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30/03/2024

La guerra è una condizione interiore

di Raffaella Corsi

Mai come in questi giorni, in questi mesi, all’interno delle aule scolastiche, avverto l’urgenza di rompere il silenzio che mi impongo talvolta sugli eventi dell’attualità, non perché non la ritenga materia di confronto e apprendimento, ma per arginare l’onda delle emozioni e per trovare la distanza necessaria ad una trattazione che sia contemporaneamente frutto e seme per la conoscenza e l’apprendimento; insomma a scuola la scelta del silenzio talvolta urge per dare alla riflessione lo spazio e il tempo di dipanarsi e costruire percorsi di insegnamento-apprendimento che allontanino, potremmo dire, quella condizione interiore di conflitto non gestito, non risolto, non analizzato, foriero di violenza e tragedia che, in effetti, chiamiamo spesso guerra, riferendoci ad eventi bellici, conflitti armati, ma anche, metaforicamente, alla dura opposizione e allo scontro sterile che si possono sperimentare persino nelle routine democratiche di un Paese in pace, e finanche all’interno degli edifici scolastici.
Il tema dell’attualità a scuola non è nuovo, e, per quanto riguarda in particolare la guerra, su insegnare è possibile leggere numerosi contributi, raccolti in uno speciale articolato in una visione a più voci. 
Del resto la trattazione della guerra non può essere una questione affrontata in modo prescrittivio, ma è una questione disciplinare, da contestualizzare e inserire in un lavoro di didattica specifico della disciplina.
La storia del ‘900 nella scuola secondaria di primo grado sembra non poter prescindere dallo studio della Guerra totale che occupa la prima metà del secolo e rappresenta, rispetto a questo tema, un vero banco di prova. Lo studio vero e proprio è spesso anticipato dalle preconoscenze delle classi, variegate, ma abbondanti, e di frequente allineate dal punto di vista delle aspettative. Nelle mie classi riscontro una grande attesa dello studio delle "guerre" da parte degli alunni e un estremo disinteresse da parte delle alunne.

A dispetto della copiosa letteratura che sottolinea quanto la costruzione di scenari di attese e aspettative da parte di bambini e bambine si fondi sui contesti sociali e culturali nei quali sono immersi e immerse sin dalla prima infanzia[1] , posso dire che ancora oggi, in un paese ben inserito in un’area metropolitana del Nord Italia, rintraccio, alla base di queste diverse aspettative, un sostrato di stereotipi. Per la maggior parte dei ragazzi in particolare la guerra assume ancora una dimensione eroica e mitica, con connotazioni di virilità, sacrificio, valore, onore, legate prevalentemente alla sfera del maschile. Alle ragazze generalmente essa appare lontana, distante, poco interessante, un fenomeno da studiare più ostico e noioso di altri.

Concordo con Angela Caruso che mai come in questi giorni anche la trattazione storica del 900 debba essere funzionale ad un’educazione alla pace nel cui “curricolo” lo studio della storia riveste un peso rilevante, e in particolare il taglio e la selezione dei contenuti per tale percorso. Considerare l’evento storico prevede la necessità di ripercorrere la complessità di concause ed avvenimenti, evitando di trasmettere l’immagine della storia come di una concatenazione deterministica di conseguenze inevitabili o la conseguenza scellerata di gesti individuali. E’ bene lavorare per la ricostruzione del mosaico variegato di realtà diverse che compongono un panorama complesso e ricco di dettagli, inevitabilmente semplificato nella trattazione manualistica. L’immagine della guerra che trasmettiamo sui banchi di scuola può contribuire alla costruzione di un’enciclopedia personale e di un orizzonte di riferimento sulla base del quale valutare l’attualità. La Storia dovrebbe mostrarci il concatenarsi delle strade e dei percorsi dei molti, offrirci la conoscenza concreta degli scenari e dei contesti e le possibili scelte delle collettività, costruire la consapevolezza che l’uomo, la pluralità degli uomini e delle donne, la collettività che ne deriva, la comunità pubblica e politica,  costituiscono l’oggetto dello studio ma al contempo anche il soggetto dell’avanzare storico.
La storia ha come oggetto di studio “tutto ciò che entri in relazione con l’uomo […], purché ne resti una testimonianza verificabile”[2]. Tuttavia, non si occupa mai di un singolo uomo, né di un uomo rappresentativo di tutti; sono oggetto di studio la, anzi le collettività e le comunità rigorosamente al plurale.  “Le più recenti trasformazioni legate alla globalizzazione hanno prodotto, nello studio della disciplina, la necessità di superare l’approccio lineare agli eventi del passato: accanto alla storia delle istituzioni nasce l’idea delle tante storie”[3]

L’insegnamento della storia tende ai suoi obiettivi quando trasmette il senso profondo della pluralità che caratterizza tutto quanto attiene alla disciplina: pluralità di oggetti e soggetti, pluralità di prospettive, pluralità di fattori da considerare nella ricostruzione, pluralità di quelle che per semplificare vengono chiamate “cause”, pluralità di eventi, pluralità di storie.
Riflettere sull’insegnamento della disciplina sembra guidarci verso una considerazione più attenta della classe, sembra indicarci le pluralità di visioni dalla cui ri-composizione può emergere una lettura collettiva, complessa, autentica, della nostra società di oggi, che si specchia negli occhi e nei pensieri dei ragazzi e delle ragazze che a seconda dei casi aspettano o rifuggono le “lezioni dedicate alla guerra”.
Del resto, cogliere la dimensione collettiva e pubblica della storia spesso comporta un alto livello di astrazione, che non ci si può attendere dalla totalità della comunità di allievi e allieve della scuola secondaria di primo grado. La considerazione delle singole storie risulta pertanto uno strumento utile di studio, per dare concretezza e pienezza a concetti che potrebbero rimanere lontani dall’esperienza delle classi e dunque estranei.

Questa riflessione nasce dunque prima, durante e dopo lo svolgimento di un laboratorio di storia, inteso come attività che mette in atto le procedure tipiche della disciplina, ma calibrato per alunni e alunne come una palestra dove allenare dei modelli di rielaborazione del reale, sviluppare il senso critico, avvicinare alla pratica del vagliare delle ipotesi, gestire delle informazioni, selezionarle e valutarle in particolare quando provenienti, come accade oggi, in gran parte, dal mondo vasto e non verificato della rete e dei social.
Nello specifico ragazze e ragazzi hanno potuto interrogare le fonti dei Diari di guerra pubblicati con la collaborazione dell’Archivio Diaristico Nazionale realizzando, in coppie, una ricerca tematica e specializzandosi su alcuni temi (la famiglia, l’amore, l’amicizia tra nemici), su alcuni aspetti del quotidiano bellico (il cibo, gli ospedali), su alcuni soggetti (le donne, i soldati protagonisti di fughe o gesti di autolesionismo e diserzione).

Al termine del lavoro si è riflettuto sulle aspettative:

 

“Mi sentivo in dovere di sapere di più.”

“Mi immaginavo le trincee perché le ho viste nei film.”

“Mi aspettavo l’eroismo dei soldati.”

“Mi aspettavo che le donne facessero solo il lavoro domestico.”

E naturalmente sulle scoperte:

“Mi ha stupito l’umore dei soldati, l’attenzione e il pensiero per la loro mamma.”

“Non mi aspettavo tutta questa comunicazione e la corrispondenza.”

“Sapevo molto delle trincee ma niente dei diari. Mi incuriosiscono.”

“Mi ha stupito sapere come passavano il tempo i soldati, quanto tempo fosse di attesa.”

“Mi ha incuriosito il ruolo delle donne, nei film si vedono di più gli uomini.”

 Come ricorda G. Di Caro [4]l’insegnamento-apprendimento della storia necessita della sapiente tessitura di uno stretto legame esplicativo che connetta le motivazioni e le intenzioni umane, assolutamente al plurale, e i contesti e gli scenari nei quali esse si realizzano. Sarebbe fuorviante infatti, applicare categorie valutative alle prime e principi deterministici ai secondi, operazioni entrambe di semplificazione e banalizzazione che sono inevitabili quando a ragazzi e ragazze non vengano forniti gli strumenti per appropriarsi della disciplina, non certo dal punto di vista del contenuto, ma da quello del metodo.

La contestualizzazione e la paziente costruzione di un impianto generale sono importanti per collocare la pluralità delle storie in un quadro d’insieme, necessariamente variegato e plurale ma non frammentario. Si tratta della maggiore difficoltà, a me sembra, sia per alunni e alunne nella fascia d’età di cui ci occupiamo, sia per noi insegnanti. Direi anzi che si tratta proprio della sfida dello sviluppo di schemi cognitivi in crescita, verso il superamento di modelli interpretativi binari, verso la costruzione di modelli complessi, secondari, lungo la via del rafforzamento delle capacità di astrazione, ancora in costruzione. Se a questo aggiungiamo la privatizzazione del pubblico e la pubblicizzazione del privato tipiche del nostro tempo, in cui alunni e alunne sono immersi e immerse, comprendiamo quanto sia sfidante e contemporaneamente formativo l’uso della storia.

La valenza formativa del percorso emerge durante la discussione collettiva, nel confronto tra quanto ci si attendeva di scoprire e quanto si è effettivamente scoperto. Ragazzi e  ragazze si ritrovano su uno stesso piano, parimenti straniti davanti alla decostruzione di modelli appresi e possono sperimentare un percorso di svelamento e smascheramento, alla pari nell’affrontare stereotipi già interiorizzati. Assumere altri punti di vista, entrare nelle singole storie usando la forza collettiva della classe per smontare una costruzione apparentemente solida e intoccabile, assaltare il maniero della Grande Guerra: possono essere queste esperienze per un curricolo di educazione alla pace? Affrontare la scoperta del fenomeno storico e attuale della guerra, smascherando la condizione interiore di guerra che vive radicata nella nostra cultura, decostruendo gli stereotipi profondi, attraverso l’avvicinamento alle piccole e molteplici storie vere e reali che le fonti ci offrono, può essere una strada per costruire una cittadinanza consapevole, per non considerare inevitabile, oltre le banalizzazioni, il vento di guerra che oggi soffia sulle nostre aule?

“Mentre da noi il giorno della Festa della Repubblica marciano gli eserciti in solenni parate, per le strade del Costa Rica, il giorno della Festa della Repubblica, che è il giorno in cui venne varata la Costituzione che abolisce le Forze armate, per le strade di San Josè sfilano cantando e ballando i veri eroi del Paese: gli insegnanti, le ragazze e i ragazzi delle scuole, e gli infermieri” [5]

 

Note

[1] A. Marcantonio, "Elena Gianini Belotti, una Maestra del 900", insegnare, 25/7/2023

[2] C. Amadio, C. Fortugno, "Conoscere la storia per collocarsi come cittadini nel proprio tempo", in Una scuola per la cittadinanza, 2020, a cura di M. Ambel; vol.1 pag. 106

[3] ibidem.

[4]G. Di Caro, "La storia in laboratorio", I ed. 2005.

[5] M. Bottazzo, "Disarmati. Paesi senza eserciti e altre strategie". 2023.

Scrive...

Raffaella Corsi Insegnante di lettere alla scuola secondaria di primo grado, redazione Insegnare

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