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lettera apertaoltre la lavagna

08/04/2020

Le mie lezioni al telefono: una riflessione sulla didattica a distanza

di Angela Salvitti

I contagi da Coronavirus ci hanno messo di fronte ad un distanziamento sociale ed è per questo che mi sembra doveroso pensare al mio "lavoro" che di avvicinamento sociale, invece, si nutre. Sono una precaria del mondo della scuola e mi trovo nel limbo in cui non ho una classe da seguire, ma ho delle alunne che seguo. Come è possibile? Molto facile, impartisco delle lezioni private e ovviamente, anche quelle sono cambiate.
La mia fortuna è che a differenza dei miei colleghi, che in questo momento sono oberati del carico di lavoro, di nuove circolari e dell'incertezza della valutazione e del futuro delle loro classi, io ho la possibilità di osservare tutto questo dal mezzo, dal famoso limbo, appunto. Verrebbe spontaneo pensare che i ragazzi, una volta avuta la possibilità di seguire le lezioni a casa, di avere libri sottomano e infiniti siti per copiare, abbiano disdetto i nostri appuntamenti pomeridiani. La cosa sorprendente è che non è affatto così. Già, perchè se il mondo è piombato nel caos, loro cercano affannosamente di avere punti fermi. Strabiliante.

Potrebbero copiare le versioni da "splash latino" e basta. Invece no, le guardano su "splash latino" e poi vogliono sapere. Vogliono approfondire, capire perchè non si sono connessi per la lezione di greco sull'aoristo passivo, o perchè le dispense sulla sintassi dei casi non sono chiare. È  possibile? Ne sono rimasta sorpresa. Noi adulti molto spesso sottovalutiamo i ragazzi, che invece, si rivelano sorprendenti anche in piena crisi. Così io continuo a fare ripetizioni via Skype e addirittura per telefono se il computer di turno non è disponibile. Già perchè molte volte nelle case c'è un solo computer che serve ai genitori per lavorare e ai fratelli e sorelle per seguire le lezioni. Quindi ricorro al telefono, non in video chiamata, alla telefonata normale. Ci salutiamo, il più delle volte mi chiedono se "io che ho contatti con la scuola ho notizie su come faranno a mettere voti", e poi si parte con le lezione. Mi mandano la versione da fare su WhatsApp, la analizziamo e la traduciamo insieme. Se hanno dei dubbi rispiego degli argomenti poco chiari, altre volte approndiamo e ripassiamo. Il lavoro è rimasto lo stesso, è cambiato il mezzo.  Se hanno dei dubbi rispiego degli argomenti poco chiari, altre volte approndiamo e ripassiamo. Il lavoro è rimasto lo stesso, è cambiato il mezzo. 
Di certo se non ci fossero stati questi mezzi, sarebbe stato un disastro. Il tributo che dobbiamo dare tutti noi alla tecnologia è enorme. Ma c'è un "ma" da non sottovalutare. Un'insegnante ha come primo mezzo per verificare l'apprendimento, la sua presenza. Semplicemente con la sua figura, con l'osservazione sul campo riesce a fare metà del suo lavoro. Il tono della voce durante una spiegazione potrà mai essere completamente sostituito da un file word da leggere in modo autonomo o da un breve discorso con voce, a volte metallica, e una figura dietro uno schermo? No. Per un motivo molto semplice, perchè insegnare e studiare si nutrono di una matrice di avvicinamento sociale imprescindibile. Con questo non voglio dire che questo tipo di didattica non sia funzionale, anzi, i miei colleghi stanno facendo sforzi incredibili e in un momento di crisi è giusto usare i pochi mezzi che si hanno. Ma come possono valutare realmente l'apprendimento dei ragazzi? Eppure si inventano di tutto per rendere le lezioni piacevoli, verifiche orali via Skype a gruppi, test sugli Ebook. E tutto questo, ricordiamolo pure senza una vera formazione. E ricordiamo pure che la maggior parte sono precari che a giugno abbandoneranno definitivamente le loro classi. Ma come si può valutare l'apprendimento in questo modo? Non si può. E qui si potrebbe aprire una lunga discussione e riflessione sulla valenza dei famosi voti. Il problema sorge proprio perchè la nostra scuola è legata indissolubilmente ai numeri. E ora a cosa diamo un valore numerico? Alle volte che un ragazzo si è connesso? E se divide il pc con altri fratelli? E se non ha il wi-fi? La situazione quindi è meno brillante e avanguardistica di quanto sembri. Per questo, quando tutto questo sarà finito, sarà giusto ricordare che la tecnologia a scuola è da supporto, ma non potrà essere mai un unico veicolo.
Inoltre e ultimi solo per rafforzare questo concetto: per gli alunni disabili, questa didattica è funzionale? Siamo ancora in grado di parlare di didattica inclusiva? Perchè per loro fare scuola e studiare e tutt'altro che tradurre Cicerone o risolvere equazioni. Nei casi più gravi, loro imparano solo stando vicino al loro insegnante, la loro formazione è fatta, (tutta o quasi) esclusivamente di contatto, di sguardi, di attenzioni, di partecipazione, di condivisione umana.
Purtroppo non è colpa di nessuno, ma che questa situazione sia da monito ai sostenitori dell'avvento delle tecnologie nella scuola, per ricordare che senza l'aspetto sentimentale, inteso nel senso più ampio di umano, la didattica si può fare, ma non è detto che sia veramente efficace ed inclusiva.
Servirà a tutti per capire che il valore intrinseco dell'istruzione è la partecipazione, la condivisione degli spazi, la vicinanza fisica, la presenza. Il processo formativo può e deve naturalmente servirsi delle tecnologia, ma questa, quando si tornerà alla normalità, dovrà restare un supporto e non potrà mai sostituire un insegnante. Perchè ai ragazzi adesso non manca la nozionistica che si può fornire anche a distanza, ma manca la presenza, l'empatia, la comunicazione vera, elementi che sono sia il fondamento di un apprendimento valido, sia di una scuola veramente inclusiva.

Parole chiave: speciale emergenza

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