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02/03/2016

Gli insegnanti e la riforma Costituzionale

di Rosamaria Maggio

Gli insegnanti hanno il difficile compito di far si che gli studenti imparino a ragionare con la propria testa. Solo attraverso tempi lunghi e percorsi curricolari che consentano ai ragazzi di orientarsi tra le numerose conoscenze e di sistematizzarle, si raggiunge questo importante obiettivo.

La nostra Costituzione sancisce il principio della libertà di insegnamento nell'articolo 33 nell'interesse non dell'insegnante ma dello studente, per garantire a quest'ultimo un apprendimento plurale e democratico. Parto quindi da qui, per motivare la mia adesione come insegnante e come insegnante CIDI, alla opzione del NO al Referendum sulla riforma costituzionale, che intende modificare il Senato e sancire una nuova legge elettorale.
Quando qualche anno fa un Ministro dell'Istruzione ipotizzò di modificare i testi di scienze per la scuola, eliminando la teoria evoluzionista in favore di una interpretazione della creazione dell'universo in senso creazionista, il mondo scientifico si rivoltò.

Allo stesso modo la nostra Costituzione ha trovato nel mondo accademico la sua difesa non solo politica ma anche pedagogica. Quella "Bibbia laica", per usare una bella definizione del Presidente Emerito Ciampi, il cui alto valore linguistico non è solo fine a se stesso, mira, come dice  Tullio De Mauro, a rendere agevole la trasmissione dei suoi contenuti. Anzi, De Mauro precisa ulteriormente, esso non è solo un testo informativo ma è altresì un testo prescrittivo e persuasivo proprio per il suo alto contenuto normativo.
La Costituzione è ciò che un popolo si dà, nel momento in cui è sobrio, a far valere per il tempo in cui sarà ebbro. È l'accordo, il civile compromesso che sta alla base della convivenza di tanti soggetti cittadini di uno Stato democratico portatori di identità diverse, come ci ricorda Gustavo Zagrebelsky in La virtù del dubbio. Intervista su etica e diritto, Laterza, Bari, 2007.

L'attuale legge di revisione costituzionale, proposta dal Governo in carica, quindi dalla parte politica parlamentare maggioritaria, ha concluso l'iter previsto dall'art.138 della Costituzione, percorso non avulso da forzature, nonché da cambi di casacca, che ha consentito alla maggioranza di approvare il DDL, ma non di ottenere il quorum dei 2/3 per evitare il referendum confermativo (l'iter sarà concluso in aprile).
Si è determinata la stessa situazione, anche se da parte opposta, rispetto al tentativo di Berlusconi del 2006, andato a monte per volontà popolare.
L'art. 138 offre la possibilità, quando la riforma non abbia coinvolto le minoranze, a chi non è d'accordo, di provare a farla fallire, come sostiene la costituzionalista Lorenza Carlassare iscritta anche all’Associazione “Libertà e Giustizia” e molto critica rispetto al progetto di cambiamento dell’attuale bicameralismo.

Quindi questa è l'occasione per le minoranze di far sentire la propria voce. Fra le argomentazioni di chi sostiene la necessità della revisione c'è quella secondo cui la Costituzione da quando c’è non sarebbe stata mai modificata. In verità, dal 1989, le leggi di revisione costituzionale approvate sono state ben 13 e gli articoli emendati in tutto o in parte sono stati 30, oltre a 5 disposizioni completamente abrogate.
Altro argomento a sostegno delle tesi pro-Riforma riguarda la necessità di superare la doppia lettura dello stesso testo normativo da entrambe le Camere per portare ad approvazione una legge. Accelerare l’iter legislativo apparirebbe quindi impossibile in un sistema di bicameralismo perfetto come il nostro.
Pure questa tesi cozza, secondo il costituzionalista Michele Ainis, con la realtà che emerge dai dati. Il tempo medio d’approvazione dei disegni di legge governativi, era di 271 giorni nella XIII legislatura (1999-2001); nell’attuale legislatura è sceso a 109 giorni (in parte anche per il continuo ricorso alla decretazione per delega e al voto di fiducia). L’accelerazione dunque è di fatto avvenuta a norme costituzionali invariate.Inoltre questa riforma introduce ben 9 percorsi di approvazione della legge, l'Iter legis (oggi ne abbiamo solo 2, uno ordinario ed uno abbreviato).

Quanto alla argomentazione secondo la quale la modifica consentirebbe di ridurre i costi della politica, se è vero che con la Riforma Boschi i senatori-consiglieri regionali non riceveranno alcuna indennità, è realistico ipotizzare che la collettività dovrà sostenere i costi delle loro trasferte su Roma. Senza contare, poi che personale del Senato continuerà a lavorare. Nel 2014 si sono spesi 145 milioni di euro. Insomma, il Senato a costo zero sarebbe possibile solo se venisse cancellato del tutto.

Ancora, verrebbe violato dal “nuovo” art. 57, commi 2 e 5, il principio della sovranità popolare con l' esclusione della elezione diretta dei senatori-sindaci: si prevede infatti che la scelta dei senatori-consiglieri regionali e sindaci avvenga da parte dei consiglieri regionali stessi, i quali dovrebbero però conformarsi al risultato delle elezioni regionali, in sostanza votando su liste bloccate. Ora, l’esigenza della elettività diretta del Senato non è fine a se stessa; essa consegue dal fatto che, anche a seguito della riforma, il Senato eserciterebbe sia la funzione legislativa sia quella di revisione costituzionale, che costituiscono il più alto esercizio della sovranità popolare.

L'ultima importante argomentazione tecnica è legata all'equilibrio tra i poteri. La modifica della legge elettorale, cosiddetto Italicum, assicura al partito di maggioranza relativa un premio di maggioranza che consentirebbe al governo con esso costituito il controllo della Camera dei deputati con 340 parlamentari. Questa circostanza, unita al fatto che solo la Camera per l’appunto controllata dal Governo, dovrebbe conferire la fiducia , urta nelle democrazie pluraliste con la necessità di contro-poteri che nel disegno di riforma del Senato mancano, determinandosi una concentrazione di poteri in un solo organo.

Queste le osservazioni che come cittadina mi portano ad aderire al Comitato per il No, ma anche come insegnante, quando i principi della sovranità popolare, della divisione e bilanciamento dei poteri vengono intaccati.
Ci troveremmo di fronte a un intervento modificativo della prima parte della Costituzione che invece dovrebbe essere inviolabile.
Come insegnante, quindi, non posso esimermi dallo stigmatizzare questo impianto, confortata dal parere di eminenti costituzionalisti e dalla dottrina del diritto costituzionale comparato.
Come insegnante, ancora, se questa riforma dovesse incontrare il favore dei cittadini, mi troverei di fronte al grave problema se insegnare la nuova Costituzione o se denunciare la deriva autoritaria e antidemocratica che ne deriverebbe.
Come insegnante CIDI, infine, impegnata da oltre 10 anni nel progetto “A scuola di Costituzione”, mi chiederei se e come continuare a lavorare nelle scuole per diffondere il pensiero costituzionale qualora questo venisse totalmente stravolto.

 

 

Scrive...

Rosamaria Maggio Docente di diritto nelle scuole superiori, già vicepresidente nazionale del Cidi

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