È chiaro che per descrivere la forma del mondo la prima cosa è fissare in quale posizione mi trovo, non dico il posto ma il modo in cui mi trovo orientato, perché il mondo di cui sto parlando ha questo di diverso da altri possibili mondi, che uno sa sempre dove sono il levante e il ponente in tutte le ore di giorno e di notte, e allora comincio col dire che sto con la faccia in direzione del mare, il che equivale a dire che volto al monte le spalle, perché […] solo a partire da lì posso situarmi in rapporto allo spazio, e verificare le proprietà dello spazio e delle sue dimensioni
(da Romanzi e Racconti).
Italo Calvino, uno dei più grandi scrittori del XX secolo, non è solo un maestro della narrativa, ma anche un abile geografo letterario. Calvino, cerca, trova e percorre una strada che unisce i diversi linguaggi, senza però fonderli gli uni agli altri, riuscendo sempre a preservare le specificità. Noto per la sua maestria nel mescolare fantasia e realtà, trasforma la geografia in una vera e propria forma d'arte. Utilizza il sapere geografico come strumento per esplorare oltre i confini della realtà, creando paesaggi mentali che sfidano le convenzioni tradizionali. Il concetto di viaggio, infatti, è centrale nelle sue opere, e attraverso i protagonisti, visita le geografie esterne ed interne, in cui il viaggio diventa un'occasione per scoprire non solo luoghi fisici, ma anche gli angoli più nascosti della mente umana.
Di pari passo anche il Calvino uomo percorre confini geografici e culturali, contribuendo alla ricchezza del panorama letterario mondiale. La sua influenza raggiunge la narrativa, la critica letteraria e l'immaginario collettivo, dimostrando la capacità di connettere diverse culture e stimolare un dialogo transculturale.
Durante il viaggio in Iran (1975 Calvino e Citati partecipano a un documentario Rai in Iran, fortunatamente lo raccontarono sui giornali, perché il film andò perduto), i luoghi, le persone, gli odori, i colori, l’arte e la storia si intrecciano in suggestioni, in silenzi, in vuoti… come nella narrazione del mihrab:
“Il mihrab è la nicchia che nelle moschee indica la direzione della Mecca. Ogni volta che visito una moschea, mi fermo davanti al mihrab e non mi stanco di guardarlo. Quello che m'attira è l'idea d'una porta che fa di tutto per mettere in vista la sua funzione di porta ma che non s'apre su nulla; l'idea d'una cornice lussuosa come per racchiudere qualcosa d'estremamente prezioso, ma dietro alla quale non c'è niente”.
I luoghi diventano dimensioni conoscitive, tutto assume un significato: “Solo un pensiero mi fa sentire a mio agio: i tappeti. È nella tessitura dei tappeti che i nomadi depositano la loro sapienza: oggetti variegati e leggeri che si stendono sul nudo suolo dovunque ci si ferma a passare la notte e si arrotolano al mattino per portarli via con sé insieme a tutti i propri averi sulla gobba dei cammelli” (da Collezioni d Sabbia, Iran).
Calvino utilizza gli elementi geografici come parte integrante delle sue storie. Le carte geografiche, in particolare, emergono come uno strumento letterario che sfrutta per delineare paesaggi fisici ed emotivi.
Nel Viandante nella mappa - lunga recensione che lui realizza nel 1980 per una mostra di carte geografiche organizzata al Centre Pompidou, uscita dapprima come articolo giornalistico e poi raccolta in Collezione di sabbia (1984) - ripropone fin dalle prime battute un confronto con la pittura, anche se stavolta il primo termine di paragone è la mappa. La natura di questa mappa è narrativa, essendo legata principalmente all’esperienza del viaggio e costituendone, dunque, una rappresentazione:
“La forma più semplice di carta geografica non è quella che ci appare oggi come la più naturale, cioè la mappa che rappresenta la superficie del suolo come vista da un occhio extraterrestre. Il primo bisogno di fissare sulla carta i luoghi è legato al viaggio: è il promemoria della successione delle tappe, il tracciato d’un percorso. Si tratta dunque di un’immagine lineare, quale può darsi solo in un lungo rotolo”. (Da Collezione di Sabbia, Il viandante nella mappa) .
Calvino afferma che la costruzione della mappa non è solo un semplice strumento per rappresentare il reale, ma un momento di vera e propria interpretazione del mondo:
“Per dire ciò che contiene questo scenario, il reticolo di relazioni che intercorrono tra un punto e l’altro del quadro, occorre dare a ciascuno di questi elementi i suoi perché e i suoi percome, il suo prima e il suo poi, e per compiere quest’operazione occorre introdurre nella descrizione spaziale la dimensione del tempo, ossia la storia. Spesso basta nominare i luoghi per dar loro uno spessore temporale: i nomi propri hanno questo potere” (da Collezione di Sabbia, Il Viandante nella mappa).
Nel racconto “Il marmo e il sangue”, fa apertamente riferimento alla rappresentazione cartografica, descrivendo così il cartellone che illustra i diversi tagli di carne ricavabili dalla macellazione:
“In un cartellone al muro, il profilo d’un bue appare come una carta geografica percorsa da linee di confine che delimitano le aree d’interesse mangereccio, esclusi corna e zoccoli. La mappa dell’habitat umano è questa, non meno del planisfero del pianeta, entrambi protocolli che dovrebbero sancire i diritti che l’uomo s’è attribuito, di possesso, spartizione e divoramento senza residui dei continenti e dei lombi del corpo animale”. Qui Calvino ci offre un esempio straordinario di come la geografia diventi una chiave interpretativa per svelare i misteri della vita e per immergersi nelle profondità della condizione umana, invitando così a riflettere sulla complessità del nostro rapporto con lo spazio e con il tempo.
Calvino ha offerto una prospettiva unica sulla geografia, sottolineando come essa sia legata alle esperienze umane, alla memoria collettiva e alle più profonde riflessioni sulla vita.