Nel corso di questi anni, l'area ricerca e formazione di "insegnare" e alcuni cidi territoriali, hanno dato vita a gruppi di ricerca azione sul tema delle riscritture, con particolare attenzione alla "scrittura documentata". Sono attivi, con il coordinamento metodologico e didattico di Mario Ambel, i gruppi di Brescia, Cosenza, Pescara, Pordenone; è in fase di avvio un gruppo a Palermo.
Inevitabilmente, all'interno di questi gruppi, le recenti normative sulla prima prova dell'Esame di Stato hanno aperto una riflessione sulle modalità con cui proseguire il lavoro fin qui condotto.
Pubblichiamo questo contributo alla riflessione di Maria Luigia Amoroso, coordinatrice del gruppo di Pescara.
Abolizione del saggio breve: fine di una messa in scena
di Maria Luigia Amoroso
Con i nostri gruppi di ricerca-azione sulla letto scrittura documentata, già da qualche anno andiamo tracciando un percorso faticoso di riflessione e proposta a partire dalla nostra esperienza e dalle nostre idee di educazione linguistica: questo ben oltre la logica "compressiva" dei pacchetti, oggi così tanto di moda. Di conseguenza, già in occasione degli improvvidi provvedimenti della 107, intrepidi, non ci siamo fatti turbare e abbiamo tenuto duro considerando questo nostro lavoro un esempio di resilienza. Oggi d’improvviso una nuova brusca inversione di marcia: in realtà sembra uno tsunami, ma occorre tenere i nervi saldi per filtrare il tutto con la necessaria lucidità… a ben vedere la recente riforma della prima prova degli esami di stato riflette caratteri e contraddizioni che abbiamo già conosciuto.
Siamo infatti in un tempo di rinuncia: il passaggio dal saggio breve alla scrittura responsiva su un solo documento si svolge all’insegna della semplificazione e dell’oblio. È così che si fa oggi: si spolpa il problema per appioppargli una presta soluzione, o semplicemente si fugge dal problema: operazioni spesso accompagnate da una compiaciuta euforia di conferma della propria superiore efficienza. Un modello procedurale che mi pare moltiplicarsi intorno a noi su più piani di realtà.
Nel nostro caso le ragioni si trovano tutte in una sconfitta. Il saggio breve è stato un fallimento didattico: comportava impegnativi percorsi di educazione linguistica, che di fatto non sono mai partiti, perché l’educazione linguistica stessa non è mai approdata a prassi didattica, il che vale di sicuro almeno per la Scuola secondaria superiore. Di qui le solide motivazioni da cui è scaturita la ricerca di cui sopra, motivazioni che però oggi restano tutte in piedi. Infatti non possiamo non dirci che la scrittura documentata si sia trascinata in tutto il tempo del suo svolgimento lungo una contraddizione lacerante: un progetto che non è riuscito mai ad approdare nel futuro che immaginava, un lancio che ha finito col ripiegarsi nel circolo vizioso di un presente virtuale. Mi pare che questa riforma si muova appunto semplificando/riducendo i sensi/le attese, soprattutto l’elevazione di quel lancio, che viene ricondotto a terra, dove non ne resti più traccia, che viene ricacciato nel passato da cui effettivamente non aveva saputo staccarsi. Un’operazione oggi da più parti apprezzata come un merito del “salutare realismo” della semplificazione efficiente, quello che fa concludere molti benpensanti, perfino con un riflesso di sarcasmo, che gli studenti “non sono scrittori né giornalisti”.
Nell’ottica di chi fa parte di gruppi di ricerca sulla lettoscrittura documentata, questo azzeramento di primo acchito porta con sé l’effetto di una pietra tombale ma, se è vera la riflessione di cui sopra, non si può trascurare il vantaggio che pure ci capita, ossia far piazza pulita delle contraddizioni e ambiguità in cui si è avvolto finora un discorso senza pratiche, una delle tante recite da copione cui da tempo assistiamo misteriosamente impietriti.
Insomma, proprio la messa al bando del saggio breve può offrirci la possibilità di riconsiderare con maggiore libertà l’oggetto che prima eravamo costretti a cercare fra le pieghe e le incertezze di una poco edificante messa in scena: in definitiva può trasformarsi in uno stimolo per l’immaginazione progettuale.
Bisogna dunque continuare in questa ricerca del cui oggetto oggi ci è consentita una più puntuale messa a fuoco, superando l’obiezione ovvia dell’ inutilità di un percorso di lettoscrittura nel tempo in cui questa viene cancellata dall’esame di stato ope legis (fatto che, occorre sottolinearlo, non corrisponde a un divieto didattico). Riflettiamo: quante attività si svolgono nelle nostre classi non direttamente finalizzate alla prova d’esame eppure legittimate dalla loro significanza formativa?
Entrando nel merito poi, mi permetto di esortare a considerare la delicatezza di questo momento in cui da più parti si attribuisce a don Milani e a De Mauro il principio della fine…
La riforma in oggetto costituisce di fatto un attacco al cuore dell’educazione linguistica nella sua interezza, nelle sue “ambizioni” formative e democratiche (questo anche aldilà delle intenzioni del legislatore). Pertanto, se siamo seguaci dei nostri Maestri, oggi più che mai dobbiamo continuare.
Ricordiamoci i sensi della scrittura documentata, strumento di lettura del reale per come esso risulta a un esame intellettualmente onesto: complessa, plurale, spesso contraddittoria e disorientante. Questa presa d'atto mi pare che resti il senso della comprensione di più documenti. D’altra parte in questo scenario il soggetto esiste nella misura in cui trova un metodo per raccogliere questa complessità sotto il proprio sguardo, in modo da tentare di rappresentarsela secondo se stesso, la sua storia, la sua ansia di conoscenza/esistenza. Pertanto la riduzione artificiosa di questa complessità finisce con lo sminuire il soggetto stesso, abbassando pericolosamente la finalità formativa dell’insegnamento/apprendimento.
Se questi sono i termini in cui si iscrive l’attività di lettoscrittura, rispecchiando una realtà a prova di fatto problematica, fedele a ciò che c’è, coraggiosa di uno sguardo privo dei veli illusori di semplificazioni risolutive, non riesco a immaginare come potremmo a questo punto buttarceli alle spalle.