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opinioni a confronto

05/04/2020

Prossimità di insegnamento

di M. Gloria Calì

Le scuole chiudono per prevenire il rischio del contagio, prima organizzazione a sospendere le attività all’alba della pandemia. Pensavamo fosse per poco, da quella fine di Febbraio in cui hanno cominciato a chiudere gli istituti lombardi. Adesso siamo quasi a Pasqua, al “picco” dei contagi e non sappiamo ancora per quanto tempo ancora durerà questa sospensione.
Nel frattempo, per disposizione ministeriale, è stata avviata una modalità di fare scuola definita Didattica a Distanza; avviamento attuato da parte di molti insegnanti, ma non di tutti, per molti alunni, ma non per tutti. Ma questa è un’altra storia, con molti risvolti drammatici.

Qui, invece, la storia di cui vogliamo parlare è un’altra; ed è quella del modo in cui gli insegnanti in quanto professionisti riflessivi hanno affrontato questa condizione sconvolgente. Da una parte, quelli che cercano in tutti i modi di fare la scuola “vera”, con i tempi e le liturgie della scuola in presenza, con gli argomenti, gli esercizi, le verifiche. Tra questi, qualcuno va in sofferenza perché bisogna portare avanti il programma.
Dall’altra parte, quelli che si preoccupano di rassicurare, tenere le relazioni, curare ciascuno. A questi si sente dire che “sentono la mancanza della classe”.
Per tutti, poi, ci sono “gli strumenti”, prima di tutto le classi virtuali, con tutto il corredo degli accessori per le videolezioni. Diciamo per inciso che solo per questo aspetto il Ministero è stato chiaro nell’indicare che cosa usare e comeper il resto, solo esortazioni, rassicurazioni e tanti tanti ringraziamenti.

I due atteggiamenti professionali che abbiamo delineato in posizioni contrapposte, con evidente semplificazione, sono in parte irrimediabilmente contrapposti, perchè ripropongono la divergenza strutturale tra chi percepisce la scuola come il luogo in cui un “io” docente rilascia contenuti specifici ad un “loro” discente che dovrebbe raccogliere, e chi vive la scuola come un luogo in cui si impara e si insegna, si riflette e si discute, per la formazione di competenze culturali per i cittadini.
Immaginiamo, in questa sede, che in entrambi i casi, gli adulti di entrambe le schiere siano in ottima fede, e che la vera cornice psicologica e professionale stia nel capire che non siamo in condizioni di attuare “didattica”, ma di affrontare un’emergenza.
A partire da questo, i due atteggiamenti sono probabilmente componibili in una postura opportuna di lavoro docente solo se si prendono le distanze dalla didattica che ciascuno attua “in condizioni normali”, per costruire nuovi percorsi che abbiano un senso specifico nella condizione contingente.

Il punto di partenza potrebbero essere i curricoli che le scuole hanno costruito negli ultimi sei/otto anni utilizzando le Indicazioni per il primo e il secondo ciclo; di questi curricoli ogni docente ha la responsabilità di percorrerne un tratto, composto da contenuti e  obiettivi che poi modella nelle classi, in cui il curricolo diventa sapere, scandito in tempi, modalità, strumenti. Questi tre fattori sono i primi ad essere stravolti dalla sospensione delle attività in presenza, ma non basta cambiare il “come” se non ci si interroga prima sul “che cosa”. Che cosa è interessante, cioè pedagogicamente prioritario, in questo momento? La risposta a questa domanda non è un generico “mantenere un rapporto”, ma bisogna tenere insieme una comunità di adulti e minori fondata sulla  struttura portante dell’apprendimento significativo.

Si pone quindi la questione di un ulteriore adeguamento della progettazione della classe: le scuole hanno costruito il curricolo a partire dalle Indicazioni, gli insegnanti costruiscono le progettazioni a partire dal curricolo di scuola per le proprie classi; adesso bisogna adeguare la progettazione di classe alle condizioni della distanza fisica. Se tutto questo processo in condizioni ordinaria ha seguito alcune direzioni maestre che discendono dall’idea di scuola per l’educazione di ciascuno alle competenze culturali di cittadinanza, adesso diventa meno complicato operare scelte significative su “come” fare scuola a distanza, perché la scuola, di fatto, non ha cambiato le sue finalità, ma è necessario riprogettare tempi, modalità, strumenti.

In questo contesto, il concetto di “inclusività” va assunto come priorità generale, ma va inteso non come atteggiamento generico che porta ad abbassare il livello delle proposte con la motivazione pretestuosa che “con attività più facili seguono tutti”. Essere inclusivi in questo contesto significa anzitutto mobilitare, se è il caso accrescere, le proprie risorse tecniche e organizzative per raggiungere tutti i componenti della classe, se non tutti con la stessa frequenza almeno tutti con continuità; se non tutti sempre direttamente, tutti devono stare dentro una rete di relazioni “scolastiche” che impedisca a qualcuno di ingrossare le fila dei dispersi.
Nelle scelte di strumenti e percorsi, essere “inclusivi” significa aumentare il più possibile il livello di coinvolgimento degli alunni e delle alunne nel loro apprendimento, proponendo attività che siano fortemente caratterizzate da processi di scoperta, confronto, negoziazione di conoscenze, con una continua rielaborazione personale. La scoperta e la conoscenza del nuovo, o del nuovo punto di vista, e il posizionamento rispetto a questa novità potrebbero essere considerate, nell’attuale contesto, le articolazioni della competenza chiave di cittadinanza, perché è proprio questo che tutti facciamo, in questo momento, a vario livello: siamo di fronte ad una novità assoluta, improvvisa e destabilizzante e la affrontiamo tenendo fermo il senso di comunità e di corresponsabilità.

A rischio di essere scontati, va ribadito che scoprire, conoscere e rielaborare sono processi che fanno parte di un percorso di crescita, che si sviluppa in ogni ordine e grado di scuola e in tutte gli ambiti disciplinari, da quello narrativo o espositivo, a quello artistico e creativo, a quello matematico e scientifico… Correndo di nuovo il rischio di sottolineare il superfluo, precisiamo anche che l’oggetto di questi processi non deve necessariamente essere la pandemia, il virus e argomenti correlati, ma qualsiasi tratto di curricolo può essere riprogettato per attuare questo genere di apprendimento, la cui significatività sta nel fatto che l’urgenza “culturale” per adulti e non, in questo momento, è l’approccio ad un fenomeno globale totalmente nuovo, che mentre si realizza si esprime e si conosce. 

La vera protagonista di questa didattica dell’emergenza, in emergenza, è certamente la comunicazione: con parole, con immagini, con numeri, la “novità” esiste, fuori dagli ospedali o dai laboratori, attraverso la sua narrazione, che orienta stati d’animo e scelte, sostiene o confuta, chiarisce o confonde… Un giorno, “dopo”, forse qualcuno parlerà o scriverà di “pedagogia dell’emergenza”; in questo momento, gli insegnanti possono costruire e/o consolidare e sviluppare le attrezzature culturali dei loro bambini e bambine,  ragazzi e ragazze legate alle “narrazioni”, i cui linguaggi, nelle discipline, sono a disposizione di ciascun docente. Insegnare le narrazioni significa educare sia ai punti di vista che all’oggettività, sia alla costruzione di un’opinione e sia all’ascolto di un’altra, sia alla ricerca e alla selezione di informazioni che alla costruzione di una propria conoscenza. Gli strumenti e i linguaggi, ovviamente, variano con gli ordini di scuola, ma la ridotta possibilità di relazione diretta e dialogata rende importante orientare la propria attività di insegnamento più verso la comunicazione scritta (o per immagini…) che verso quella orale.

Per consentire la realizzazione della ricerca didattica, per tessere un dialogo educativo nella condizione di emergenza, l’uso di un’attrezzatura tecnologica digitale può consentire un contatto a distanza, ma chi elabora le proposte didattiche ha il dovere di chiarirsi anzitutto che cosa è culturalmente utile e significativo; solo dopo questa domanda ha senso chiedersi quali strumenti digitali sono utili e significativi per gli obiettivi che vanno perseguiti. L’ordine di queste domande, in realtà, dovrebbe essere sempre quello che si realizza nella scuola “normale”, dove prima si scelgono gli orizzonti e poi si scelgono le strade su cui guidare gli alunni.

Questa scuola speriamo sia ancora più normale, “dopo”, in classe. 

 

Parole chiave: speciale emergenza