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25/11/2025

"A scuola ci sono solo bambini": problemi e prospettiva per l'intercultura reale.

di M. Gloria Calì

*questo contributo nasce dalla partecipazione al convegno "Università e Migrazioni - Per una carta degli "Officia", tenutosi a Palermo il 16 e il 17 Ottobre 2025. 
La documentazione dell'intero convegno si trova sul "Tavolo della Redazione". 

 

Scuola "migrante"?

L’obiettivo generale di questo ragionamento riguarda gli aspetti centrali dell’istituzione scolastica nella sua radice costituzionale alla luce della questione “persone con storia migratoria”. Possiamo legittimamente usare questa questione, infatti, con il duplice scopo di capire lo stato delle cose presenti, e immaginare uno sviluppo successivo in cui le criticità vengano affrontate per migliorare l’intero sistema di istruzione.

Partiamo dal motivo fondamentale per cui esiste la scuola pubblica, in Italia. R. Calvano, giurista alla Sapienza, nel 2019 [1] ha scritto “L’idea di istruzione-educazione alla base delle norme della Costituzione sull’istruzione, orientata al perseguimento degli obiettivi posti nelle due fondamentali stelle polari rappresentate dall’art. 2 e dall’art. 3, pare caratterizzata come attività che aiuta la costruzione della cittadinanza, oltre a rappresentare la sede nella quale si realizza il diritto fondamentale e irrinunciabile della persona di cui agli artt. 33 e 34.”.
La scuola sta nel presente, attraverso la costruzione di competenze culturali per la cittadinanza intenzionale, ma, proprio perché lavora per un futuro “migliore”, deve leggere e comprendere i fenomeni sociali, culturali, economici; il suo compito non è quello di “risolvere” o, peggio, “educare alle regole”, ma quello di fornire linguaggi, cioè strumenti per interagire con il tempo presente, per saper apprendere in prospettiva continua, per immaginare assetti futuri, dando a questa immaginazione una dimensione collettiva, dove ciascuna persona comprende ed esprime se stessa, garantendo sviluppo e coesione a livello sociale, libertà e crescita al livello personale.
Arjiun Appadurai [2] scrive che,  negato là dove regna la povertà e la mancanza di istruzione è negato anche il diritto all"aspirazione". 

La, scuola, quindi, serve per costruire una società in cui il principio di solidarietà stia insieme con quello dello sviluppo integrale del singolo.

Da questa funzione della scuola non sono escluse le persone con storia migratoria. Calvano argomenta le ragioni per cui il “tutti” dell’art. 3 va inteso estensivamente, non solo a coloro che hanno la cittadinanza; esso vale per tutti e tutte coloro che stanno dentro il sistema d’istruzione, a qualunque livello e in qualunque condizione. “A scuola nessuno è straniero” è uno slogan che traduce niente di meno che il dettato costituzionale: “La scuola è aperta a tutti”. [3]

La prima questione essenziale da focalizzare riguarda le definizioni: quali sono i costrutti politicamente e socialmente attivi, sia a livello nazionale che locale, per definire “l’alterità”? Quali sono le parole per dire “bambino/a” “ragazzo/a” quando si tratta di persone non nate in Italia o nate da genitori non italiani? Abbiamo visto quanto sia importante scegliere le parole da “non dire”.  “Razza”? “Identità?” “Appartenenza?” “Cittadinanza”? “Identità?” [4] . Questi costrutti, connotati culturalmente e storicamente, determinano sia le scelte operative sia le relazioni interpersonali, dentro le scuole e attorno ad esse. Ogni persona, soprattutto minore, entra nel sistema scolastico italiano mettendosi in relazione con un universo di significati completamente diversi da quelli in cui si è strutturato. La percezione del corpo e del pensiero, il cibo e il gioco, i sistemi valoriali e simbolici, la relazione con le persone adulte… tutto è diverso dal contesto “altro” in cui la persona si è strutturata fuori dall’aula scolastica italiana. E’ necessario prendere atto di questo mondo interiore, mettersi in ascolto di esso e cercare di negoziarne il senso a partire dalle percezioni personali della persona con storia migratoria.
Non esiste, insomma, alcun termine che racchiuda tutte le infinite variabili della persona con storia migratoria. Ciascuna persona, infatti, ha una storia del tutto specifica, a cominciare dall’essere nata in Italia o all’estero, dall’essere o non essere “accompagnata”, sul territorio italiano, e accompagnato dai genitori e quello accompagnato da altre persone adulte di riferimento, anche tra minore e adulto, ci sono mille differenziazioni. Talvolta si è nelle condizioni di chiederci persino “quanti anni ha?” E poi: com’è arrivata? Da dove proviene? Con quale “mandato migratorio” è arrivato in Italia ? Che cosa si aspetta dalla scuola, la persona con cittadinanza non italiana? C’è tanta normativa, internazionale e nazionale, sui diritti da garantire. Bisogna trasformare questa norma in pensiero e prassi didattico-pedagogica, ad ogni livello scolare sapendo che anche la risposta a queste domande non esaurisce la complessità della persona, ma una prospettiva intersezionale certamente è necessaria. 

Mettiamo quindi, a fuoco, una prima prospettiva verso il futuro. La persona con storia migratoria ha nel sistema di istruzione italiano uno spazio sicuro di crescita e di potenziale sviluppo integrale, ma è assolutamente necessario che questo spazio sia, al suo interno, strutturato in modo da essere capace di farsi carico della persona nella sua complessità, e, al contempo, di trovare intorno alla scuola una rete prossima di altri enti che soddisfino tutte le necessità sociali, sanitarie, giudiziarie della persona. Nella sua “Lettera alla scuola italiana” del  2023, Marilena Umhoza Delli racconta la sua storia di figlia di una c.d. coppia mista, un padre italiano e una mamma africana, disabile. La sua esperienza chiarisce benissimo quanto la scuola italiana sia lontana non solo dalla prospettiva intersezionale, ma persino dal prendere atto della presenza di persone con storia migratoria come un dato ovvio quanto le sedie e i banchi.  Fatta salva la buona volontà dei singoli, che, attraverso la competenza, diventa realizzazione di un obiettivo civile adatto all'istituzione scolastica. 

I numeri

Quante sono queste persone con storia migratoria nelle nostre scuole?

Nel 2024 erano 914.860 presenze, corrispondenti all’11,2% del totale, secondo il rapporto sulle migrazioni dell’ISMU del 2024. Accenno soltanto brevemente ad un dato drammatico che merita umn ragionamento dedicato: i minori migranti non accompagnati che scompaiono durante il processo migratorio e che ammontano a decine di migliaia nell’Unione Europea, negli ultimi anni. Non è possibile dare indicazioni precise sui numeri proprio perché “scompaiono”; tuttavia “Si declina come un problema strutturale della migrazione minorile”. [5] (Matera 2024).
Per quanto riguarda i CPIA, i dati presentati in un rapporto della UIL ci dicono che nel 2023 gli iscritti erano oltre 139.000. Se li sommiamo ai minori e alle minori inserite nelle scuole di base e nelle secondarie, arriviamo ad oltre un milione di persone. Senza entrare ulteriormente nel dettaglio, riporto solo questo impressionante dato complessivo per rimarcare, se ce ne fosse bisogno, la rilevante consistenza di questo numero, che dovrebbe risultare determinante per l’impostazione stessa del sistema didattico-pedagogico e organizzativo della scuola italiana.

E invece.

Si rimanda al rapporto ISMU per tutte le percentuali di dettaglio: la curva evolutiva negli ultimi decenni, il cambiamento delle presenze nelle diverse fasce scolari, gli esiti Invalsi.

In quali scuole si trovano queste persone minori? 

I dati recenti restituisconouna situazione  sulla quale è opportuno soffermarsi ai fini di ciò che abbiamo detto all’inizio, cioè al mantenere la scuola come luogo, e tempo, di costruzione della cittadinanza:

Per quanto riguarda le scuole con elevate percentuali di alunni stranieri, nelle ultime tre decadi si osservano due movimenti opposti, ovvero la diminuzione della percentuale di quelle senza allievi con CNI e l’incremento del numero di scuole con percentuali rilevanti di questa tipologia di utenza. Nello specifico, dal 2002/03 al 2022/23, si è passati dal 43,1% del totale di istituti in cui gli alunni con CNI erano assenti al 15,5%. Al contrario, le scuole caratterizzate da una percentuale di alunni di origine immigrata inferiore al 30% sono cresciute nello stesso periodo di tempo dal 56,9% al 73,3%. Infine, un aumento più contenuto ha riguardato le scuole con oltre il 30% di alunni con CNI, inesistenti nel 2002/03 e arrivate a rappresentare nel 2022/23 il 7,9% del totale delle scuole italiane. Questo dato, seppur residuale, risulta essere preoccupante per gli alunni inseriti nelle scuole di specifici territori, plessi e classi, in cui si concentrano molteplici svantaggi “sul fronte dell’utenza e del background familiare, così come sul versante delle caratteristiche degli insegnanti, più precari e con meno esperienza.”

In termini di “futuro”, quindi, bisognerebbe focalizzarsi su queste scuole-ghetto, attraverso varie piste di riflessione, tra cui quella della stabilizzazione degli insegnanti precari. 

Sul numero totale delle persone che in Italia hanno storia migratoria e sono inserite nei percorsi di istruzione c’è una criticità importante da rilevare, riportata sempre dal rapporto ISMU.

All’interno di un campione di circa 3.400 MSNA censiti sul territorio italiano tra il 2020 e il 2022, solo un minore su cinque ha avuto accesso al sistema scolastico italiano (21%), ovvero a percorsi frequentati da coetanei nativi e che offrono la possibilità di acquisire un titolo di studio. Anche considerando i corsi di primo livello (corrispondenti alla secondaria di primo grado) e secondo livello (secondaria di secondo grado) attivati per un’utenza adulta presso i CPIA, solo il 18% del campione risulta inserito. La maggioranza (cioè il 55%) si trova a frequentare un corso di alfabetizzazione in lingua italiana, prevalentemente presso il centro di accoglienza in cui vive o all’interno di un CPIA, frequentando cioè ambienti formativi segregati con soli MSNA o stranieri e senza poter ottenere un titolo di studio. Non trascurabile (6%) è infine la quota di MSNA non coinvolti in alcuna delle attività educativo-formative e dunque fuori da qualsiasi tipo di programma di apprendimento.

Secondo Matera [6], le lungaggini burocratiche rallentino in modo drammatico l’inserimento delle persone con background migratorio nel sistema scolastico. Le norme prescrivono una serie di passaggi burocratici, che dovrebbero svolgersi in rapida sequenza, a conclusione dei quali si entra a scuola; di fatto, questa campanella suona dopo 5-8 mesi dall’arrivo in Italia. Questo rallentamento ha origine nel fatto che gli enti pubblici preposti a questi passaggi sono oberati di lavoro e con personale scarso e spesso mal formato. Il che ci aiuta ad iniziare a definire uno snodo cruciale della questione, a cui prima abbiamo accennato: l’istruzione è un diritto che deve essere pensato non in termini scolastici, ma sistemici. E questo non vale certo solo per le persone con background migratorio: tanto per fare un esempio, il dimensionamento degli istituti scolastici nei centri abitati delle aree interne del paese colpisce alle fondamenta il diritto all’istruzione dei bambini e delle bambine con o senza storia di migrazione.

E siamo sempre sullo stesso tema: occorre investire nei diritti, e nelle strutture pubbliche, se si vuole un paese giusto e coeso, in grado di affrontare il presente e le sue complessità. 

Entriamo in classe

Gli Orientamenti interculturali del Marzo 2022 sono un documento molto utile a rimarcare  la necessità di mettere in pratica le leggi vigenti, garantendo l’espletamento degli aspetti amministrativi della questione (iscrizione, permessi mancanti, ecc.), e ad incoraggiare la pratica dell’integrazione con volto sorridente.
Occorrerebbe, tuttavia, una più profonda e ampia rivisitazione culturale, in cui inserire la dimensione didattico-pedagogica: è necessario, infatti, rendere migrante anche il sapere scolastico, progettato liberamente a seconda delle necessità della classe, privato delle rigidità quantitative del "programma" e aperto ad arricchirsi e a riformularsi grazie alla conoscenza dei paesaggi culturali del mondo che sta seduto in classe. Non è superfluo, infatti, rimarcare che chi insegna è soggetto anzitutto alla legge 297 del 1994, che sancisce come la libertà d’insegnamento sia funzionale al diritto all’apprendimento, senza distinzioni  e se una classe comprende anche un solo componente con storia migratoria, quel diritto va garantito. 

La scuola deve potersi dotare di spazi e approcci per costruire un “noi” culturale diverso dalla somma degli “io” accostati l’uno all’altro; la scuola deve invece trasformare una classe con "italiani" e "stranieri" in una classe di persone che apprendono insieme.

Negli “Orientamenti”, così come nella realtà, lo strumento essenziale per una relazione positiva nel contesto scolastico è la lingua, ma anche su questo fronte i rischi di eterogenesi dei fini sono altissimi.  Considerare l’apprendimento della lingua come unico obiettivo fa scivolare facilmente le pratiche dell’accoglienza nell’esclusione di ogni altro fattore di crescita culturale per il minore. L’apprendere la lingua per “integrarsi” è la ragione per cui i minori e le minori spesso vengono inseriti in una classe non adeguata alla loro età anagrafica, ma conseguente alla loro competenza linguistica, con il risultato di ledere profondamente il loro diritto ad un’istruzione qualitativa, infantilizzandoli e chiedendo loro solo l’adeguamento al sistema “accogliente” con la conseguente sparizione del loro mondo.

A partire dall’a.s. in corso, sono stati immessi nelle scuole moltissimi insegnanti appartenenti alla classe di concorso A23, cioè italiano come L2. Non si può ancora dire quale effetto sortirà questa presenza, ma è certo che, dati i numeri elevatissimi di presenze, sarebbe necessario che una formazione di base sull’intercultura, se non anche specificamente sull’italiano L2, fosse affrontata da tutti e tutti coloro che insegnano.

Le esperienze che si possono leggere o ascoltare, offerte da persone con storia migratoria che hanno deciso di raccontarsi, in generale, ci evidenziano un atteggiamento nascostamente assimilazionista e assistenziale. Si parte da una fondamentale razzializzazione di queste persone, che magari nelle forme esplicite nega, anche in buona fede, il razzismo, ma che non riesce ad evitare di lasciarsi condizionare dalla storia migratoria di alunni e alunne, generando atteggiamenti disfunzionali alla costruzione della comunità-classe.
Hakuzwimama nel saggio “Tra i bianchi di scuola” (Einaudi, Milano, 2024) analizza proprio il peso determinante che gli stereotipi razziali hanno nella relazione educativa; per lavorare con le classi è necessario dichiararseli, quegli stereotipi, e non risolverli con la nobile affermazione che “per me, sono tutti uguali”.  L’uguaglianza indistinta, proposta come valore, schiaccia le persone e non genera quella crescita personale a cui, abbiamo detto, la scuola italiana deve tendere.

Quale profilo docente, quindi, possiamo delineare in prospettiva futura? Dalle voci di coloro che analizzano o vivono o hanno vissuto il sistema scolastico italiano dal punto di vista migrante, si  può delineare uno stesso “suggerimento posturale”: mettersi a fianco delle persone con storia migratoria, condividendone la stessa posizione decentrata, per poter, da lì, osservare sia le relazioni, sia gli stessi saperi, e costruire un sistema dinamico per l'apprendimento significativo collettivo. 
Non nascondere le difficoltà sotto il tappeto rassicurante ma insidioso dell’accoglienza, ma ascoltarle, per metterle al centro di un percorso di crescita comune, che coinvolga tutte le persone che compongono la “classe”, cellula vitale di un organismo grande e affaticato, il sistema di istruzione, che, tuttavia conserva una grande forza culturale e sociale.
In questo approccio professionale i saperi disciplinari diventano forma e funzione di quella crescita, spazio di dialogo, magari anche di scontro, scoperta collettiva continua, in cui ciascuno trova una propria dimensione culturale complessa, imprevedibile, ma generativa. Sarebbe necessario garantire, per questo scopo, una formazione continua e multidisciplinare, spazi in cui la pratica quotidiana dell’insegnare sia alleggerita dalla burocrazia e, invece, trovi spazi di costruzione condivisa.

Come scrive bell hooks ("insegnare comunità", ed. it. Meltemi 2022), “non è solo ciò che condividiamo senza fatica che può unirci, ma ciò che arriviamo ad avere in comune perché ci siamo impegnati a creare una comunità, a trovare l’unità nelle differenze”.

 

Note
 

[1] R. Calvano, "Scuola e costituzione, tra autonomie e mercato"; Futura ed, 2019, p. 41.

[2] "Il futuro come fatto culturale"; ed. italiana R. Cortina, Milano, 2014. 

[3] Calvano 2019, p.. 122 e 123).

[4]Sulla questione dell'uso delle parole, cfr. F. Matera, "Minori migranti non accompagnati e sfide educative" (Progedit, Bari, 2024) e M. Umuhoza Delli, "Lettera di una madre afrodiscendente alla scuola italiana", People, Busto Arsizio, 3° rist. 2025. 

[5] Matera 2024, p. 52.

[6] Ibid. pp. 82 ss.

 

Parole chiave: intercultura, migrazioni

Scrive...

M. Gloria Calì Insegnante di lettere alla media, si occupa di curricolo, discipline, trasversalità, con particolare attenzione alle questioni della didattica del paesaggio. Direttrice di "insegnare".

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