee delle Regioni, le quali a loro volta agiscono in osservanza delle indicazioni del Ministero.
Ne discende che, se l’attuale Governo ha deciso di tagliare le autonomie elevando il limite numerico di alunni per ciascuna istituzione scolastica da 600 a 900, il provvedimento finirà per incidere in primis sulla carne viva dei territori: il tentativo, finora fallito, della Campania o della Puglia di ricorrere contro di esso è stato uno dei modi, ma non sarebbe l’unico, per contrastare le conseguenze nefaste della decisione, che ricadono e ricadranno non sul governo nè sulle regioni, ma interamente sulle scuole e sui cittadini e le cittadine.
Ed è sulla gravità di queste conseguenze che urge modificare la narrazione, piena di ambiguità e imprecisioni.
Il Ministro Valditara ha sostenuto, ad esempio, che nessun plesso scolastico verrà sacrificato e che dunque, per gli studenti, la decisione non avrà conseguenze. Ma è un paradosso logico-linguistico, perché, da un lato, i plessi scolastici sono un costo che incide sui Comuni e le Province e non sul Ministero, per cui sull’argomento stavolta, a parti rovesciate, è il soggetto non competente a prender parola; dall’altro, affermare che la “quantità” dei plessi resta la stessa non significa affatto che la QUALITA' di quel servizio possa restare uguale. Ed è la qualità della scuola che fa la differenza.
Inoltre, cosa si risparmia se si tagliano le scuole? Anzi , per esser precisi LA scuola, quella PUBBLICA,che continua ad essere, per il suo mandato costituzionale, per dirla con Piero Calamandrei, uno degli organi fondamentali della Repubblica.
Il dimensionamento, nel prossimo triennio, come già accaduto in passato, comporterà la riduzione delle “autonomie” e l’accorpamento di più plessi e indirizzi sotto un’unica Dirigenza e segreteria, con un ricalcolo al ribasso del personale tutto, attraverso la cosiddetta “media del pollo”: mantenendo i parametri della Gelmini, infatti, che nessun Governo ha avuto sinora il coraggio di cassare, la dotazione organica di una singola scuola autonoma sarà calcolata sul numero complessivo di alunni, con una divisione meramente aritmetica, senza tener conto delle difficoltà di gestione di realtà frantumate e disomogenee, con migliaia di alunni, numerosi edifici e problematiche connesse, semmai dislocate in Comuni diversi o in aree diverse della città, ciascuna con i suoi bisogni. Un dirigente sempre più solo e oberato di incombenze amministrative, inquietato dalle responsabilità civili, penali, contabili, dovrebbe riuscire ad esercitare la sua “leadership pedagogica” (che bella parola, sempre più vuota) su una platea che in molti casi non avrà neanche tempo di conoscere, saltando come un grillo impazzito da una sede all’altra. La segreteria scolastica dovrebbe intanto gestire sul versante amministrativo le problematiche di tutti quegli alunni e le loro famiglie, nonché i fondi - ad esempio quelli del PNRR, assai ingenti- avendo a disposizione la metà (se siamo ottimisti) delle risorse umane. Infine, last but not least, il Progetto di scuola (faticosamente messo insieme da un Collegio pletorico) dovrà tenere insieme le esigenze e i bisogni di allievi che semmai, sia per indirizzo scolastico, sia per background familiare, culturale, socioeconomico, potrebbero essere molto diversi, ma sacrificati sull’altare dell’efficientamento, con il rischio di un aumento di quei fenomeni di ghettizzazione, insuccesso formativo, disuguaglianza che nella retorica del discorso pubblico si dice di voler combattere.
Un esempio tra i tanti: se in una scuola “dimensionata” un plesso si trova in un quartiere-bene, con genitori attenti, premurosi, persino pressanti con le loro richieste, ed un altro in un quartiere degradato, con alunni in situazioni di povertà educativa e con famiglie assenti o fragili , a quale delle due realtà, se fuse a freddo, la scuola dovrà dedicare attenzione? Ad entrambe, ovviamente, su questo siamo tutti d’accordo: ma quali strumenti le si daranno, dopo averglieli tolti? L’esempio è tristemente tratto dalla realtà napoletana.
Ma è bene farne un altro: è noto che le scuole con allievi difficili, in territori in condizioni di fragilità materiale ed educativa spesso si svuotano, per una fuga sia intenzionale (genitori che portano altrove i propri figli difensivamente, per una malintesa “salvaguardia” del loro percorso) sia incontrollata (per i tassi di abbandono scolastico). Saranno queste scuole, ridotte nei numeri, le prime candidate ad essere accorpate o fuse? La risposta è sì, innescando vere e proprie bombe sociali, al nord come al sud.
Colpiscono infine le contraddizioni tra il dire e il fare. Mentre si afferma che la scuola è presidio di emancipazione e l’educazione l’unica strada per risolvere la crisi di civiltà che stiamo vivendo, la si priva delle condizioni necessarie, anche se non sufficienti, per lavorare bene. Prima fra tutti, la prossimità ai bisogni, la possibilità di rinsaldare i legami tra scuola e famiglia, di superare le classi affollate a vantaggio di un’azione didattica lungimirante, per tutti e ciascuno.
Da questo punto di vista, il dimensionamento è anche un’occasione perduta. Se i tassi di denatalità svuotano le scuole, in specie al sud, nelle realtà più difficili, dove fare figli oggi è una missione impossibile, perché non aumentare il tempo pieno, eliminare le classi affollate, usando semmai le risorse professionali in eventuale esubero? Si risparmia dove non conviene!
Perciò, per onestà intellettuale, sul tema “dimensionamento” almeno facciamo chiarezza: non si continui a discettarne come di uno scontro tra narcisismi, ma si apra piuttosto una discussione seria nel Paese che coinvolga tutti, soprattutto tutti quelli che con grande enfasi all’importanza dell’istruzione credono ….o dicono di credere.