Be change you want to see in the world
(Mahatma Gandhi)
La scorsa mattina, sulle mura di una scuola di Torino, è apparsa una scritta a caratteri cubitali: “AGENDA 2030 = BUGIE”, una delle molte scritte di protesta realizzate su luoghi diversi nella città nell'ultimo mese.
La prima riflessione: “Perché anche su una scuola, oltre che su altre istituzioni pubbliche?”. La seconda considerazione: “La scuola rischia di farsi espressione di una retorica resa mendace dalle istituzioni?”.
L’analisi cade sulle false speranze, verso una generazione che ha creduto, crede e vuole il cambiamento.
Sono le generazioni a cui abbiamo insegnato e stiamo insegnando i diritti e i doveri; a cui abbiamo fatto credere possibile che il Mondo e i suoi abitanti, in un immaginario 2030, non sarebbero stati perfetti ma di sicuro migliori, perché generatori di cambiamento, di giustizia, di democrazia, di adattamento.
Proprio quell’Agenda 2030, dal carattere giornaliero, che avrebbe dovuto consentire di oggettivare i mali del mondo per fare, nel piccolo di ognuno, qualcosa di grande.
Dentro questo ambizioso documento è posseduta l’anima della Terra, scandita in 17 passi (goal):
Traguardi fondamentali, obiettivi comuni che avrebbero dovuto riguardare tutti i Paesi e tutti gli individui, nessuno escluso, perché nessuno doveva essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il pianeta sulla strada della sostenibilità.
L’Agenda 2030, a più riprese, ha chiamato in causa la scuola segnalando l’esigenza di perseguire un’istruzione di qualità - equa e inclusiva - quale presupposto fondamentale per migliorare la vita delle persone, raggiungere un reale sviluppo sostenibile, tutelare i diritti umani.
Ad oggi i risultati sono ancora deboli e quell’“istruzione universale” è ancora, per molte realtà, un miraggio.
Cosicché, i futuri cittadini a cui abbiamo chiesto di costruire e padroneggiare una cittadinanza ampia e articolata, stanno esprimendo, o cercando di esprimere, il proprio senso della legalità, la propria etica verso le responsabilità, il proprio pensiero critico, la propria disillusione.
Fin dal 2015, quasi 200 Paesi, hanno sottoscritto un programma d’azione assumendo l’impegno di sradicare la povertà, raggiungere l’uguaglianza di genere, ridurre le disuguaglianze, promuovere società pacifiche, proteggere gli ecosistemi.
Quello stesso Mondo che oggi, a quasi 10 anni di distanza, sta mostrando altre verità.
La disillusione nasce quando ci si accorge che i diritti umani non sono sempre garantiti, che il benessere globale è un’utopia, che le società pacifiche sono ancora un sogno dell’umanità.
Da docente fa male vivere, insegnare, riflettere sull’attualità. È frustrante vedere che le Istituzioni nelle quali avevamo creduto non hanno potere di cambiamento. L’interdipendenza è diventata dipendenza, l’apertura si è tramutata in chiusura.
I muri crescono, i confini si fortificano e la paura aumenta.
La cittadinanza globale rimane un ideale, ma fuori tempo, perché non c’è tempo di credere, bisogna difendersi.
Tra pochi giorni nelle scuole si tornerà a parlare di memoria, perché alla scuola piacciono le giornate “dedicate”, quelle che consentono di togliere i pesi dalla coscienza, così da tornare poi, il giorno dopo, più serenamente, al programma.
Si parlerà di pace, rispetto, diritti umani, fratellanza; si ricorderanno le atrocità storiche, che tanto dolore danno ancora oggi; ma bisogna farlo, perché l’umanità non deve commettere gli stessi errori.
Poi, però, come sempre in classe ci sarà quell’alunno dallo sguardo sveglio, che si alzerà in piedi e affermerà che tutto è un’illusione. Poi chiederà spiegazioni, aspettandosi delle risposte. A lui non sarà possibile fare spallucce, perché pretenderà una lettura critica della realtà, chiederà un’argomentazione dell’attualità e, soprattutto, vorrà un confronto onesto tra il passato e il presente.
A questo il docente deve essere pronto, preparato e intellettualmente onesto.
La scuola ha il compito di preparare i giovani alla vita, dando loro gli strumenti necessari per affrontarne anche gli aspetti più difficili, complessi, davanti ai quali non si possono chiudere gli occhi.
Una scelta educativa, questa, necessaria, non certo facile, che richiede una riflessione critica, una progettualità condivisa, una intenzionalità consapevole e, soprattutto, un approccio didattico agito, dinamico, duttile e interattivo.
L’obiettivo, la strada, dovrà portare: a un pensiero critico generatore di cambiamento; a un senso della legalità in continua costruzione; a un’azione consapevole e responsabile.
Importante insegnare a crederci, comunque e sempre, esortando ad essere, ciascuno, il futuro cambiamento che vorrebbero vedere nel Mondo.