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17/10/2019

Note sulla nozione di "apprendimento"

di Alberto Carraro

L'impianto tradizionale

Il processo insegnamento-apprendimento si trova al centro di molte puntualizzazioni e di molte critiche; da tempo si notano vari tentativi di riformulazione dell’impostazione della didattica tradizionale che vanno ricondotti alle esperienze effettuate tra mille difficoltà e in modo non sempre continuativo in ogni ordine di scuola.
Rispetto alle innumerevoli iniziative e pratiche didattiche sviluppatesi attorno a vari movimenti in anni più o meno recenti (M.C.E., C.I.D.I., ecc.), a riviste specializzate ("Nuova Secondaria", "Riforma della Scuola", "Orientamento Scolastico e Professionale", ecc.), o alle sperimentazioni attuate in singole realtà istituzionali, continua a esistere un ventaglio di esperienze alternative che si riferisce alle istanze dell’educazione permanente, aperta, programmata, per obiettivi, ecc.
Tuttavia, il non sempre efficiente collegamento tra i vari soggetti innovatori che non possono contare su veri e propri Centri di Ricerca, accompagnato dalla carenza di sistematicità nella conduzione delle esperienze, ma soprattutto la debolezza dei supporti teorici, rischiano di qualificare come dilettantesco l’atteggiamento di molti docenti che esprimono l’insofferenza per un sistema educativo che ormai va rinnovato perché insufficiente a inquadrare la complessità dell’istruzione e del sapere nell’epoca attuale.

Le stesse autorizzazioni ministeriali alle cosiddette "Sperimentazioni strutturali" - relativamente alla revisione dei programmi di studio e all’introduzione di nuove materie (informatica, diritto, seconda e terza lingua straniera e molto altro ancora…) - nel tentativo di configurare più elastiche aree disciplinari al passo coi tempi, non sensatamente impostate secondo criteri di analisi dei processi che andavano istituendo, sembrano non aver contribuito in modo decisivo sulla determinazione dell’effettiva Riforma della Scuola, in primis della Superiore e della Formazione Professionale, ventilata e promessa da oltre mezzo secolo.
Ciò di cui si avverte l’esigenza è l’ingresso programmatico in un’ottica di ricerca che consenta di pensare in un altro modo i problemi che caratterizzano il processo insegnamento-apprendimento.
Siccome discutere di formazione significa parlare del compito di apprendimento e della relazione tra docente e allievi, è utile puntualizzare la struttura che viene prodotta dalla concezione tradizionale dell’insegnamento.
Colui che porge l’informazione, il docente, riconosciuto ed accettato come il detentore del sapere della materia di cui è titolare, comunica, o come si dice nel linguaggio comune, spiega la lezione a degli ascoltatori, gli studenti, ai quali è riservata la pressoché unica possibilità di stabilire uno scambio con il depositario delle conoscenze.
Questo schema obbligato trova il suo corrispettivo nella lezione cattedratica, la quale segue un percorso altrettanto rigido: spiegazione lineare del capitolo seguendo una sequenza sul modello storiografico o classificatorio, riproposizione del programma come ripasso, interrogazione di verifica, scelta di passare ad altro argomento.
In questa sequenza viene escluso il sapere prodotto dagli allievi in quanto gruppo: essi vengono assimilati (per attribuzione del docente e per loro implicita accettazione) a una specie di tabula rasa che si presta a essere opportunamente riempita di contenuti.
La finalità dell’impegno degli studenti consiste nella ripetizione di quanto appreso; per non dire della condizionante preoccupazione istituzionale di portare a termine la preparazione e il programma di studi facendo molta attenzione alle scadenze improrogabili delle verifiche imposte da interrogazioni ed esami che equivalgono a una sorta di ultima ratio. In ogni caso, non viene preso in considerazione il collegamento con la molteplicità degli effetti indotti nel gruppo a seguito dell’enunciazione dell’informazione.

Citerò ora alcuni effetti prodotti da quel particolare tipo di impostazione della didattica, che si rivelano limitativi per la formazione, in quanto finiscono col rinforzare il modello chiuso sul quale insistono.
Lo schema porta a:

  1. idealizzare la figura del docente ponendolo su un piano di onnipotenza senza possibilità di elaborare il legame con lui;
  2. far prevalere negli allievi l’obiettivo dell’acquisizione dei contenuti trascurando la cooperazione, quindi favorendo di fatto l’immobilità dell’assetto dei ruoli e delle leadership (i bravi, gli svogliati, quelli che fanno fatica, i confusionari, i sensibili, ecc.)
  3. stabilire tra gli allievi un clima di reciproca diffidenza e di competitività che finisce col privilegiare gli esiti individuali sulle mete globali della classe;
  4. delimitare come una barriera ciò che si può dire da ciò che non si può dire: fattore che sancisce la netta separazione tra razionalità e affettività. La manifestazione della soggettività e della fantasia si perde, quando non viene considerata un disturbo, e si afferma lo standard di un sapere asetticamente predefinito e sul quale non ci sarebbe nulla da aggiungere;
  5. riprodurre, come tratto generale dell’istruzione, la divisione del sapere in tecnico-professionale (pratico) da una parte, umanistico (teorico) dall’altra, come se si trattasse davvero di due ordini distinti di cultura.

Una concezione alternativa dell’apprendimento che muova dalle critiche alla didattica tradizionale, per avere attendibilità metodologica, dovrà esplicitare: un obiettivo, un modello teorico, una tecnica.

La Concezione Operativa di Gruppo

Sinteticamente

L’obiettivo
L’apprendimento è un processo che possiede come finalità la partecipazione attiva dei protagonisti coinvolti in una forma aperta e permanente in quanto caratterizza sia gli allievi sia la funzione docente.

Il modello
Faccio riferimento alla Concezione Operativa di Gruppo che, partendo dalla relazione gruppo-compito, sposta proprio sul compito (oggetto dell’apprendimento) l’attenzione del docente, il quale viene così ad assumere una funzione che lo qualifica come analista di quel processo.
Si potrà poi discutere se dovrà essere necessariamente lui a fornire in modo esclusivo e continuativo le informazioni sugli argomenti delle lezioni o se converrà pensare a forme differenti per dare una giusta configurazione all’insegnamento e alla preparazione scolastica.
In esperienze didattiche condotte nei Corsi di Orientamento e nella conduzione degli insegnamenti alternativi alla Religione, abbiamo prodotto delle variazioni tecniche all’impianto didattico tradizionale in cui l’incaricato dell’informazione (illustrazione di una facoltà universitaria, esposizione di una bibliografia, ecc.) era persona diversa dal coordinatore del gruppo.
Grazie alla chiarezza dell’inquadramento che puntualizza: spazio, tempo, compito e funzioni all’interno del contesto educativo, come Coordinatore del Gruppo ho svolto la funzione di aiutare gli allievi a superare gli ostacoli di vario ordine che impediscono l’adeguata comprensione e l’elaborazione dei programmi di lavoro. Come effetto, ho riscontrato un aumento progressivo di attenzione, partecipazione e responsabilità degli studenti in tre direzioni: verso se stessi e il proprio modo di pensare/agire, verso gli altri compagni, verso la società nel suo insieme.

La tecnica
Quando l’obiettivo è quello di alimentare un apprendimento multidirezionale (anche il docente si mette nella condizione di apprendere qualcosa di nuovo) che trova spunti da varie fonti, anche per vie indirette e non considerate solitamente significative (l’espressione di una libera associazione, una moneta che cade a terra, qualcuno che bussa alla porta, uno sternuto che rompe un silenzio, i momenti di confusione ecc.), per accedere a una rappresentazione degli effetti di queste altre variabili il coordinatore dovrà utilizzare una tecnica di interpretazione.
Alla funzione docente, partendo dalla realtà del gruppo-classe che, a lezione, si esprime e agisce secondo un peculiare codice di comunicazione, compete di penetrare in profondità la struttura che lo regola esperendo allo stesso tempo le modalità più idonee per trasferire un diverso livello di lettura delle sue performances.
L’utilizzo di una simile competenza esige una formazione di base ed ha bisogno di fondarsi su esperienze concrete vissute sulla base di un setting che renda attuabile un apprendimento a tutto campo. Il docente mentre svolge il proprio compito ha uno spazio in cui apprende, perché ha di fronte un universo sempre nuovo e ricco di spunti di discussione che ogni argomento di studio è in grado di suscitare.
Oggi possiamo contare sui contributi delle Scienze Sociali che hanno aiutato a sviluppare la didattica dei gruppi. Queste ricerche ci suggeriscono di prendere una certa distanza dai modi abituali di svolgere la funzione docente e di pensare in un’altra dimensione l’oggetto della nostra investigazione che è l’apprendimento.
Al termine di queste note verrà spontanea una domanda: fino a che punto il nuovo inquadramento e la funzione della coordinazione del gruppo permettono di comprendere e sviluppare dei fenomeni che si verificano comunque?

Sappiamo che in classe si riscontrano vari eventi: insuccesso scolastico, rifiuto del compito, accesa competitività tra i membri, abbandono, elusione, esclusioni, aggressività, ecc.: il problema è quello di possedere una visione del campo che ci permetta di affrontarli e interpretarli. Viceversa, non ci resterebbe che ricorrere alle solite fragili giustificazioni come: demotivazione allo studio, crisi personale, difficoltà familiari, ecc., o alle raccomandazioni moralistiche sotto forma di invito: devi studiare di più, devi comportarti meglio, se continui così sarai bocciato, cerca di superare con la volontà questo momento difficile, ecc.

Il problema è complicato perché:

  1.  ad entrare in gioco non è la relazione con i singoli studenti, ma con la struttura del gruppo che produce gli esiti che abbiamo segnalato e che ci capita di osservare;
  2. la necessaria distanza ottimale comporta il non-coinvolgimento con il gruppo (amicizia, simpatia, antipatia, affinità, estraneità, ecc.) per cui sovente un docente pensa di non dare mai abbastanza o che lo studente si può arrabbiare se non viene corrisposto nelle sue aspettative o che, una volta spiegata la lezione e portato a termine il programma, ha esaurito il suo compito.

Ponendosi ad una certa distanza dal gruppo, il coordinatore riesce a cogliere un legame su tutti: la dipendenza, la quale si conforma sulla ripetizione di un sapere memorizzato e scarsamente elaborato, senza un reale concorso attivo degli allievi. Grazie a quel decentramento egli potrà fornire gli spunti per alimentare una idea di apprendimento che coinvolge la conoscenza di sé e dei modi che si utilizzano per pensare ed agire.

Desidererei aprire una discussione su questi argomenti che conformano la riproduzione ideologica di un sistema dominante, interiorizzato in base alle forme che assume in riferimento ai modelli di trasmissione del sapere.

Scrive...

Alberto Carraro Docente italiano, sostenitore della Teoria dei Gruppi Operativi in Pedagogia, lavora per costruire e diffondere nella scuola una prassi alternativa, anticonformista e produttiva del processo insegnamento/apprendimento.

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