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23/09/2020

La sovranità come fine dell’istruzione

di Ermanno Testa

Gli articoli della Costituzione riguardanti l’istruzione, specificamente il 33 e il 34, non indicano quale scuola realizzare. Essi si “limitano” a elencare una serie di modalità e garanzie che debbono caratterizzare il sistema di istruzione: l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento; la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi; la scuola è aperta a tutti; l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita; i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi ecc.
Tali articoli si collegano strettamente, e in un certo senso ne rappresentano una risposta, a quanto disposto perentoriamente nel secondo comma dell’articolo 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” In questo articolo sono indicati alcuni traguardi che chiamano direttamente in causa il sistema di istruzione: il perseguimento del pieno sviluppo della persona umana nonché dei diritti di cittadinanza, cioè dell’effettiva capacità di ciascun individuo di partecipare alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Tuttavia, se tali articoli disciplinano i fattori caratterizzanti il sistema di istruzione, ancora non è chiaro quale debba essere il modello di scuola da realizzare, ovvero a quale principio generale essa debba ispirarsi. La questione è di tale portata per la vita dell’intera società che la risposta non poteva essere affidata agli articoli dedicati specificamente alla scuola ma, in un certo senso, allacciarsi all’intero impianto costituzionale. Questo si riassume nell’articolo 1. Da esso infatti è ricavabile una indicazione generale fondante per la scuola: là dove, dopo l’affermazione dei tre principi universali di libertà (l’Italia è una Repubblica), eguaglianza (democratica), fraternità (fondata sul lavoro), l’articolo 1 introduce il concetto di sovranità: questa appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, cioè attraverso un sistema di democrazia indiretta. Un principio, quello della sovranità, che indica un potere originario e indipendente da ogni altro potere, tale da poterlo considerare concettualmente l’istituzione suprema della Repubblica. Un principio che investe ciascun individuo e il cui esercizio richiede assoluto senso di responsabilità e di consapevolezza, cioè un forte spessore etico culturale.

Dunque il principio generale di riferimento del sistema scolastico è di concorrere alla crescita di individui non soltanto dotati degli strumenti della cittadinanza, cioè di quelle competenze necessarie a partecipare attivamente alla vita della comunità (art. 3), ma forti anche di quel bagaglio etico culturale necessario a interpretare al meglio, come singoli e come comunità, il fondamentale esercizio della sovranità.
Corrisponde a questo profilo un principio umanistico di promozione della persona nella sua originalità e complessità, un principio identitario della nostra migliore tradizione culturale: l’umanesimo come modello di vita e di cultura, ideale etico per una società che vuol costruire una democrazia moderna. Un principio, un ideale di vita da tradurre in termini di modernità, non necessariamente condizionato dalla tradizione, che con il latino e il greco rimanda all’antico e, inevitabilmente, a una attenzione troppo parziale verso la realtà, ma interpretato laicamente secondo una visione umanistica moderna, attuale; una visione in grado di attingere, in ogni campo del sapere (linguistico, storico, scientifico, tecnologico ecc.) che concorra alla crescita e al benessere del consorzio umano, valori e significati da interpretare in chiave etica e civile.

Poiché la cura della Repubblica si manifesta attraverso la cura verso le nuove generazioni, compito della scuola è di porsi in tale alveo: ovverosia centrata sull’alunno per promuoverne la libera crescita umana, intellettuale, civile, improntando l’esperienza scolastica del bambino, già a partire dall’apprendimento delle prime elementari pratiche igieniche, al rispetto di se stesso, degli altri e dell’ambiente; generando attraverso l’istruzione, sulla base di rapporti non competitivi, ma dialogici e cooperativi, motivi crescenti per l’assunzione di comportamenti responsabili, alla ricerca di un ideale alto di vita individuale e collettiva. In tale scuola prendersi cura del bambino e dell’adolescente significa adottare da parte di chi insegna strategie educative scevre da tecnicismi o logiche efficientistiche, di per sé inefficaci se non deleterie, ma correlate e calibrate sui singoli alunni secondo una impostazione di curricolo verticale. Dove la verifica e la valutazione degli apprendimenti siano combinate, facendone parte, con il processo  di insegnamento/apprendimento e non affidate a strumenti tecnici (questionari predisposti, quiz, enigmistica varia) capaci al più di verificare le informazioni al momento memorizzate ma non il grado di maturazione intellettuale e di consapevolezza di sé raggiunto dall’alunno; e comunque una valutazione mai tale da risultare causa di esclusione.
Stabilire un’empatia culturale, far conoscere, far capire, far comprendere che una conoscenza affidabile del mondo e di noi stessi si ottiene attraverso un processo continuo di osservazione, valutazione, revisione; mettere in condizioni di saper argomentare, naturalmente con modalità e gradazioni diverse equiparate alle singole età e alla molteplicità dei temperamenti, delle inclinazioni, dei caratteri e riuscendo anche a utilizzare le imprevedibili risorse dell’individualità umana, mantenendo sempre vivo nell’alunno il senso di sestesso e quindi una certa sua autonomia nell’apprendere, è il compito di chi insegna. In tale insegnamento non c’è nulla di burocratico. Al contrario, quella dell’insegnante risulta essere tra le professioni più complesse e responsabilmente creative: per la quantità delle competenze necessarie, prime tra tutte disciplinari, e per la imprevedibilità delle situazioni didattico educative e delle tante casuali irrazionalità quotidiane che richiedono la ricerca, con rigore ed equilibrio – anche i comportamenti contano - di soluzioni percorribili ed efficaci.
Avere cura significa avere a cuore la riuscita del processo di crescita intellettuale e morale: ciò richiede che, con tutte le cautele, il rapporto tra allievo e insegnante si fondi su una attenta vicinanza pedagogica, un vero e proprio affidamento che comporti per quest’ultimo una duplice diretta responsabilità, sia verso l’alunno, sia nei confronti della comunità. Non è dunque il rapporto con i contenuti delle discipline al centro del processo di crescita degli alunni bensì il rapporto con il ruolo di mediazione dell’insegnante che con le giuste modalità (verifica delle preconoscenze, scelta dei contenuti, tempistica, approccio, metodologia laboratoriale, valutazione in itinere, il tutto in rapporto alle diverse intelligenze e ai diversi stili di apprendimento) riesce a suscitare interesse rendendo emozionalmente e intellettualmente significativi quei contenuti. Un apprendimento è significativo poiché modifica pensiero e comportamenti, sollecita una maggiore laboriosità dell’intelletto e una superiore capacità critica, favorisce la formazione di una coscienza operante, sollecita attraverso l’interazione con gli altri il formarsi di una mentalità cooperativa e solidale. Tale processo non può che accrescere nei giovani autodeterminazione e coscienza della propria identità; dove anche il formarsi di identità originali che possono dar luogo a distinzioni, diversità e a nuove possibili diseguaglianze, lungi dal divenire motivo di discriminazione, diventa risorsa e arricchimento della comunità rendendo più nobile il concetto di sovranità.

Una esperienza educativa di tale spessore è destinata a durare per tutta la vita e a dare progressivamente sostanza ad un’etica della responsabilità, unica garanzia per un adeguato, diffuso, civile esercizio di sovranità.

Scrive...

Ermanno Testa Già insegnante di scuola secondaria di II grado, a lungo dirigente nazionale del Cidi e direttore di "insegnare" (fino al 2006).

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