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02/06/2017

Sulla formazione in servizio

di Caterina Gammaldi

Il passaggio da diritto dovere a obbligatorietà della formazione in servizio è avvenuto  in assenza della contrattazione e dl  rinnovo contrattuale. Si osserva che la formazione in servizio è tema politico culturale e professionale, ma  è anche materia contrattuale. È nel contratto che sono indicati  ruoli, compiti, regole. In assenza intervengono fraintendimenti e carichi di lavoro non compatibili con l’esercizio di un diritto – quello alla formazione in servizio -, che continua a essere un diritto e un dovere professionale. È obbligo per l’Amministrazione di garantire le condizioni di esercizio.

Si registra un nuovo centralismo nell’organizzazione – gestione delle azioni formative sul territorio per iniziativa degli Uffici Scolastici Regionali e delle scuole polo per la formazione, prevalentemente le stesse indicate per la nuova articolazione in ambiti dei territori regionali per l’allocazione del personale. Gli articoli 6 e 7 del DPR 275/99 sono stati traditi, pur in presenza di una enfasi dichiarata sulla scuola dell’autonomia, sulle reti di scopo e sull’autonomia culturale e professionale dei singoli insegnanti nella scelta delle attività formative, rientranti nei Piani di formazione elaborati all’interno del PTOF con lo sguardo rivolto al RAV e al conseguente PdM.

A un’analisi attenta dei dati in nostro possesso le risorse  finora non state dislocate su reti di scopo, con il conseguente rischio di praticare un modello di formazione in servizio più vicino  all’aggiornamento: seminari per grandi numeri su temi di carattere generale affidati a esperti esterni, cui spesso è affidata anche la cura della micro formazione per i tutor d’aula, che dovrebbero garantire la ricerca azione, collocata invece in tempi eccessivamente ristretti perché possa produrre reale innovazione e cambiamento. 

L’obbligatorietà della partecipazione alle iniziative di formazione di ambito si è spesso tradotta in una partecipazione degli insegnanti non libera da condizionamenti. Velatamente e talora in modo esplicito gli insegnanti sono stati obbligati a scegliere la formazione erogata dagli ambiti, sostanzialmente vivendola come un ennesimo adempimento per garantirsi il numero di ore necessario stabilito in modo generalizzato a 25 e peraltro non definito normativamente. 

Difficile per le scuole organizzare in autonomia o in reti di scopo azioni formative mirate a progetti specifici,  principalmente per assenza di fondi. Quando lo hanno fatto si è chiesto ai docenti l’utilizzo della card o si sono utilizzate risorse sottraendole al fondo di funzionamento.

Riguardo ai temi prescelti, le attività formative, pur articolate in più UF, si collegano  tutte  a tre macroargomenti: didattica per competenze e innovazione metodologico-didattica; valutazione e miglioramento;  valutazione, coesione sociale e prevenzione del disagio, ovvero a temi di carattere generale. Non c’è spazio per attività che si pongano concretamente il tema e i problemi delle competenze disciplinari e del curricolo verticale, della dimensione dell’insegnamento/apprendimento.  

Ampio spazio alle mode metodologico-didattiche (flipped class room,  compiti di realtà…)  e alle reali o presunte problematiche educative in presenza di DSA, BES, cyberbullismo), enfasi sulla valutazione-certificazione della competenze (rubriche valutative), a prescindere da qualunque riferimento alla  progettazione curricolare.

Il modello dell’UF si sostanzia di un seminario introduttivo (3 ore) affidato a un esperto esterno, spesso titolare anche della formazione dei tutor  d’aula, cui è affidato il compito di condurre, secondo le consegne date nelle proprie scuole, i laboratori di ricerca azione (6 ore). Un’azione non ancora cominciata a conclusione dell’anno scolastico e che probabilmente sarà iniziata a settembre. Segue l’uso di una piattaforma dedicata  con modalità on line (10 ore), momenti di studio personale (3 ore) e un seminario conclusivo (3 ore). I tutor d’aula rispondono al proprio DS, che monitora le attività di ricerca azione. È previsto, a sostegno della modalità on line, l’utilizzo degli animatori digitali.

Se tale modello sembra apparentemente segnalare l’importanza di una formazione in servizio che abbia una ricaduta sulla scuola, si osserva che i tempi previsti per ciascuna azione sono ridotti e standardizzati; che,  rispetto alla procedura di selezione dei formatori (esperti o tutor d’aula),  si registra l’assoluta assenza, nei bandi e nelle manifestazioni di interesse, di  competenze professionali, con una sottolineatura dei titoli accademici. Sappiamo quanto scarseggino nell’università le cattedre di didattica disciplinare e di pedagogia.

Sia nella fase della progettazione che nella fase della gestione-organizzazione delle attività non è dato alcuno spazio ai soggetti qualificati da consistenti e validate esperienze pregresse provenienti dalla scuola e dall’associazionismo professionale,  che in quanto tali non sono stati coinvolti in tavoli di lavoro di confronto, di co-progettazione, ciascuno con la sua specificità ed esperienza nel campo della formazione degli insegnanti. 

 

 

 

Parole chiave: formazione in servizio

Scrive...

Caterina Gammaldi A lungo docente di scuola media; già componente del CNPI

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