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cultura e ricerca didattica

02/05/2024

La cura delle parole – valutazione

di Caterina Gammaldi

Una prima riflessione

La cura delle parole cara a Giancarlo Cerini e a tutti noi, mi ha portato a Forlì, nel giorno del suo compleanno (il 19 aprile scorso) per il seminario nazionale del CIDI "Indicazioni nazionali una bussola per la scuola",  a parlare di valutazione mite. Un sostantivo e un aggettivo che provo qui a ri-attraversare con lo sguardo di una ex insegnante di scuola media.

In una fase in cui la valutazione degli apprendimenti torna al voto camuffato anche nella scuola primaria secondo una scala numerica da 0 a 10, penso sia utile ripercorrere le scelte culturali e legislative in materia di valutazione che sono state proposte negli ultimi decenni . Provo a farlo utilizzando una sorta di tavola del tempo personale. Penso possa essere utile per accompagnare chi, nella  scuola,  si pone il problema del cosa e del come insegnare/valutare, privilegiando lo studio, la riflessione e la ricerca educativa in materia di insegnamento – apprendimento e quindi di valutazione.

Propongo due brevi citazioni che hanno segnato il mio percorso professionale. Penso possano dare indicazioni per incrementare la nostra riflessione su chi è l’insegnante riflessivo, il maestro.

  1. Scrivono Visalberghi e Corda Costa:  Immaginiamo un maestro o un insegnante secondario che voglia verificare le capacità di scrittura e di lettura di un proprio allievo o della classe intera. Egli, prima ancora di approntare una prova di verifica o di utilizzare strumenti standardizzati […] si interroga sul percorso didattico che ha svolto fino a quel momento. […] alla ricerca di alcuni indicatoriche gli permettano di verificare  o meno il raggiungimento degli obiettivi prefissati … la valutazione poggia su dati, osservazioni, rilevazioni che sono delle misurazioni relative all’impatto del suo intervento”.
  2. Scrive Vertecchi:"… La complessità delle funzioni che competono alla valutazione nel processo formativo richiede che si utilizzi una grande varietà di strumenti per la verifica delle conoscenze e delle abilità possedute dagli allievi … Un insegnante, pur bravo, se non adegua la sua sensibilità interpretativa al contesto in cui agisce resta legato nella sua azione a un vago senso comune …se la valutazione si limita a prendere atto dei risultati conseguiti dai singoli allievi (variabili dipendenti),  le caratteristiche individuali appaiono come le sole variabili indipendenti, mentre se si considerano le condizioni in cui il processo si svolge si rivelano altre variabili  indipendenti, costituite proprio da tali condizioni.

In entrambe le citazioni, fra le tante che potrei condividere, segnalo l’attenzione  a distinguere la valutazione e la misurazione osservando, però,  che la prima non può essere identificata con gli strumenti e la seconda è un momento di un processo, ovvero, per dirla nel primo caso con Visalberghi e nel secondo caso con Vertecchi,  che “la misurazione nasce dalla valutazione e nella valutazione confluisce mantenendo una propria autonomia”  e ancora che “ la priorità della verifica consiste nel fatto che essa ha il compito di rilevare elementi obiettivi, mentre la valutazione si esprime attribuendo a tali elementi un valore …”

Insegnare/valutare in contesto

Riparto  dal mio primo giorno di scuola come insegnante supplente in 3C e  dagli anni che seguirono dal 1974 al 1979.  Approdo in una scuola media della periferia milanese,  migrante da sud a nord come le mie studentesse e i miei studenti prevalentemente siciliani, calabresi, campani, sardi al seguito dei loro genitori (da contadini a operai).

Una esperienza che mi interroga su cosa e come insegnare/valutare se i destinatari sono adolescenti che vivono in situazioni familiari difficili, che non  hanno libri in casa,  parlano  quasi esclusivamente il dialetto, non hanno avuto percorsi scolastici regolari.   Porto con me le  idee che condivido in quegli anni nei gruppi che frequento,  che vedono  quali protagonisti indiscussi don Lorenzo Milani e Tullio De Mauro. Gli aventi diritto all’istruzione obbligatoria nella scuola media sono ancora davvero pochi, nonostante sia passato un decennio dalla riforma della scuola media. Non dispongo, come tanti insegnanti, di una cassetta degli attrezzi che faccia leva sulla dimensione formativa delle discipline e sugli aspetti psico – pedagogici e metodologico – didattici, anche a causa di percorsi universitari poco inclini a porsi domande sull’insegnare e sull’apprendere a scuola. In quel contesto, un quinquennio importante per i cambiamenti che investiranno la scuola, mi accompagnano le prime riflessioni sull’educazione linguistica democratica, sulla formazione storica, sulla struttura formativa delle discipline, sulla comprensione dei testi, sulla valutazione degli apprendimenti; esse diventano per me/per noi occasione di studio e di ricerca. Particolarmente aspro il confronto sulle tesi di don Lorenzo, che investono il modello di scuola degli anni 60 – 70, fondato anzitutto su una critica alla valutazione. “Lei ne ha bocciati tanti…”

Si afferma che la valutazione non è un fine, ma un mezzo, ma si stenta a trovare spazi e tempi per una condivisione; prevale ancora una idea di valutazione che privilegia le nozioni, che guarda ai risultati, che viene utilizzata come strumento di potere; è ancora una valutazione dell’apprendimento non per l’apprendimento come impareremo, negli anni a venire, lavorando insieme. La scuola media Anna Frank, in cui lavorerò in tutti quegli gli anni, sarà per me un luogo di confronto e di sviluppo professionale.

Sono gli anni immediatamente precedenti ai Programmi del ’79: la programmazione didattico – educativa e la valutazione cominciano a camminare insieme e ci chiedono di misurarci con una serie di variabili che sono ancora le stesse: il contesto macro e micro ( il territorio, la classe, l’istituto, le risorse, le metodologie, i saperi) in cui si inserisce l’azione educativa. Sono gli anni della 517/77 che segnano il superamento, come scriverà Luciana Pecchioli, “dell’arbitrarietà del voto che esprimeva un giudizio implicito che nulla diceva delle competenze effettivamente possedute dagli allievi”. Sono gli anni in cui l’osservazione sistematica suggerita dalla ricerca valutativa sollecita l’attenzione degli insegnanti agli strumenti e alle prove adottati, per comprendere davvero i processi e gli esiti.

La valutazione formativa e le prove

Coinvolta in un progetto editoriale coordinato da Visalberghi, costruisco i test di verifica di storia, prove “utilizzabili per la valutazione formativa, strumenti di accertamento rapido e specifico delle acquisizioni e delle difficoltà in grado di orientare verso l’individualizzazione dell’insegnamento”. Pratico un’idea di valutazione formativa che si interroga sulla situazione di partenza, prova a dare sistematicità alle osservazioni delle situazioni, indaga i processi, non solo voti e classifiche. Una scelta che mi permette, utilizzando la misurazione, di assumere informazioni su quanto è stato appreso, di intervenire rapidamente sulle difficoltà riscontrate, costruendo azioni di miglioramento.

Il decennio è segnato da studi, indagini e scelte legislative incoraggianti. Le trasformazioni sociali sono tali che rapidamente anche la scuola ne è travolta. In quegli anni dopo i Programmi del ’79 della scuola media anche la scuola primaria è attraversata da processi di riforma (Programmi dell’85), così come la scuola superiore dal progetto Brocca (1990) e la scuola materna dagli Orientamenti del ‘91. Documenti segnati dalla valutazione formativa, che trova uno spazio sempre più ampio nelle scelte di gruppi professionali sempre più consistenti.

In questa prospettiva, per richiamarne l’importanza, propongo la rilettura di un frammento dei Programmi dell’85 della scuola elementare e degli Orientamenti del ’91, che aggiungono riflessioni in materia di valutazione, segnalando che, in tal senso, non si parte da zero, se mai dalla consapevolezza che la valutazione è interna ai processi di insegnamento – apprendimento e che questo aspetto non può essere cancellato da norme che riportano nella scuola primaria i giudizi sintetici in luogo dei livelli.

  “Al fine di assicurare una effettiva valutazione dei punti di partenza e di arrivo, dei processi e delle difficoltà riscontrate e degli interventi compensativi attuati, gli insegnanti devono raccogliere in materia sistematica e continuativa informazioni relative allo sviluppo dei quadro di conoscenza e abilità, alla disponibilità ad apprendere, alla maturazione del senso di sé, di ogni alunno…”. “L’osservazione occasionale e sistematica … consente valutare le esigenze del bambino e di riequilibrare via via le proposte educative in base alla qualità, delle sue risposte…”

Una prospettiva che investe su una  valutazione che è raccolta di informazioni, che assicura a chi apprende un’attenzione che va al di là dei contenuti appresi. Impegna la dimensione professionale e la collegialità degli interventi.

Indicazioni per il curricolo e competenze

Sul finire degli anni ’90 irrompono nel fare scuola l’autonomia, le indicazioni per il curricolo, le competenze, parole – concetti che chiedono di guardare a una idea di valutazione coerente con il nuovo modello scolastico che si va configurando. E’ una prospettiva culturale che interroga la dimensione professionale, l’agire individuale e collettivo in ragione della prescrittività dei traguardi per lo sviluppo delle competenze e degli ambienti di apprendimento, che rischia di essere praticata in fretta senza l’attenzione che merita. Criticità, punti di forza dei contesti educativi rappresentano l’occasione per domandarsi se la valutazione degli apprendimenti può prescindere da una riflessione sulle didattiche disciplinari e sulle procedure adottate. Troppo spesso in materia di valutazione degli apprendimenti mancano i criteri, troppo spesso non sono condivisi, troppo spesso si ricorre a strumenti suggeriti dalla ricerca (ad esempio le griglie ) senza contestualizzarli. E torna in primo piano chi rivendica il rigore del voto e della disciplina, ovvero la quantità e la condotta. Partecipo alle indagini internazionali come coordinatore delle interviste e come control monitor; ricavo nuovi elementi su cui confrontarmi e riflettere.

In quegli anni la scelta di orientare la didattica alle competenze richiede scelte e decisioni nella progettazione del curricolo, guardando a quel mix di conoscenze, abilità e atteggiamenti che stanno nelle competenze. Una dimensione che incoraggia al confronto con altri paesi europei.

Gli anni fra 2000 e il 2012 passano però anche nelle contraddizioni. La scuola e l’Europa verso il 2010, il riordino dei cicli e le scelte della Commissione De Mauro, la revisione degli ordinamenti didattici e i Piani di studio personalizzati, le Indicazioni del 2007, il ritorno al voto nella scuola primaria nel 2008 , le Indicazioni nazionali del 2012. La scuola di base è sotto pressione, gli insegnanti sono disorientati fra personalizzazione, tutor, portfolio e voti e espressioni come "la valutazione precede accompagna e segue i percorsi curricolari".

Due aspetti, in contrasto fra loro, alimentano il dibattito sulla valutazione degli apprendimenti in quegli anni fra quanti provano a sperimentare l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo anche in materia di valutazione e chi, invece, propone la diversificazione degli interventi educativi e di conseguenza della quantità delle nozioni apprese e la personalizzazione. Poco più di un decennio in cui si confronteranno modelli della didattica diversi, che finiranno per alimentare la confusione sul chi valuta cosa e perché. Le indagini internazionali, le rilevazioni nazionali pongono nuovi interrogativi e proprio sul terreno del fare scuola orientando i comportamenti professionali verso l’addestramento alle prove, benché i documenti ministeriali si esprimano chiaramente contro una tale impostazione. Sempre meno si afferma una valutazione di cui si è responsabili nella collegialità secondo criteri espliciti; la comunicazione adottata disorienta chi apprende e chi ha la cura educativa dei soggetti, nello specifico i genitori dei minori.

“La valutazione che educa”

Gli anni della pandemia riportano in primo piano la questione della valutazione degli apprendimenti in una situazione inedita, archiviata in fretta. Ci si pone il problema di cosa valutare e come in una situazione che pone in primo piano i singoli dietro uno schermo. Il clima della classe, il discutendo si impara, l’educare al noi istruendo, i due principi pedagogici a cui mi piace affidare la progettazione curricolare e la valutazione degli apprendimenti, non sembrano trovare spazi e tempi di riflessione. L’insediamento delle Commissioni presiedute da Giancarlo Cerini, da Susanna Mantovani, da Elisabetta Nigris, pur nei limiti imposti da una scelta che non include la scuola media che fa parte del primo ciclo, fa ben sperare. I documenti di orientamento della comunità professionale e le Linee guida allegate alla normativa di riferimento garantiscono il ritorno alla valutazione dei contesti educativi, alla valutazione formativa, agli obiettivi di apprendimento e ai livelli. Una scelta da cui riparte la ricerca educativa in materia di valutazione in cui si inseriscono gli studi di Cristiano Corsini che riprendono gli studi della pedagogia sperimentale, a partire da Visalberghi. Si registra un’attenzione inedita della scuola tutta a quelle riflessioni anche nella scuola superiore. Sono tantissime le esperienze di sperimentazione che sollecitano il superamento del voto, anche lì dove non è stato mai abbandonato.

Mi domando, in conclusione, perché si torni a parlarne oggi invocando una comunicazione verso terzi più snella, perché si emanano norme in contrasto con una visione che vuole ancorare la valutazione ai processi, norme che riportano fin dalla scuola primaria il gravemente insufficiente. Temo che la risposta sia sempre la stessa, ovvero selezionare, dividere chi sa da chi non sa … è più facile per chi vuole una scuola che sanziona.

Prendersi cura di chi apprende esige di più. Se questo è il terreno dello scontro penso sia legittimo chiedere alla comunità professionale di reagire difendendo il lavoro non meno rigoroso di chi pensa che rimuovere gli ostacoli è la  scelta da fare,  a vantaggio di chi apprende,  perché come non è scindibile insegnare e valutare, non lo è insegnare e apprendere. La valutazione che educa non è estranea al processo di insegnamento – apprendimento e  si co-costruisce insieme. A meno non si voglia tornare alla scuola precedente al 1962. Non è quella per cui tanti abbiamo lavorato.

Bibliografia

Aldo Visalberghi, Misurazione e valutazione nel processo educativo, 1955 La Nuova Italia 

Benedetto Vertecchi, Manuale della valutazione. Analisi degli apprendimenti, Editori Riuniti 1984 - 1998.

Maria Corda Costa - Aldo Visalberghi, Misurare e valutare le competenze linguistiche, 1995 La Nuova Italia.

Benedetto Vertecchi, Parole per la scuola, Franco Angeli 2012.

Giancarlo Cerini, La valutazione mite in Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid editrice 2021.

Cristiano Corsini, La valutazione che educa, Franco Angeli 2023.

Scrive...

Caterina Gammaldi A lungo docente di scuola media; già componente del CSPI

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