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27/01/2023

Perché ha ancora senso parlare di "Dad"

di Giulia Boggio

In occasione della presentazione torinese del libro di Giuseppe Bagni e Giuseppe Buondonno, Suonare in caso di tristezza, PM edizioni, 2021 - qui recensito da Gloria Calì  - mi è stato chiesto di riflettere sull’esperienza della DAD, che aveva appunto accompagnato la redazione del libro medesimo.

L’argomento potrebbe di primo acchito apparire pretestuoso nonché anacronistico: con un po’ di ottimismo, ognuno di noi può rivolgersi al ricordo dei tre anni trascorsi come a “una cosa (non) divertente che non farà mai più”, parafrasando David Foster Wallace. La tentazione di rimuoverne la memoria è tanto forte, quanto comprensibile legandosi forse alla tentazione di accantonare il vissuto dell’intera fase pandemica, ma la tentazione può, sotto un altro aspetto, risultare perniciosa: è invece necessario, proprio ora che, emersi dall’emergenza guadagniamo in lucidità prospettica, tornare a riflettere su quello che resta un nodo per molti aspetti irrisolto.

Il primo motivo per tornare a fare i conti con il biennio scolastico 2020-22 è che di quel trauma ci troviamo oggi a raccogliere i cocci, in ogni classe. I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze ne sono rimasti profondamente segnati tanto sotto il profilo psicologico quanto nella dimensione dell’apprendimento. Tutta la letteratura in materia lo conferma: si parla di una vera e propria “crisi della salute mentale”, di un aumento esponenziale del consumo (e dell’abuso) di psicofarmaci, dell’incremento vertiginoso dei tentativi di suicidi tra gli adolescenti (+ 10%). Contestualmente, si certificano prestazioni inferiori a quelle degli anni precedenti, la tendenza a uno studio “passivizzato”, la permanenza breve dei contenuti, un apprendimento perennemente disturbato dall’interferenza della tecnologia digitale, verso cui si è accentuata la dipendenza. In sostanza la situazione in cui ci troviamo a lavorare è ancora eccezionale, perché ancora eccezionali sono le condizioni degli studenti e delle studentesse che frequentano le nostre scuole oggi: è quindi urgente che la comunità scolastica ne prenda atto e si doti di strumenti adeguati ad affrontarla, dalla progettazione didattica a misure consistenti di attenzione e supporto alla dimensione psicologica.

Il secondo motivo per cui ha senso riflettere sull’esperienza della Dad è che, nell’opinione di chi scrive, la pandemia non ha prodotto che l’emersione, in forme parossistiche, degli aspetti deteriori già presenti nella scuola degli ultimi trent’anni (aspetti tra l’altro tutti imputabili a un’idea di scuola prestazionale, meritocratica, competitiva, ormai drammaticamente egemonica non solo a destra, ma anche tra le insospettabili fila della scuola democratica e progressista).
Per fare un rapido elenco, si pensi alla concezione dell’apprendimento come una pratica individuale, alla didattica trasmissiva, all’interpretazione del rinnovamento scolastico solo e unicamente nei termini dell’innovazione tecnologica, a una valutazione sommativa e solo sui contenuti, all’amplificarsi delle disuguaglianze, all’accelerazione di logiche (e dell’ingresso) di interessi privati nel pubblico (si pensi all’immane cessione di dati alle multinazionali della gig economy), alla dilatazione del tempo di lavoro in barba a qualsiasi diritto alla disconnessione. Tutti questi fenomeni hanno indubbiamente caratterizzato il biennio di sospensione della didattica in presenza, ma in continuità con quanto teorizzato e praticato dalla scuola dalle 3 I in avanti.

Certo, si potrebbe dire che ci si è trovati di fronte a un’emergenza e che fatalmente si è incorsi nell’impossibilità di muoversi in maniera diversa: non è opinione di chi scrive. Tuttavia, ammettendo anche che si voglia sospendere il giudizio sulla gestione di un momento tanto difficile, ha ancora senso chiedersi cosa ne è stato dell’analisi di quell’esperienza. Assodato il giudizio unanimemente negativo sulla didattica a distanza, avrebbe avuto senso - e ce l’ha ancora - chiedersi cosa di quell’esperienza andasse archiviato. Come comunità scolastica, avremmo insomma potuto sfruttare quell’occasione altamente sfavorevole per riorientare in senso più collettivo e comunitario le situazioni di apprendimento, per potenziare la didattica cooperativa, per sviluppare un’idea di rinnovamento un po’ meno ingenuamente affidata ai device.
Avremmo potuto ragionare di valutazione formativa e renderla l’esperienza valutativa prevalente. Ancora: avremmo potuto (avremmo dovuto) fermarci di fronte al digital divide e considerare l’abisso di diseguaglianze che la scuola ormai, lungi dal correggere, certifica e amplifica. Avremmo potuto cogliere l’occasione per rivendicare piattaforme pubbliche tutelanti nei confronti dei dati di docenti e studenti. Avremmo potuto batterci perché il diritto alla disconnessione - materia di contrattazione d’istituto - diventasse oggetto di contrattazione nazionale.
Non solo: sull’onda lunga della pandemia, avremmo potuto chiedere un potenziamento del trasporto pubblico e sostenibile, un vigoroso efficientamento energetico delle nostre strutture, un investimento strutturale in sistemi di aerazione e depurazione dell’aria, di illuminazione, di potenziamento dell’acustica delle aule. Avremmo potuto: sarebbe allora stato augurabile ed esplicito che le ultime due maggioranze condividevano nella sostanza ognuno degli aspetti emersi nella Dad.

Il terzo e ultimo motivo per cui ha ancora senso riflettere sulla scuola ai tempi della pandemia è che questa si è ritirata portandosi via qualche spazio - fisico e non - della percolante scuola democratica. Non tutto è tornato come prima, insomma. Gli spazi fisici sacrificati in emergenza - le mense, i servizi bar presenti nelle scuole, le aule di alternativa alla religione cattolica (fondamentale presidio di laicità) - sono talvolta stati ridimensionati, così come lo sono state le uscite didattiche. I viaggi d’istruzione ripartiranno quest’anno, vedremo se a regime o meno. Sicuramente molte scuole, nel post pandemia, hanno scelto di mantenere in remoto le comunicazioni scuola-famiglia: una soluzione che, in nome della praticità, rischia di annichilire ogni dialogo approfondito e confina i colloqui in videochiamate di 5 minuti spesso totalmente unilaterali. La partecipazione studentesca alla vita della scuola, che già godeva di pessima salute, ne è uscita ulteriormente azzoppata: sempre meno sono le assemblee studentesche organizzate alla presenza di tutti gli studenti, mentre è sempre più in auge la loro versione surrogata alla presenza dei soli rappresentanti di classe. La partecipazione agli organi collegiali tutti (certo, già fortemente in crisi e bisognosi di una qualche riforma) è stata ulteriormente compromessa. Molti collegi docenti si svolgono on-line, ritmati dal rumore delle lavatrici e dal ritornello di molti dirigenti che ne sostengono la natura puramente deliberativa.

Insomma, la DAD è passata, ha scoperchiato pozzi insalubri, ha lasciato feriti e detriti. Ora è tempo di ricostruire.

Parole chiave: Dad, speciale emergenza

Scrive...

Giulia Boggio Dottore di ricerca in letteratura francese, abilitata con Tfa, insegna lettere nella scuola secondaria di II grado.

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