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editoriali

04/05/2022

Il futuro della formazione in servizio

di Redazione "insegnare"

Crediamo che nella parte della bozza relativa alla "Riforma PNRR su formazione iniziale e continua e reclutamento degli insegnanti" [1], con particolare riferimento alla formazione in servizio, ci siano tre ordini di problemi da evidenziare. Sono ambiti che si inseriscono nel quadro generale dell'intero provvedimento e vanno affrontati in modo sistematico e interconnesso, ma che presentano anche alcuni tratti peculiari.

Sono a nostro giudizio questi:
a) la finalità strategica cui è rivolto il progetto di formazione in servizio (ovvero  "continua");
b) la natura e le strutture del soggetto cui è affidata la direzione delle azioni;
c) le implicazioni di natura contrattuale e strutturale che riguardano i meccanismi di incentivazione e l'organizzazione interna delle scuole.

Vediamoli per sommi capi.
a) Le finalità sono sconsideratamente orientate verso le istanze di digitalizzazione e informatizzazione del sistema scolastico e della sua gestione manageriale.
b) L'organismo cui è affidata la gestione ha limiti profondi di struttura e di composizione e prefigura una soluzione o inadeguata e inefficiente oppure eterodiretta e confusionaria.
c) Le implicazioni sindacali pongono un problema assai complesso: la rottura della collegialità come contrappeso della unicità della funzione docente e la prospettiva della gerarchizzazione della professionalità docente nella direzione della costituzione del
 middle management.

Vediamo ora qualche elemento di approfondimento.
a) La prospettiva orientata in parte alla digitalizzazione e in parte alla managerialità è desumibile dalle finalità dichiarate [2] e dai contenuti [3] di cui all'allegato al documento. Del resto l'intero PNRR per la scuola presenta questo vizio di fondo. Non è qui la sede per analizzarne le ragioni e le implicazioni. Basti dire che è una scelta strategica solo apparentemente "innovativa", ma in sostanza miope e perdente. La scuola ha  bisogno di rinnovare e riqualificare profondamente il repertorio dei suoi saperi e delle metodologie con cui li traduce in processi di apprendimento. Pensare che la priorità sia gestirne managerialmente la digitalizzazione è una scelta che equivale alla condanna della scuola pubblica alla più totale sudditanza culturale.

b) L'organismo immaginato per assolvere a questi compiti e orientarne l'attuazione, che "
promuove e coordina la formazione in servizio dei docenti di ruolo" (ovvero la "Scuola di Alta Formazione del sistema nazionale pubblico di istruzione") è quanto di più paradossale si potesse immaginare. Un organismo governato da un presidente, di nomina governativa, e da un consiglio formato da cinque persone, ovvero il presidente dell'organismo stesso, quello dell'Invalsi, quello dell'Indire e due membri designati dal Ministero. Accanto un Direttore con funzioni esecutive (sui rapporti fra direttori e presidenti in questo tipo di organismi ci sarebbe materia per lo studio del disfunzionamento negli enti pubblici dell'istruzione...) e un organico quantitativamente irrisorio. Il tutto purché non costi nulla [4]. 

Ritenere che sia di questo organismo che ha bisogno la scuola e soprattutto che esso sia in grado di gestire la formazione rivela una conoscenza assolutamente inconsistente o  una misconoscenza pregiudiziale dei reali problemi in cui si dibatte ormai da anni la scuola. E soprattutto del modo di risolverli. Riteniamo che non sia neanche necessario argomentare sulla inconsistenza di questa ipotesi. Solo si può avanzare una notazione, che riguarda l'unica possibilità di un qualche tipo di funzionamento. Nell'ottica delle finalità sopra delineate, le linee di indirizzo della formazione, ovvero carenze e bisogni e loro localizzazioni, potrebbero essere individuate dall'Invalsi, e quindi affidate all'Indire sulla base di modalità organizzative indicate dal Ministero.

c) A prescindere anche dalle componenti più propriamente contrattuali, fondamentali ma che non è qui nostra priorità discutere, restano problemi enormi  di prospettiva, relativi alla natura delle figure professionali della scuola, che incidono sulla natura stessa dell'istituzione. Il modello attuale organizzativo e strutturale della scuola non funziona più da tempo. È anacronistico e inefficace. Ma non è sul terreno decisionale, gestionale e gerarchico che si deve intervenire. [5]
Piuttosto su quelli che riguardano l'articolazione di funzioni e responsabilità nel processo di insegnamento/apprendimento (Progettazione  - Realizzazione - Documentazione e Verifica- Valutazione - Riprogettazione) divenuto assai più complesso che in passato e non più affidabile, nelle sue diverse implicazioni ed esigenze, all'insegnante singolo o alle aggregazioni oggi esistenti. Ma occuparsi solo o prevalentemente delle catene decisionali e di comando e non della complessità dei compiti della struttura è una via che produce solo conflittualità e impotenza.

Queste evenienze più specifiche si inseriscono nel contesto generale del provvedimento, che delinea soluzioni ancora una volta inadeguate, ma questa volta anche snaturalizzanti, nei confronti della formazione iniziale. E, parallelamente, del male endemico del precariato.
Basti pensare all'ostinata soluzione dei "60 crediti" per l'abilitazione, acquisibili anche durante i corsi di laurea disciplinari, che nella migliore delle ipotesi si risolvono in una sommatoria abbastanza casuale di input formativi e nella peggiore a una compravendita di crediti nel mercato della "formazione fai da te". Il tutto aggravato dalla possibilità di poter acquisire tale crediti contemporaneamente alla frequenza del corso di laurea.
La nostra personale convinzione [6] è che per risolvere il problema della formazione iniziale (e diversamente ma con la stessa logica di quella in servizio) bisogna attivare una pluralità di luoghi in cui ci si occupi di insegnare a insegnare, ovvero nei quali la didattica sia oggetto e scopo di ricerca,  sperimentazione, validazione, documentazione, proposta di diffusione. Questi luoghi non possono che essere il frutto di una reale convergenza degli approcci della scuola e dell'università, ma allocati nella scuola. È la scuola e sono gli insegnanti il luogo e le esperienzialità in cui la professionalità docente si esercita, si esprime e riflessione  su di sé; il luogo in cui si esercitano, si studiano e si promuovono le condizioni per insegnare qualcosa a qualcuno. Non lo sono invece  i luoghi in cui si affronta prioritariamente  il problema di che cosa significa insegnare o apprendere (gli approcci pedagogici), oppure si studiano i contenuti dell'insegnamento (gli approcci disciplinari), o chi sono e come agiscono i soggetti coinvolti (gli approcci psicologici) e i contesti in cui il processo si realizza (quelli sociologici). O, ancora, quelli in cui  si valuta (l'Invalsi) o si documenta o si ricerca, ma con lapreoccupazione prevalente di una spesso mal intesa "innovazione" e non del funzionamento ordinario e strutturale dei processi di insegnamento/ apprendimento (Indire).  Va invece fatta sintesi fra questi differenti approcci e bisogna  agire concretamente le ipotesi che ne scaturiscono.

L'unica soluzione è l'attivazione di più centri territoriali, poli di esercizio delle suddette priorità, ubicati presso reti di scuole di ordine e grado diverso e questi luoghi non possono che essere ambienti di formazione e ai contempo di esercizio della professione docente e  a cui concorrano professionalità diverse. Se poi tali luoghi polivalenti sono allocati in contesti fra loro diversi questo può favorire il loro specifico funzionamento, ma anche consentire sintesi generalizzabili e riproducibili delle loro avvenute acquisizioni. È probabile che questa ipotesi venga giudicata utopica e irrealizzabile oppure fantascientifica oppure semplicemente infondata. E allora non resta che riesumare alcune delle soluzioni più adeguate del passato, provarne a individuarne le specificità e provare a migliorarle.
Bisognerebbe almeno indagare seriamente su quali contesti e condizioni hanno garantito, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, attività efficaci di ricerca didattica e formazione di insegnanti: frammenti sparsi di attività associative, di alcuni IRRSAE, di alcune SSIS, di alcuni contesti coordinati da enti locali o da reti di scuole, ecc.   E su questa base immaginare soluzioni strutturate ed efficaci. Senza illudersi o imporre, però, che siano azioni a costo zero. Anche se, anziché salvaguardarle e generalizzarle, ci si è più spesso impegnati, negli anni scorsi,  a far fallire queste esperienze.

Ma la soluzione prospettata nella bozza proposta dal ministro Bianchi è la peggiore possibile. Un tipico carrozzone italico, clientelare e inconcludente, con l'aggravante di inaugurare, anche su questo, una commistione fra pubblico, privato e privato sociale.
E qui si aprirebbe il ragionamento su un altro delicato fronte, quello della transizione (declassamento per alcuni, rivitalizzazione per altri) della scuola da contesto istituzionale, che assolve al diritto-dovere all'istruzione della cittadinanza, a servizio sociale cui concorrono una pluralità di soggetti della "comunità educante" in nome dell'educazione dei cittadini come bene comune. Gli aspetti più delicati della responsabilità sociale del  sistema scolastico sono ormai da anni appaltati a soggetti e relazioni che trascendono la scuola pubblica e in buona misura ne minano le fondamenta e la legittimazione istituzionale.
In definitiva possiamo dire che questa ipotesi di formazione iniziale e in servizio si inquadra in modo coerente in continuità con la politica scolastica degli ultimi vent'anni: affrontare problemi reali, seri e urgenti nel modo peggiore possibile. Spiace che ciò accada in un momento così difficile e dalle prospettive incerte, ma non è un buon motivo per investire in una direzione che destruttura la scuola pubblica italiana, che nonostante tutto è un patrimonio istituzionale del paese che non andrebbe ulteriormente danneggiato.

 

Note

1. Cfr. "Prima novella al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59".
2. "Nell’ambito dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con riferimento alle metodologie didattiche innovative e alle competenze linguistiche e digitali, e con l’obiettivo di consolidare e rafforzare l’autonomia dell’istituzioni scolastiche, a decorrere dall’anno scolastico 2023/2024, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 124, della legge 13 luglio 2015, n. 107 e dall’articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è introdotta nell’ambito dell’orario di lavoro una formazione obbligatoria che si incentra sulle competenze digitali e sull’uso critico e responsabile degli strumenti digitali."  [grassetto nel testo, NdR]; Cfr. op. cit., art. 16-ter, comma 1.
3. I contenuti indicati per la formazione incentivata sono certamente ampi, ma una lettura attenta conferma di fatto la continuità con il percorso di formazione iniziale, le priorità indicate nell'articolo sopra citato e una vasta gamma di possibili contenuti sia didattici, finalizzati al miglioramento dell'efficacia formativa, sia organizzativi, finalizzati alla governance dell'istituto; Cfr. op. cit., Allegato, punto "2) Contenuti dei percorsi formativi incentivati".
4. Cfr. op. cit., Art. 16-bis.
5. "Al fine di promuovere e sostenere processi di innovazione didattica e organizzativa della
scuola e rafforzare l’autonomia scolastica, la Scuola di Alta formazione dell’istruzione
definisce altresì i programmi per attività formative inerenti alle figure professionali
responsabili nell’ambito dell’organizzazione della scuola delle attività di progettazione e
sperimentazione di nuove modalità didattiche che possono essere parte integrante dei percorsi
formativi di cui al comma 1.", Cfr. op. cit., art 16-ter, comma 3.
6. Questa opinione è particolarmente consolidata e comprovata in chi ha compiuto una esperienza di insegnamento e di attività di formazione dei docenti espletate nei contesti più diversi (le associazioni, le reti di scuole, il Ministero, l'Indire e l'Invalsi, le Usr, il Ministero e persino, per alcuni, le unità territoriali delle ambasciate all'estero oppure progettazioni su base regionale o finanziate da fondazioni), nonché /le/ esperienze condotte  nelle Commissioni per le Indicazioni nazionali o in contesti quali gli IRRSAE-IRRE o le SSIS. 

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