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19/02/2023

Se il paesaggio si rompe

di M. Gloria Calì

“Forse la Natura, ammesso che esista,
è spietata e indifferente, come l’enorme signora di Leopardi […].
O forse è l’antitesi dello Spirito di cui favoleggiano gli idealisti:
inconsapevole, meccanica, persa fuori di sé, semplicemente altra.
Ma la natura-cultura – il mondo in cui siamo e dimoriamo –
dev’essere benevola e compassionevole.
Deve essere umana.
Deve tirare tutti noi dalle macerie e lasciarci mostrare le ferite.
Deve portarci all’aperto, indicarci le stelle, chiamarci per nome.”

(S. Iovino, “Paesaggio civile”, 2022)

Ci siamo chiesti tante volte, su questa rivista [1], se, quanto e come sia possibile, nelle classi, parlare di temi sensibili di grandi proporzioni (la guerra, il terrorismo…). Ci s’è messa anche la pandemia da COVID, ad offrirci altro materiale.
L’approccio interdisciplinare, la problematizzazione, l’espressione creativa delle emozioni, anche di quelle negative... va tutto bene, nelle classi, se si decide di far entrare nel disciplinare quotidiano almeno una parte dell’indisciplinabile, tragico, eppure umano. Va tutto bene purché, pensiamo, non si banalizzi o si riduca ad adempimento, o, peggio, ad esibizione: se non si può certo ignorare la realtà e la sua narrazione, quando si fa entrare in classe la materia scottante dei temi sensibili non bisogna mai ignorare il posizionamento degli alunni e alunne nel loro proprio panorama anagrafico, sociale e soprattutto scolastico.

Poi arriva il terremoto, a Febbraio 2023, tra Turchia e Siria. Un terremoto che non sta nemmeno nella locuzione “catastrofe naturale”, ma ha proporzioni talmente grandi da essere subito proiettato in una prospettiva di storia mondiale.

E mentre noi cerchiamo di stare a galla, nella nostra Italietta terremotata dalle proposte di autonomia differenziata, bambini turchi e siriani tremanti vengono estratti da sotto montagne di macerie, alcuni vivi.
Il terremoto in Turchia e Siria rende fragilissima ogni consueta modalità di approccio didattico alle catastrofi del presente: se, da adulti insegnanti, si percepisce l’importanza fondamentale che ha la scuola nel fornire gli strumenti di lettura del reale, sentendo contemporaneamente il dovere della speranza, si fa veramente molta fatica ad intravedere la luce, sotto i cumuli di detriti.
Se vogliamo cercare una strada che ci porti verso la didattica, verso le classi, non possiamo semplificare: dobbiamo anzitutto riflettere sugli approcci che le discipline attuano quando il loro contenuto è il paesaggio, integro o devastato, bello o mortifero. Questa riflessione deve anzitutto evitare di farsi condizionare dalla “paura dell’ignoto”, giacché, quando si mettono in discussione i confini e le basi disciplinari si mette in crisi spesso la professionalità stessa.

Abbiamo già sottolineato [2] come sia del tutto fuorviante connettere questo contenuto con l’ambito esclusivo della geografia, sebbene sia indispensabile analizzare prioritariamente la geograficità dei fenomeni, cioè la loro dimensione localizzata, definibile sulla base di strutture riferite ad un “dove” che ha caratteri propri, talvolta unici. Se ripensiamo la geografia da insegnare seguendo una lunga strada di riflessione che va da Dewey [3] e arriva alla definizione epistemica [4] delle Indicazioni Nazionali del 2012 allora arriviamo al superamento della “materia” ed entriamo nell’ambito del “paesaggio” corrispondendo con l’articolo 1 della Convenzione Europea: "Paesaggio" designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”.

L’aspetto scientifico del fenomeno “terremoto”, per quanto necessario, è insufficiente, perché non dà ragione del fattore umano: le scosse sismiche fanno muovere un suolo usato e abusato, indebolito da un’antropizzazione spesso decisamente scriteriata. Insegnare a tenere conto delle risorse, e tra queste un elemento decisivo per le comunità e del tutto assente anche dai libri di testo: il suolo.
Ci sarebbe anche da parlare dei regimi politici, di un sovrano siriano, Assad, che ostacola l’arrivo dei soccorsi nei territori considerati “ribelli”; o del presidente turco Erdogan, anche lui politicamente molto scorretto.

Di una cosa sicuramente non bisogna parlare: di quella “cosa” normativa etichettata comodamente come “educazione civica” e che, secondo la legge 92, si deve occupare di sviluppo sostenibile (griffe di gran moda) ed in particolare di “protezione civile”. 


Evidentemente, non si può dividere ciò che il sisma ha unito: un fenomeno territoriale che diventa una tragedia per tante persone va letto fuori dai confini disciplinari, cambiando decisamente la prospettiva; se ci lasciamo interrogare in questo senso, ci accorgeremo che è molto più importante partire dal centro delle discipline per esplorarne i confini, ridiscutere le pertinenze contenutistiche e metodologiche per raggiungere un più alto e profondo apprendimento. Come le catene montuose o le faglie sotterranee attraversano confini, non hanno bisogno di passaporto e ignorano le amministrazioni, e le ostilità, così lo sguardo e il progetto di insegnamento dovrebbe certo coltivare la profondità, ma senza trascurare uno spirito esplorativo, che porti a spingersi oltre i bordi delle caselle dell’orario scolastico, nella ricerca continua di apprendimenti significativi e duraturi.
Hanno scritto recentemente Armiero e De Rosa [5]: “l’approccio auspicabile a un rinnovamento della didattica che includa le conoscenze ecologiche e la consapevolezza dei legami tra ambiente e società nell’esperienza formativa dovrebbe sostanziarsi attraverso lo smantellamento di steccati disciplinari e specializzazioni autoreferenziali. Nella pratica, non si tratta di creare l’ennesima “materia” scolastica […] piuttosto l’integrazione delle dinamiche ambientali nella teoria e nella pratica pedagogica passa per il rinnovamento della scuola nel suo complesso.”
L’adulto che insegna, prima di occuparsi di geografia, di scienze, di fisica…  deve anzitutto farsi attraversare dai fenomeni territoriali e deve attraversarli, cercando con il contesto anzitutto un’empatia, se non addirittura una sintonia. Noi, esseri umani, siamo parte attiva del paesaggio, ne siamo parte: non è quindi possibile, se si vuole essere intellettualmente onesti, un approccio esclusivamente analitico, “da fuori”; la distanza chilometrica che ci separa dalle faglie anatoliche o dai deserti, urbani e non, sparsi per il mondo, ci aiuta a descrivere,  ma non ci autorizza a fermarci alla freddezza tassonomica né alla superficialità espositiva; questo sentirsi “nel” paesaggio è il punto di partenza di un certo genere di postura intellettuale, e, di conseguenza, di scelte didattiche.

Si tratta, da insegnanti, di costruirsi e coltivarsi una visione della contemporaneità sostenuta dai linguaggi delle discipline, senza perdere mai la visione complessiva (e complessa) delle persone, dei paesaggi e delle narrazioni.

Se cerchiamo una cornice teorica a questo modo di intendere il paesaggio lo troviamo anzitutto nel concetto di Antropocene [6] : studiosi di varie discipline da circa 40 anni dimostrano con evidenze sempre più cogenti che la presenza umana sul pianeta Terra ha una forza geo-genetica, geo-ctonica. Siamo diventati capaci di modificare la struttura geologica del pianeta e di questa capacità non abbiamo il controllo.
Non dovremmo quindi più pensare, da insegnanti, di proporre qualsiasi forma di "educazione ambientale", come l'ambiente fosse qualcosa di distaccato, uno sfondo su cui muoverci o anche come un oggetto altro da noi che dobbiamo (prescrittivamente, non spontaneamente...) rispettare. Si tratta di acquisire la struttura di un' interrelazione ancora più profonda, intima, con il pianeta, e far discendere ciò che dicevamo prima: il sentirci noi stessi “paesaggio”, eliminando il distacco tra lo sfondo e gli attori della rappresentazione che si intitola “vita”, piuttosto guardando, toccando e narrando la realtà come un unico organismo complesso, di cui siamo tutti elementi unici ma non indipendenti; tutti, piuttosto, responsabili.

Se riuscissimmo ad insegnare, attraverso i saperi, la responsabilità consapevole verso il mondo, che sia a piccola o a grande scala, avremmo fatto, semplicemente, il nostro dovere di insegnanti; in pratica, una rivoluzione.

Note

1.  Nella pagina "Ancora una volta, la guerra", costruita in occasione dello scoppio della guerra in Ucraina, si trovano citati alcuni pezzi sui temi sensibili della guerra e delle emergenze.

2. Sul rapporto problematico didattico-epistemologico su paesaggio e discipline scolastiche, "Il paesaggio attraverso le discipline", di M. Gloria Calì, 2021. 

3.  J. Dewey, “Scuola e società” (1899; ed. italiana 1949): “l’unità di tutte le scienze è trovata nella geografia”.

4.  “La geografia è la disciplina cerniera per eccellenza”. 

5.  “Una scuola per la cittadinanza” a cura di M. Ambel (2020, vol. 2; pag. 145).

6.  Un inquadramento generale sulle definizioni e sulle questioni problematiche relative si legge in “Geografia e Antropocene”, a cura di C. Giorda (2019).

Scrive...

M. Gloria Calì Insegnante di lettere alla media da oltre 20 anni, si occupa di curricolo, discipline, trasversalità, con particolare attenzione alle questioni della didattica del paesaggio. Direttrice di "insegnare".

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