Non è difficile immaginare quello che accadrà nelle scuole nella discussione- se ci sarà - sulle Linee Guida sulla valutazione che accompagnano la reintroduzione dei giudizi al posto del voto numerico nella scuola primaria.
La quasi totalità accetterà questa nuova norma. La maggioranza nella convinzione che il voto è decisamente meglio. Una parte minima convinta che il giudizio che la norma introduce sia tutto sommato più giusto perchè più articolato rispetto alla sinteticità del voto, ed un gruppo sparuto troverà insopportabili anche quei giudizi così formulati, ma li accetterà considerandoli un male minore.
A dire il vero, a giudicare da quanto viene indicato nelle Linee Guida, hanno ragione i primi. Il voto è meglio. La valutazione, per come lì viene presentata, rappresenta un atto burocratico-tecnologico ugualmente e spietatamente freddo. Nel senso che afferisce a una tecnica che vuole ordinare e incasellare in livelli. E lo fa smontando e articolando il processo di insegnamento-apprendimento come se fosse un ingranaggio meccanico. Di cui rendicontare.
Se la logica che sovrintende questo processo è ugualmente burocratico-tecnologica, allora il parametro numerico ne rappresenta il suo riferimento più vicino. Il giudizio ne è solo un travestimento.
Non se ne esce, a mio avviso, se non ci si allontana e non si considera la cornice ideologica dentro cui la scuola è immaginata e di cui la valutazione è figlia. Non si capisce, altrimenti, perchè questo processo che viene ammantato di un alone “razionalizzante” non venga esteso anche agli altri ordini di scuola.
Da sempre l’umanità ha affrontato il problema della formazione delle nuove generazioni.
Nelle botteghe si andava da un maestro che possedeva la conoscenza - e che aveva autorevolezza in virtù di quella- e si imparava. La consapevolezza dell’adulto guidava la consapevolezza e la conoscenza di chi si stava formando.
Questa consapevolezza e conoscenza dell’apprendente non avevano bisogno di valutazioni spasmodiche, semmai di consigli.
E l’autorevolezza del maestro non si reggeva sui voti che dava (come invece purtroppo in tanti casi oggi succede: più valuto, più sono). Alla società non servivano i voti, ma la trasmissione della conoscenza.
La scuola e gli insegnanti allora - nell’affrontare il problema della valutazione - dovrebbero chiedersi qual è la la cornice ideologica che inquadra il percorso dentro cui si è inseriti.
Quali sono i valori che questa società incarna e le metodologie che utilizza. Se sono giusti e se producono benessere individuale e collettivo.
Non per disegnare un mondo nuovo, ma solo per provare a fare lo sforzo di guardare dall’esterno l’acqua dentro cui si sta nuotando.
A corredo di queste osservazioni di Luigi Tremoloso, ripubblichiamo un testo in versi di Mario Ambel, del 2015, di cui appare accanto al titolo la versione in cinese.
Valutare vuol dire dare valore
alle cose che abbiamo imparato
scoprire che cosa so e che cosa so fare
ma che prima non sapevo
e scoprire quanto sono cambiato
nel modo di affrontare le difficoltà.Valutare vuol dire dare valore
alle conquiste che abbiamo fatto,
capire quali obiettivi sono stati raggiunti
la fatica che ci è costata
il percorso compiuto
il lavoro e l'impegno che abbiamo profuso.Valutare significa dare valore
alla strada che abbiamo percorso,
capire da dove siamo partiti
e dove siamo arrivati
quanto cammino si può ancora fare
quali nuovi traguardi possiamo raggiungere.Valutare significa dare valore
ai risultati di ciascuno e di tutti,
scoprire quanto è importante l'aiuto degli altri
nel lavoro comune
quanto ognuno di noi ci mette di suo
nelle cose da costruire insieme.Valutare non significa dare o pretendere voti
che offendono la nostra intelligenza e il nostro lavoro.Mario Ambel, gennaio 2015
Forniamo in allegato le versioni in italiano, cinese, arabo e rumeno da diffondere nelle scuole e discutere con i genitori... Che cos'è la valutazione