Essere insegnante oggi vuol dire per me innanzitutto vivere un impegno attivo per una scuola capace di promuovere competenze di cittadinanza e desiderio di partecipazione. Vuol dire partire da scelte pedagogiche e didattiche capaci di fornire a tutti gli strumenti di autonomia e pensiero critico, accogliendo e valorizzando il pluralismo valoriale, la molteplicità dei punti di vista sul mondo, la possibilità di scelta, senza preclusioni aprioristiche o chiavi di lettura univoche e unilaterali.
È stata, fra gli altri, la lezione di Gianni Rodari che, esplicitando la speranza di un futuro in cui “nessuno sia schiavo”, fa esplicito riferimento all’importanza del far sì che “tutti gli usi della parola (siano di) tutti” [1]. Egli evidenzia, così, il ruolo della parola come strumento di pensiero e l’imprescindibile legame fra competenza linguistica e esercizio pieno e consapevole della cittadinanza. In quest’ottica, è per me significativo rivolgere l’attenzione al percorso aperto e portato avanti dalle Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica che, già nel 1975, definiscono le premesse concettuali e operative di un'educazione linguistica capace di ribadire l'importanza del linguaggio verbale, delle sue molteplici capacità e del suo legame con gli aspetti emotivi, biologici, sociali e intellettuali di ognuno. Un’educazione che si pone l’obiettivo di far sì che ognuno sia in possesso delle parole per nominare il mondo, concretizzando, così, i principi di uguaglianza e pari opportunità sanciti dalla Costituzione, attraverso strumenti pedagogico-linguistici in grado di andare incontro alle esigenze non solo dei Pierini, ma anche dei Gianni.[2]
Ed a ben guardare, oggi, le esigenze dei Gianni non sono più legate solo alla differenza linguistica e socioculturale, ma anche alla disordinata sovraesposizione a una moltitudine di stimoli, veicolata soprattutto dagli odierni mezzi di comunicazione di massa che spesso superano le capacità personali di elaborazione, riducono le occasioni di riflessione critica e di comportamento attivo, offrendo modelli di riferimento culturale e linguistico superficiali e stereotipati. [3]
L'obiettivo è, quindi, ancora quello proposto dalle Dieci Tesi nel 1975 e mai pienamente raggiunto, ossia di sperimentare e diffondere una pratica linguistica capace di rendere la scuola più democratica, promuovendo l'uso contestualmente appropriato ed efficace del linguaggio in riferimento alla dimensione linguistica (sapere la lingua), extra-linguistica (saper integrare la lingua), socio-pragmatica (saper fare con la lingua) e meta-linguistica (saper fare lingua).
Questo comporta da una parte la realizzazione di quanto già sostenuto nelle Tesi, dall'altra il suo ampliamento per rispondere ai bisogni sociali emergenti individuando, coerentemente con l'idea di partire dal retroterra dell'apprendente, quindi dalla conoscenza del suo ambiante extra scolastico, nuove direzioni di lavoro. L'educazione linguistica democratica si trova, quindi, di fronte ad un'interessante e difficile sfida: quella di comprendere le nuove dimensioni del percepire, del sentire e dell’interpretare che costituiscono il retroterra comunicazionale degli studenti al fine di sviluppare il loro sistema di conoscenze a partire dalle modalità comunicative e culturali emergenti.
Queste ultime sono legate al complesso intreccio fra dealfabetizzazione, pluriculturalità e multimedialità, aspetti che aprono a un panorama culturale molto diverso rispetto al 1975, in cui la scuola si inserisce e con cui un insegnante dovrebbe confrontarsi in maniera consapevole e libera da pregiudizi. È un panorama culturale in cui sono sempre più frequenti modalità comunicative contingenti, frammentate e utilitariste, che sembrano incapaci di ordinare e dare senso individuale e collettivo all'esperienza. Il clima di insicurezza, la velocità dei ritmi di vita e la fluidità del contesto comunicazionale danneggiano le capacità di attenzione e di memoria. Si diffondono forme espressive meticce e basate sulla convergenza linguistica tra testo parlato, scritto e digitale, allontanandosi dallo standard e dilatando l'idea stessa di norma.
In questo quadro e considerando ancora molto attuale la proposta delle Tesi di “partire dal retroterra linguistico-culturale personale, familiare, ambientale dell’allievo non per fissarlo e inchiodarlo, ma per arricchirlo” (Tesi VIII. 3), può essere utile immaginare le linee di tendenza dalle quali delineare future sperimentazioni di insegnamento/apprendimento linguistico funzionali ai contemporanei bisogni degli studenti.
Una di esse potrebbe essere quella della multimodalità, prospettiva culturale che si interessa alle caratteristiche delle differenti modalità di comunicazione piuttosto che al medium, ossia al progetto comunicativo piuttosto che allo strumento, all'aspetto culturale e cognitivo piuttosto che tecnologico, ponendo attenzione al carattere sempre più ibrido della comunicazione. Sarebbe funzionale, quindi, cominciare a costruire contesti di apprendimento capaci di promuovere la messa in discussione delle proprie routine comunicative, l'integrazione fra scrittura/lettura, parlato e non verbale, in una prospettiva semiotica che compari i differenti sistemi testuali che ogni codice comporta, ipotizzando percorsi di traducibilità da un sistema all’altro nell’ottica della chiarezza della ricezione/produzione e delle loro complesse varietà d’uso.
È importante innanzitutto sottolineare come il processo di ampliamento delle competenze linguistiche legato al cambiamento di paradigma comunicazionale debba avvenire in maniera inclusiva e non in termini di sostituzione di quelle necessarie nella cultura cartacea, come la capacità di comprendere e produrre testi basata sulla profondità e la lentezza dei processi di comprensione, elaborazione e riproposizione.
È, inoltre, importante tenere presente che la natura multimodale della comunicazione abitua a messaggi in cui la dimensione affettiva, cognitiva e relazionale sono integrate, coinvolgendo i destinatari in maniera globale. Il carattere di coinvolgimento pragmatico-funzionale diviene, così, elemento portante di ogni comunicazione, tanto che è sempre più necessario che l'insegnante sperimenti strategie didattiche in grado di creare interesse al fine di depotenziare la possibile contrapposizione fra scuola ed extrascuola. Sarebbe opportuno, cioè, privilegiare situazioni che motivino all'apprendimento, proponendo percorsi che stimolino un coinvolgimento integrale dello studente attraverso attività motivanti, non direttamente valutative e affettivamente calde, che promuovano l'approfondimento, l'argomentazione, l'elaborazione critica, personale e divergente.
Un efficace esempio riguarda l’attività di lettura, proposta come un’opzione legata al piacere di leggere, così come si fa al di fuori della scuola, al di là della falsa dicotomia tra piacere e competenza e in virtù della loro complementarità. L'insegnante ha in questo senso il compito di essere attento ai processi di concettualizzazione che avvengono durante la lettura, di modo da poterli rafforzare e orientare [4].
Un orientamento multimodale dell'insegnamento/apprendimento linguistico può essere attuato, inoltre, attraverso la proposta di attività quali la traduzione, o meglio la transcodificazione tra una modalità comunicativa e l'altra come, per esempio, la produzione di testi orali e scritti a partire da stimoli audiovisivi, o la produzione di un testo digitale a partire dalla proposta di un libro o di una narrazione, o l'analisi e l'interpretazione verbale di testi musicali o iconografici, o la trasformazione di suggestioni testuali scritte o orali in linguaggio corporeo, ecc.. Lavorare alla creazione di “ponti” tra il livello virtuale e empirico, proponendo esperienze che utilizzino i differenti codici mediali vuol dire promuovere una riflessione che esplori il livello metalinguistico, metacognitivo e metacomunicativo, vuol dire far sì che lo studente possa divenire regista consapevole del proprio agire linguistico ed essere in grado di comprendere le comunicazioni altrui. Vuol dire fornire agli studenti gli strumenti linguistici per ordinare e decodificare la propria esperienza attraverso il linguaggio, costruendo il senso dei propri e degli altrui percorsi.
Un’ultima questione, cui qui faccio solo breve cenno, è che, nel progettare le attività multimodali, occorre tener presenti le fasi dello sviluppo del bambino e poi del ragazzo e dell’adolescente, nella consapevolezza che, nei primi anni della crescita, il cervello ha bisogno che si faccia esperienza diretta, sensibile, corporea e operativa, perché si sviluppino le aree superiori, quelle del pensiero complesso, che permettono di dar senso alle espressioni linguistiche multimodali e multimediali. Si tratterebbe, cioè, ancora oggi, di sviluppare un punto implicito nella Tesi VII che, a proposito dell'ortografia, propone un insegnamento non normativo, ma che si muova da attività corporee e manuali, come il ballo, l'apparecchiare la tavola, l'allacciarsi le scarpe. Il radicamento corporeo cui si riferiscono le Tesi, infatti, rimanda al fatto che il linguaggio si sviluppa a partire dalla valorizzazione del sostrato senso-motorio, a partire da un energico richiamo alla corporeità in nome della profonda unità delle capacità espressive [5].
L'insegnamento/apprendimento linguistico multimodale ha, dunque, un carattere fortemente affettivo, attivo e multisensoriale; è in grado di coinvolgere lo studente in modo integrale, rendendolo consapevole e critico nei confronti delle caratteristiche e dei meccanismi culturali sottesi alle differenti modalità comunicazionali.
Non si tratta, quindi, di superare le Dieci Tesi, ma di proseguire sulla strada che esse hanno aperto e indicato, rimanendo con “gli occhi ben aperti”, provando a osservare e comprendere i “nuovi panorami” che si incontrano lungo il cammino. Si tratta ancora una volta di cercare di superare pratiche scolastiche discriminatorie, tenendo conto dei fattori che hanno trasformato l'educazione linguistica e la scuola nel suo rapporto col cambiamento sociale, al fine di costruire la scuola dei “non uno di meno”.
1. Rodari G., La Grammatica della Fantasia Introduzione all’arte di inventare storie, Einaudi, Torino., 1973.
2. Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria editrice fiorentina, Firenze. 1967.
3. Scuola di Barbiana, op. cit.
4. M. Ambel M., P. Assandri P., “Trent’anni a inseguir piacere e competenza”, Dialogo Scenico nell’ambito del Convegno di Studi Il piacere di leggere 30 anni dopo: cosa è cambiato?, Torino, 15. 12. 2017.
5. De Mauro a questo proposito scrive: “…credo che anche in proposito dobbiamo aggiungere qualcosa alle Dieci Tesi, più chiaramente, anche se è già implicito. Parlando di radicamento corporeo, forse, abbiamo sottaciuto l'esplicitazione di ciò che vuol dire: sviluppo delle capacità operative, pratiche, manuali e fondamentalità di questo fare cose e saper fare cose nella complessiva educazione intellettuale del genere umano” in. T. De Mauro, “Nuove Tesi per un'educazione linguistica democratica”, insegnare, Ciid, 4,39-43, 2004.