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29/09/2023

Il rapporto controverso tra modernità e contemporaneità nel pensiero di Gianni Vattimo

di Annalisa Marcantonio

Nel ricordare la bella figura di Gianni Vattimo, faccio mia la considerazione del filosofo Roberto Esposito in un recente articolo: “È difficile incasellare l’opera di Vattimo, ampia ed eretica, all’interno di una definizione. Cattolico e nichilista, heideggeriano e comunista, egli rompe i confini disciplinari, collocandosi nel punto d’incrocio tra filosofia, estetica e politica”[1].

In questo giudizio risiede la peculiarità di questo autore nel panorama culturale italiano, e si comprende il forte stimolo che può dare a chi si domandi come insegnare, oggi. Da docente di Filosofia e Storia ho potuto constatare come le posizioni del “postmoderno”, movimento filosofico e, più ampiamente, culturale, di cui Vattimo è uno dei maggiori esponenti europei, producano spesso un atteggiamento di diffidenza all’interno del mondo della scuola. Ritengo che tale resistenza, paradossalmente, sia dovuta proprio al rifiuto del dogmatismo caratterizzante l’intera opera del Filosofo. Talvolta ha pesato negativamente anche la considerazione della radicale messa in discussione del paradigma della modernità, da parte di Vattimo. Com’è noto, il rigetto di questa categoria storiografica, sulla base della sua inadeguatezza, “inattualità”, nell’ interpretare le caratteristiche del presente, costituisce uno degli assi portanti dell’opera di Vattimo e di tutto il filone postmoderno. Alla visione di modernità, però, infatti, appartiene strutturalmente l’idea di storia con i suoi corollari, la nozione di progresso e quella di superamento. Nozioni che, nella nostra tradizione, hanno univocamente consentito di rappresentare il divenire storico come un processo unitario. Se ci domandassimo però se tale approccio sia da considerarsi oggi funzionale, sul piano ermeneutico, nascerebbe qualche dubbio.  Sono proprio la consapevolezza della “complessità” della società attuale, il tramonto dell’eurocentrismo e dell’imperialismo, ad aver messo in crisi in modo definitivo, infatti, la visione unitaria e lineare di processualità storica di derivazione hegeliana.  Il paradigma della modernità, con i suoi corollari, sembra agevole da adottare, in ambito storiografico, poiché include, spiega e “giustifica” grandi fenomeni epocali come la nascita della scienza moderna, la tecnologia e le rivoluzioni. Senza minimizzare la portata di questi eventi, però, essi andrebbero interpretati evitando spiegazioni deterministiche e rinunciando ad utilizzare le categorie di progresso e superamento abusate dai vari storicismi. La coscienza della fine delle grandi narrazioni della modernità, se opportunamente considerata, indurrebbe piuttosto ad evitare troppo facili semplificazioni nell’approccio ai fenomeni storico-sociali propri della contemporaneità [2]. L’inserimento di Vattimo nel movimento “postmodermo”, anche se messo in discussione da alcuni interpreti, è indubitabile, ed è dovuto anche ad altri aspetti del suo pensiero, quali la difesa programmatica della plurivocità e delle differenze, nel farsi portavoce della fisionomia policentrica e diversificata delle odierne società plurirazziali e multiculturali.

Addentrandoci nella visione ontologica del Filosofo, la posizione centrale da evidenziare è quella per cui, nel passaggio dal moderno al postmoderno, si configura un passaggio dal pensiero forte al pensiero debole. Rifiutando la tesi di un pensiero volto arrogantemente a cercare i fondamenti del conoscere e dell’agire, Vattimo pone al centro della sua ontologia un soggetto postmetafisico, costantemente in divenire, che rigetta le categorie forti e le concezioni omnicomprensive della realtà. Siamo quanto più lontani possibile dalla ragione dominante della tradizione metafisica. Il profondo legame che unisce la teoria di Vattimo al pensiero di Nietzsche ed Heidegger comporta l’accettazione piena del nichilismo, come tratto distintivo del soggetto che partecipa della decadenza della civiltà occidentale; è da notare però che il nichilismo di Vattimo non è di tipo “tragico”, non è un nichilismo risentito ma piuttosto “debole” o “della leggerezza”, proprio di un soggetto che, pur avendo preso coscienza della dissoluzione dell’essere, crede di poter avere delle opportunità positive. Se ogni tipo di morale forte è assolutistica e violenta, ognuno di noi, secondo Vattimo, è però in grado di avviare una propria ricerca in nome della tolleranza e della carità, come nella originaria visione cristiana non -violenta, abbandonata progressivamente dalla Chiesa.

C’è un altro aspetto della teoria di Vattimo che suscita interesse, quello riguardante la rilevanza dei media. La configurazione multiculturale della società complessa induce Vattimo a dare il massimo risalto al peso, non marginale, assunto dai media in tutto il pianeta; grazie alla loro diffusione egli osserva quali scenari si vadano configurando sul piano globale. Differenziandosi da altre posizioni [3], Vattimo ne considera la portata “democratica” dei media: grazie alla comunicazione generalizzata, infatti, i centri nevralgici della storia si sono moltiplicati. Senza attuare una demonizzazione dei mezzi della comunicazione massmediatica, come fanno altri interpreti della contemporaneità, che pongono invece l’accento sul rischio di generale omologazione che essi comportano, Vattimo valorizza le infinite possibilità offerte dal mondo dei media, che permette un’esplosione, una moltiplicazione di visioni del mondo; tale apertura è rispecchiata dall’immagine di una “società babelica”, orientata al dialogo, capace di generare nuove forme di comunicazione [4]. Così, differenziandosi da alcune posizioni critiche come quella della Scuola di Francoforte e, in certa misura, di Popper, Gianni Vattimo accoglie pienamente la sfida dei nuovi linguaggi della comunicazione, indicando così la strada per un umanismo contemporaneo, da costruire insieme non attraverso l’omologazione, ma grazie alla difficile (ma non impossibile) connessione delle differenze.

Immagine a fianco dal Corriere

 

Note


[1] R. Esposito, Gianni Vattimo Postmoderno per sempre, in Repubblica 20/09/2023

[2] Un’ampia argomentazione a riguardo si trova nell’Introduzione a G. Vattimo, La fine della modernità, Garzanti 1985.

[3] J.F. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli 1981 (1.a edizione italiana).

[4] Per una ricognizione di questa e di altre posizioni di Vattimo si veda G. Fornero, Protagonisti e testi della filosofia vol. D tomo 2, capitolo trentaduesimo, Paravia 2000.

Parole chiave: complessità, cultura, filosofia

Scrive...

Annalisa Marcantonio Ha insegnato Filosofia e Storia nei Licei; fa parte del direttivo del CIDI di Pescara e partecipa alle iniziative di formazione della Società Filosofica Italiana (SFI), sezione di Francavilla al Mare.

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