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05/11/2022

Entrando nel merito

di Paola Lattaro

Un tempo era il Ministero della Pubblica Istruzione, poi la parola “pubblica” si è persa per strada. E adesso ecco spuntare il “merito”. Ma di merito non ci parla anche l’articolo 34 della Costituzione, come hanno ricordato in tanti nei numerosi contributi al dibattito dati in questi giorni? E allora dove sta il problema?

L’articolo 34 dice che “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi”, parla di merito (e di capacità), quindi, in un senso alto e non discriminatorio. La scuola, cioè, deve riconoscerlo per garantire anche a chi non può permetterselo di continuare a studiare, di emanciparsi, di avere una vita che corrisponda a quello che si è e che si potrebbe diventare e non a quello che si ha in partenza. Ma è questo il modo in cui il sistema istruzione interpreta e vive il merito?

Partiamo proprio dall’insegnamento della matematica, dove sembra di poterci appigliare a verità oggettive e rassicuranti per dare voti ai nostri studenti e stabilire così chi ha meriti in questa disciplina e chi no. Perché l’esercizio si pensa che sia giusto o sbagliato, lo sai fare oppure no. In realtà, ridurre tutto a una performance scandita da tempi ristretti, richieste standard e una fredda valutazione del risultato finale, incapace di tenere conto di processi e contesti ben più profondi, ci permette sicuramente di creare classifiche basate su criteri magari chiari, quanto arbitrari, però in realtà porta verso una matematica escludente, per pochi eletti, ai quali tra l’altro troppo spesso si chiede solo di essere bravi e veloci ad applicare sterili procedimenti meccanici e non molto di più. E l’inserimento di questa parola, merito, a partire dal nome del dicastero che si occupa dell’istruzione, potrà solo esasperare ulteriormente questo modo di pensare l’insegnamento della matematica e rischia di farci definitivamente perdere di vista la possibilità di un cambiamento reale, che vada a incidere sul rapporto emotivo delle persone con questa disciplina e permetta di vivere la classe come dovrebbe essere, ossia uno strumento potente per formare cittadini liberi e capaci di pensieri propri.

Personalmente ritengo che sia già in atto da anni la costruzione di una scuola che insegue il merito in una declinazione che niente ha a che fare con l’articolo 34. Un esempio lampante ci è dato dall’inserimento del curriculum dello studente alla maturità. Quello di un ragazzo che viene dai margini della società inevitabilmente racconterà una storia e delle opportunità completamente diverse da quelle di un rampollo con alle spalle una famiglia che può pagargli corsi di lingua, viaggi, libri, computer e consentirgli una vita comoda e agiata.

Oppure prendiamo i test standardizzati legati alle competenze linguistiche e matematiche. Da sempre ci dicono chiaramente una cosa: chi viene da contesti vantaggiosi culturalmente ed economicamente ha una maggiore padronanza delle lingue e degli strumenti matematici. Ma oltre a sbatterci in faccia ogni volta questa verità, se vogliamo anche molto banale, il sistema istruzione concretamente cosa fa per cambiare le cose? Per rimettere in pari i conti, per dare davvero a coloro che la vita ha svantaggiato i mezzi per essere prima di tutto cittadini consapevoli e pensanti, che poi a pensarci bene sarebbe realmente questo il compito della scuola, e non quello di certificare il merito. Per attuare un altro articolo della Costituzione, cioè l’articolo 3, quello che ci dice che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”

Ma, rispetto a quello che la scuola dovrebbe essere, lo scarto tra l’idea e la pratica non è mai stato tanto grande quanto in questi anni di pandemia. Mai come nell’emergenza che abbiamo vissuto, infatti, per avere diritto a una parvenza di istruzione bisognava essere nati nella regione giusta, che poi era quasi sempre una regione del nord, dove la scuola è stata un po’ più protetta e non consegnata a una chiusura a oltranza, facendone il capro espiatorio per eccellenza del terrore che ci ha attanagliati. Bisognava avere una connessione stabile, uno strumento informatico adeguato, una famiglia serena, una stanza dalla quale collegarsi da soli, senza le lezioni di fratelli e sorelle come sottofondo. E genitori, quasi sempre le madri, che potevano permettersi il lusso di restare a casa coi figli in DAD, senza per questo perdere il lavoro. A coloro che tutto questo non lo avevano, come sempre gli sfigati, quelli che appartengono alla periferia sociale e geografica delle nostre città e che della scuola avrebbero bisogno come il pane, è stata negata in partenza la possibilità di raggiungere, non dico i più alti gradi di studio, ma anche semplicemente la conclusione del percorso dell’obbligo.

Quindi di che merito parliamo adesso? È doloroso e sconcertante vedere che, dopo questi anni che hanno visto la scuola perdere gli studenti più fragili, i più difficili, e quindi non essere più scuola, come già ci ha insegnato Don Milani, non si decida di ricominciare partendo da una seria riflessione. Magari proprio dalle parole, per esempio recuperando l’aggettivo “pubblica” di cui tanto si sente la mancanza e che ci parla di diritti e non di privilegi. E invece si decida di partire dalla mortificazione di tutto quello che il diritto all’istruzione dovrebbe essere, inserendo questo “merito” che ha un forte sapore di classismo, e dalla conseguente constatazione che quanto accaduto in pandemia è accaduto invano. Anzi no, riflettendoci, è stato funzionale a un sistema che vuole sempre più palesemente che i cittadini siano divisi, a partire dai bambini e dagli adolescenti, tra sfigati e privilegiati.

Questo articolo è tratto da MaddMaths. Matematica Divulgazione Scientifica, del 3.11.2022.

Credits.


La foto accato al titolo è relativa a progetti contro la dispersione scolastica che intrecciavano la matematica con altre discipline, portati avanti con studenti provenienti da contesti disagiati. Vedi @Associazione Matematici per la città. Vedi anche, di Paola Lattaro,  Ius soli e diritti dei minori, crescere in un paese diverso , "insegnare", 29.11.2017;  Da Bagnoli a Scampia, "insegnare", 16.5.2019.

 

Parole chiave: merito

Scrive...

Paola Lattaro insegnante, socia dell’associazione culturale Matematici per la città, impegnata da anni in progetti didattici mirati a contrastare la dispersione scolastica.

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