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30/03/2024

"essere vasto e diverso e insieme fisso" - Per un Mediterraneo mare di Pace

di gruppo di coordinamento "ritorno al Mediterraneo" - C.I.D.I.
Il convegno nazionale del CIDI a Palermo (15 e 16 marzo 2024) essere vasto e diverso e insieme fisso – Per un Mediterraneo mare di Pace  ha rappresentato per tutti noi un momento importante sul piano politico e culturale. Mettere in dialogo i saperi disciplinari, confrontarsi con i soggetti che, a vario titolo, narrano e vivono i cambiamenti interrogando il sapere storico e il sapere scientifico, le letterature e le lingue,  la sociologia, il diritto e l’economia, le forme della comunicazione contemporanea, il diritto, le arti visive  ha consentito di porsi nuove domande nel solco di quella idea di scuola democratica … una scuola per sapere … che, da Nord a Sud alle isole unisce nel CIDI insegnanti e dirigenti scolastici di nuova e vecchia generazione per garantire il diritto all’istruzione per tutte e per tutti. Ci piace documentare  -  per frammenti  -  le  emozioni e le  riflessioni di alcune  partecipanti al convegno; voci diverse, che, ci sembra,  restituiscano un dire e un  fare corale, pur nella diversità,  che è nella scelta di mettere al centro dell’attenzione temi e problemi del nostro mare, metafora del mondo come ha scritto Morin. Frammenti di un discorso – così ci piace chiamarli – che invitano al dialogo, alla “complicità” fra le discipline, tutte coinvolte in questo viaggio nella conoscenza destinato a chi apprende. Le voci che, nei due giorni del convegno,  hanno attraversato il convegno invitano  il mondo della cultura, la politica, l’editoria scolastica  a considerare possibile la costruzione della scuola del noi, una scuola che non rinunci al suo compito  istituzionale, che ritrovi nel “rimuovere gli ostacoli” le ragioni per lo sviluppo culturale di un paese divenuto nei fatti plurale. Riconoscerne il tratto  genera secondo noi  inclusione scolastica e sociale.
La pluralità dei punti di vista che qui proponiamo, così come ci sono stati inviati,  è anch’essa una proposta per documentare un evento e per continuare nello studio, nella riflessione e nella ricerca curricolare. Le domande che abbiamo posto, nei due anni precedenti al convegno,  alla storia, alla geografia, alla geologia, al diritto e all’economia , alla sociologia, alla pedagogia, alla filosofia, alle lingue non sono  inedite; richiedono, però,  una inversione di rotta,  anzitutto risposte politiche e culturali perché la scuola e la società non possono rinunciare a un profilo culturale della popolazione adulta competente, capace di conoscere e stare al mondo. Una sfida e una utopia da raccogliere, che renda possibile l’uguaglianza sostanziale, ovvero i diritti di cittadinanza.

Caterina Gammaldi

 

Spazio, tempo e contaminazioni

...Le rappresentazioni e le proiezioni sia personali che collettive sono state il vasto campo di studio e riflessione in cui si sono misurati con problemi disciplinari e specifici gli interventi, senza mai dimenticare che il Mediterraneo è narrazione di complessità, di vicinanza e distanza al contempo, e che pretende un’attenzione nuova, scevra da pregiudizi e onesta.
Un tema di larghissimo respiro è stato, naturalmente, lo spazio: reale, narrato, rappresentato, teatro di conflitti ma anche di scambi, teatro di culture, letterature e fedi che si accostano o si mettono in contrasto, grandi linee evolutive e racconti da far diventare casi di studio, per non cadere nella tentazione della semplificazione laddove esiste sempre un bandolo della matassa che, talvolta, si nasconde.
Naturalmente la seconda dimensione (per comodità di catalogazione) trattata è il tempo: anche in questo caso il tempo reale si è mostrato nel suo indissolubile intreccio con quello immaginato, narrato, dilatato o costretto nella stringatezza di un episodio accennato, visto da uno, due, tanti punti di vista differenti che moltiplicano possibilità di scambio ma anche problemi di relazione, di decodifica, di comprensione del reale.
In tutta la sua importanza è stata filo rosso di tutto il convegno la storiografia, che unisce spazio tempo significati speranze e prese d’atto di un non-luogo stratificato: l’esigenza di una periodizzazione esiste ma si scontra con la soluzione facile della semplificazione, motivo per cui è necessario valutare la complessità con la complessità, cercando - in questo - di non perdere mai d’occhio la dimensione didattica, senza la quale qualsiasi sforzo o lavoro finirebbe per essere poco utile. Straordinario supporto alla narrazione storiografica e giornalistica del Mediterraneo sono state le immagini: carte corematiche, video, interviste che h5anno restituito la difficoltà di una partecipazione multipla ad un’identità che si ridefinisce ad ogni scontro e incontro,
Non sono mancate le riflessioni sulle “grandi distanze” sia fisiche che culturali, con i mondi “altri” che nel tempo sono diventati orizzonti simbolici differenti dentro il Mediterraneo e fuori di esso: l’idea di cittadinanza o sudditanza, l’idea di un potere partecipato o assoluto, l’esigenza di stabilire un criterio “universale” laddove spesso regna solo l’eurocentrismo, sono stati momenti intensi di riflessione, non solo in sala ma anche tra i gruppi, nelle pause.
Ampio spazio è stato dedicato ai grandi temi antropologici: il tema dell’identità, dettato dal background, fatto concetto e oggetto di scelta consapevole da parte di ciascuno di noi, cristallizzato nel mito e nei miti che diventano paradigmatici di un’umanità che si muove, si commuove, si esalta e si abbatte davanti ai propri limiti e debolezze. In alcuni interventi i confini sono diventati margini, con una necessaria sottolineatura - ancora una volta - del punto di vista e dell’educazione alla sensibilità e agli “occhiali” da indossare per capire e voler entrare nelle cose.

Il convegno si chiude col suono del mare, proposto da Daniela Sortino come unico modo per ascoltare tempeste e sereno.

Carmen Rotolo, insegnante in un liceo classico palermitano


Spazio, movimento, ambiente, lingue

… Mi soffermo su un’antinomia legata al tema delle migrazioni che mi ha colpito per la crudezza del paradosso: da una parte la brutale descrizione di una tragedia così come è stata narrata nell’ultimo libro “Lacrime di sale” da Pietro Bartolo, il medico che da oltre venticinque anni accoglie i migranti a Lampedusa, e che la giornalista Lidia Tilotta ci ha letto accompagnandosi con alcune terribili immagini della carneficina che si sta compiendo nelle acque del Mediterraneo. La giornalista ha affermato che quella narrazione e quelle immagini vengono da lei utilizzate anche a scuola per cercare di colpire l’immaginario dei ragazzi e per “forare” la bolla di indifferenza in cui vivono. La vivida descrizione ha condotto molti di noi adulti in una situazione di smarrito sgomento che ci ha fatto interrogare sull’opportunità didattica di tale approccio e, più in generale, sull’efficacia e la complessità dell’utilizzo delle immagini in un’ottica di apprendimento e di acquisizioni di conoscenze.

L’altra affermazione è giunta invece da Marco Picone, professore associato di geografia dell’Università di Palermo che, a fronte di una geopolitica che nel definire i confini e le barriere viene utilizzata per fare la guerra, ha proposto una geografia in grado di costruire un immaginario diverso che possa offrire un Mediterraneo pacifico. In particolare, ci ha avvicinato alle mappe mentali che i migranti si creano in base agli spazi percepiti, allo spazio-movimento che si genera durante il viaggio in fuga verso l’occidente ricco. Ho immaginato l’impatto che tali rappresentazioni potrebbero avere sui giovani delle nostre scuole, le opportunità didattiche ed educative che il punto di vista di loro coetanei in viaggio potrebbe avvicinarli ai loro bisogni e alla loro speranza.

Da insegnante ho prediletto la seconda proposizione perché credo che a scuola si debba lavorare sulla comprensione costruita nel tempo, a partire dai ragazzi, con percorsi pensati e mediati dai docenti in riproposizioni e rielaborazioni progressive che coinvolgano le discipline tutte. In questo senso possiamo accogliere con interesse il lavoro descritto dalla Professoressa D’Agostino nel progetto ItaStra dell’Università di Palermo che, partendo dall’analisi dei bisogni e delle risorse dei giovani di recente migrazione, multilingui, connessi, spesso senza alfabetizzazione, recentemente arrivati ​​in Italia attraverso la rotta del Mediterraneo,  tenta di capire la loro percezione del viaggio senza avere una lingua comune, di individuare le loro competenze, conoscenze e punti di vista durante il lungo periodo di sfollamento e all’arrivo in Italia.  Lo scopo è quello di moltiplicare i punti di vista, le rappresentazioni degli spazi percepiti per incontrare realmente i loro vissuti. Uno spunto che potrebbe servire per ripensare lo studio del Mediterraneo anche nelle scuole.

Luisa Girardi, insegnante nella scuola primaria torinese

 

Lo stivale si è capovolto

...In attesa che il convegno inizi veniamo travolti dagli odori promiscui, dalle architetture multi stilistiche e dai volti senza confini. La musica di Jovanotti da l’avvio a questo “in-contro” intorno al Mediterraneo; obiettivo è restituire anima alla cultura e far giungere a scuola una nuova forza dirompente promotrice di dialogo e Pace.
Bisogna porre attenzione “al modo di fare scuola”, perché attraverso la scuola si possa dar forma e valore al futuro senza che la scuola stessa venga colonizzata da interessi economici deprimendo la vivacità dei cittadini di domani. La scelta del Mediterraneo nasce proprio perché spazio dove si sono contaminati i costumi, le arti, le lingue, i saperi fecondando l'umanità. Non potrà esserci sostenibilità se si perde la dimensione umana.
È necessario interrogarsi su quanto è accaduto nei tempi lunghi, far evolvere il concetto di “identità” dalla dimensione del noi in contrasto con l’altro alla dimensione del "Noi" coessenziale con gli "Altri". L'identità del "Noi" che chiede di relazionarsi con gli altri ma non in un processo di integrazione piuttosto nel continuo tentativo di costruire spazi dialoganti, dove ci si confronta, si negozia. Non si può pensare che l'equilibrio tra noi e gli altri sia statico unico e immodificabile piuttosto bisogna credere e immaginarsi una società in bilico, non squilibrata, non statica, ma in movimento, capace, nell'esperienza, di cambiare verso, di cambiare decisione rimanendo in un equilibrio dinamico.
Dunque il Mediterraneo è uno spazio di contaminazione capace di rompere la fissità dell'identità, è un bacino, un porto, una porta. “Mediterraneizzare il pensiero” così come dice Morin significa fare in modo che ci siano contaminazioni di sapienza e di saperi.

Baldacci ci invita a considerare come la lettura di quanto avviene oggi ed è avvenuto in passato sia fortemente condizionato dall'uso che facciamo delle parole, da come raccontiamo quello che accade, ed è così che il confine diventa porta o muro.
Non possiamo interpretare la realtà facendo uso delle categorie proprie del mondo Occidentale, la complessità va letta con la complicità delle diverse discipline.

Un convegno generoso ed emozionante che ha “dilatato l’anima”, che non ha dato risposte o certezze ma concretizzato i limiti. Il mare ci chiede di ascoltare, il mare ci chiede di andare, il mare ci chiede di dare.

Ivana Galli, insegnante di arte e immagine nella scuola media cosentina


Frammenti 

L’arrivo  - Mi sono venute in mente le trame e gli intrecci che hanno costruito questo convegno, con tanti fili diversi che mi hanno coinvolta, abbracciata, accompagnata.
I nostri, come donne e uomini di scuola, sono percorsi che vengono da lontano, da anni di studio condiviso, dal bisogno di un associazionismo che non fosse solo professionale ma che entrasse dentro le politiche scolastiche che troppo spesso, nel nostro paese, hanno affossato le spinte al cambiamento e la tensione continua a costruire spazi di relazione con i nostri studenti e con le colleghe e i colleghi. Questo è stato il filo: parlarci, incontrarci finalmente di persona,  poter condividere luoghi ed emozioni. Confrontarci sull'idea di scuola, di formazione, di cittadinanza che stavamo costruendo insieme.

Domande e problemi  - Domande che non necessariamente esigono risposte. Pongono problemi. Perché le sponde del Mediterraneo non si parlano? Penso all'intervento di Mostafà  Hassani Idrissi.” In che modo si è costruita intorno al Mediterraneo una entità storica specifica? “il Mediterraneo dovrebbe recuperare il ruolo di intermediazione che aveva nel Medioevo e superare  il disequilibrio  progressivo delle sue rive a vantaggio dell'Europa”. “Cosa avviene quando la rappresentazione geografica diventa storia?” o forse ha detto:”Come avviene che la rappresentazione geografica diventa storia?”
Il tempo e lo spazio si intersecano e si annodano, è impossibile non fare riferimento al presente. Conta ciò che vogliamo, vorremmo.

Pace, un Mediterraneo di pace.
La riflessione sul tempo mi guida nelle due giornate: il lunghissimo periodo di Broodbank e il medioevo di Aymard e Brusa, il medioevo che modifica il suo sguardo verso il Mediterraneo e il tempo dei luoghi che si fa memoria e parola.
“Parole in transito” abbiamo definito un percorso nella seconda parte di “Ritorno al Mediterraneo” e mi ha coinvolto moltissimo la riflessione sulle parole che torna in molti degli interventi dei relatori. Se il nostro sguardo cambia nel tempo anche le parole non restano immutabili, fisse, si spostano  da un periodo all'altro della storia, portano con sé nuovi significati, a volte peggiorativi. L’elencazione delle parole che non dovremmo usare ci permette una lettura politica del modo con cui narriamo ciò che avviene, che non è solo avvenimento ma spia di cambiamenti non sempre positivi. Perciò, ci ricorda Attilio Mastino, non sbarco ma approdo, non invasione ma accoglienza, inclusione.

Le carte non rappresentano lo spazio ma l'idea che ne abbiamo. Questo mi porta alla storia. Il legame, la complicità fra le due discipline, storia e geografia, emerge in tante relazioni e ancora di più mi convinco che sarebbe utile  dargli sostanza nella pratica didattica.
Maurice Aymard mette in evidenza l’importanza dei contesti per capire il punto di vista degli altri. Usa la parola cambiamento, ci invita ad analizzare il presente: le guerre degli ultimi due anni, l’aumento della popolazione, il sud globale che fa fronte comune nei confronti delle potenze occidentali.

Cosa possiamo portare in classe? Come passare dalle tracce alle fonti?
La mia riflessione sul passato e sul cambiamento si è completata con la visita al museo archeologico Salinas, con le sue testimonianze di un passato che ancora ci intriga. Mi ha ricordato che anche io, che non insegno più, imparo e mi modifico. Scelgo nuove parole e parole antiche, sono custode e dispensatrice di memoria.

Rita Sanna, già insegnante di lettere nella scuola media cagliaritana


Pensieri, riflessioni, nostalgie

È possibile dunque parlare ancora di Mediterraneo senza scadere nelle stereotipie e comprendere come questo mare, crocevia di culture, ci costringe ancora a posare il nostro sguardo su di esso per ricostruire il passato, nutrire la memoria e guardare al futuro di noi che in questo mare viviamo.
Nel convegno ogni  relatore dunque ha posato il suo sguardo sul Mediterraneo, assumendo un personale punto di vista: storico, politico, economico, geografico, sociologico, archeologico, giuridico, letterario. Ogni intervento un richiamo, un invito a guardare alla storia del Mediterraneo come a una storia da condividere ("Une Histoire à partager" – Mostafa Hassani Idrissi), nello spazio e nel tempo. Dal Mediterraneo medioevale al Mediterraneo di oggi, gli eventi, i fatti di ogni donna e ogni uomo, vanno visti, riletti come la storia di un’umanità, che al di là delle barriere e dei processi culturali e politici, in esso ha tessuto relazioni, si è incontrata, ha maturato conoscenze, ha delineato il proprio destino. 

Un invito netto, dai diversi approcci, a superare gli stereotipi che hanno accompagnato la costruzione della storia di questo mare; liberarsi da una storia eurocentrica o soltanto arabo-islamica, superare le divisioni nord-sud, est-ovest, mare-terra, monoteismo-politeismo, cultura-economia. Il Mediterraneo va piuttosto visto come più civiltà assommate, un crocevia di civiltà, un ammasso di civiltà (De Bernardi). È da queste divisioni infatti che si sono costruite concezioni differenti di cittadinanza e di identità, in relazione ai contesti socio-politici delle aree del Mediterraneo.

Cosa significa dunque essere cittadini del Mediterraneo e del mondo? Capire e imparare il Mediterraneo, riflettere sulle reciprocità per costruire l’identità come un noi, un noi che ingloba il concetto di Altri, non come integrazione, ma come integrità, quell’integrità che mantiene incorrotte e pure le nostre peculiarità. Per questo bisogna creare contesti e spazi etici, assumendo l’idea di Braudel: il Mediterraneo non è una civiltà, ma un insieme di civiltà che si mescolano e che possono avere un incontro in questo “Mare Nostrum”, nostrum perché fa parte di noi e di cui ci prendiamo cura. In questo modo il Mediterraneo permane quel luogo di contatti conoscitivi che possono corrompere la fissità dell’identità. Dunque una cittadinanza in continua costruzione, che nasce dal confronto, dalla conoscenza dell’Altro e conduce ogni singolarità verso l’universalità. In questo si impegna il senso pedagogico della scuola, costruire le singolarità di ogni donna e di ogni uomo verso l’universalità.

È dunque in questa ottica, la costruzione di un pensiero pedagogico, che non deve appartenere soltanto alla scuola, orientato alla costruzione della universalità che occorre riconsiderare l’idea di confine, quella linea di divisione che può essere anche di contatto, di scambio. Guardare al Mediterraneo come muro o come ponte, avere di esso la visione di un luogo di conflitti o di dialogo tra le civiltà. Comprendiamo come dall’assunzione di una di queste prospettive dipende l’intero progetto educativo della scuola in generale e del nostro fare scuola nel quotidiano. Occorre ripensare al Mediterraneo come ponte, come uno spazio cosmopolita, che accoglie gli incontri, promuove il dialogo e ci permette di pensarci come cittadini del mondo, come una umanità che dialoga. Questo comporta l’abbandono di modelli centrati sul potere economico e percorrere le strade della solidarietà. Dunque una pedagogia che abbandona l’idea della tradizione culturale statica, orientata alla reiterazione di modelli sempre uguali a sé stessi, supera il concetto di integrazione e si sposta verso la transazione, dinamica attraverso la quale i poli si incontrano e si modificano reciprocamente, nel rispetto e valorizzazione delle differenze.

C’è una pedagogia che parte dal Mediterraneo, che ne fa Storia e poi Geografia, Scienze, Arte, Lingua, Matematica, …, che interpella le diverse discipline, le pone in dialogo e le rende complici. C’è un momento, come dice Maurice Aymard, in cui il Mediterraneo diventa un argomento di cui occuparci, che ci interessa, che ci appartiene.
Dunque il dialogo tra i diversi saperi disciplinari deve necessariamente orientarsi alla formazione di cittadini del mondo attivi, riflessivi, critici e responsabili. E si torna a quel titolo “Mediterraneo mare di pace” perché la pace si costruisce attraverso l’agire umano, di donne e uomini la cui vita, il cui destino è destino comune, universale.
A noi il compito di riscrivere la Storia, ri-narrarla, con parole di pace, con un lessico delicato, umano che anziché costruire muri, sa costruire ponti per orientare le scelte politiche e rendere ragione della verità che spesso viene falsificata.

Anna Sorci, insegnante nella scuola primaria palermitana

 

 

Parole chiave: educazione alla pace, pace