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08/02/2019

"Lettere alla scuola": laboratori di democrazia in classe

a cura di Fiorella Paone

A settembre 2018, in apertura dell’anno scolastico in corso, a Pescara, nell’ambito del  Convegno “La scuola cancellata?”, organizzato dal CIDI locale in collaborazione con la rivista insegnare, è stata presentata l'iniziativa "Lettere alla scuola", percorso di ascolto della scuola reale e di scrittura collettiva, promosso dal parlamentare europeo Curzio Maltese. Alcuni istituti superiori di Pescara hanno aderito all'iniziativa.
Presentiamo qui una rassegna delle importanti problematiche emerse e discusse recentemente in una iniziativa pubblica, corredata da ampie citazioni dalle "lettere" scritte dalle studentesse e dagli studenti.

Vivere la scuola dal punto di vista di studenti e studentesse

L’intenzione alla base della decisione di lanciare la proposta sul territorio è stata, in primo luogo, quella di cogliere un’occasione per coinvolgere gli Istituti scolastici in un processo di riflessione e confronto che si ponesse l’ambizione di contribuire da un lato  a rappresentare la scuola oggi, dall’altro di immaginare prospettive future a partire dalle percezioni, i bisogni e i desideri di studenti e studentesse.  Mettersi in ascolto dei vissuti di alunni/e, infatti, è presupposto di un’intenzionalità pedagogica volta a dare spazio e voce all’opinione dei protagonisti del sistema scolastico. È a partire dalle loro parole, infatti, che si può provare a comprendere e orientare, in una direzione funzionale al benessere e alle pari opportunità scolastiche l’intervento didattico e formativo, promuovendo percorsi di inclusione, accoglienza e costruzione di cittadinanza.
Infatti è interessante riflettere su quanto sostenuto dal movimento Student Voice [1], che adotta una prospettiva di ricerca basata sul principio che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel costruire e ricostruire un intero sistema senza prestare mai attenzione a coloro per i quali verosimilmente si edifica tale sistema. L’inefficacia di questo approccio sta divenendo sempre più evidente (…). E’ giunto il tempo di considerare gli studenti fra coloro che hanno il diritto di partecipare sia alla riflessione critica sull’educazione sia al rinnovamento della stessa [2].

In quest’ottica, proporre un percorso di elaborazione di una Lettera, che si ponga l’obiettivo di favorire la messa a fuoco delle caratteristiche della “scuola ideale”da parte degli studenti e delle studentesse, vuol dire compiere un primo passo per rimettere al centro l’alunno e l’alunna, le loro impressioni, speranze, difficoltà e potenzialità.
Significa ritenere centrale il loro punto di vista, riconoscendoli come testimoni privilegiati dei contesti che vivono, superando l’asimmetria di potere che li relega nella posizione di passivi “contenitori da riempire”, che è quantomeno paradossale se pensiamo che la scuola dovrebbe educare alla partecipazione sociale e alla cittadinanza attiva. Implica la scelta di sostenere un uso attivo della parola da parte di chi apprende, condividendo l'impegno di rivitalizzare e rendere concrete pratiche pedagogico-didattiche democratiche.

Un insegnamento  fondato su solide basi democratiche e inclusive sarebbe sia una valida alternativa al continuo ronzio che esaspera approcci meritocratici e selettivi, basati su una ossessione valutativa e su una sconfortante confusione metodologica e culturale, sia un validissimo punto di riferimento per costruire una scuola intesa come  spazio in cui ognuno abbia accesso a tutti gli strumenti e contenuti della cultura, in cui le differenze sociali, economiche, linguistiche, culturali e personali non diventino diseguaglianze, in cui si sostenga il pieno sviluppo della persona in un’ottica globale e emancipativa, secondo Costituzione.
Attività come quella della “Lettera alla scuola” sono ancora necessarie perchè la “Professoressa” cui si rivolgevano i ragazzi di Barbiana [3] è ancora in classe [4], continua a utilizzare un approccio trasmissivo e a porsi in maniera autoritaria e frontale, riferendosi nostalgicamente, in maniera più o meno esplicita, alla scuola del rigore, delle note, dei voti, delle bocciature, alla scuola  in cui la quotidianità spesso ostacola l’assunzione di responsabilità da parte di studenti e studentesse, alla scuola in cui chi parte da una posizione di fragilità viene lasciato indietro, alla scuola che è ospedale che cura i sani e abbandona i malati.

Uno spazio di dialogo nella pluralità di approcci

Sono quattro gli Istituti di Pescara [5]  e provincia che hanno aderito all’invito di Curzio Maltese, coinvolgendo nei mesi di ottobre, novembre e dicembre insegnanti e studenti di sei classi del primo e del secondo ordine superiore nell’elaborazione di una “Lettera alla scuola" [6].

Nelle lettere, infatti, ragazzi e ragazze scrivono: ci siamo impegnati con una certa serietà: il lavoro ci ha preso coinvolgendoci in una scrittura collettiva che è stata una bella esperienza.
E ancora:  Ci siamo impegnati con una certa serietà: (…) abbiamo riflettuto e assunto un atteggiamento propositivo, abbiamo affrontato scambi costruttivi.

Aprire questo spazio di dialogo e confronto fra studenti e studentesse, mantenendolo lontano dalla logica del giudizio e del voto e esplicitando che l’opinione di ognuno/a sarebbe stata rappresentata, ha attivato un processo di responsabilizzazione che ha evitato da un lato un atteggiamento compiacente, che avrebbe portato alunni/e a dare risposte condizionate dall’aspettativa dell’adulto, dall’altro un atteggiamento oppositivo e sterile di denigrazione a priori di tutto quello che la scuola rappresenta.

Tutte le classi coinvolte hanno lavorato sul tema “la scuola che vorrei”,  ma i prodotti realizzati si differenziano molto gli uni dagli altri, presentando tipologie differenti di testo. Gli studenti e le studentesse utilizzano la parola scritta e orale, le illustrazioni, la musica, le immagini in movimento per esprimere stati d’animo e pensieri. Il linguaggio adoperato ha, quindi, utilizzato codici verbali e non verbali sulla base delle libere scelte degli stessi/e alunni/e, che hanno, quindi, selezionato la modalità e il medium più adatto alle loro esigenze e inclinazioni espressive, evidenziando talenti abitualmente poco valorizzati dalla prassi didattica.
Tutte le docenti hanno, inoltre, articolato l’attività in fasi, ma la scelta delle strategie didattiche è stata differente in ogni percorso. Fra le insegnanti, infatti, c’è stata chi ha scelto di creare un clima favorevole alla riflessione e al confronto sul tema presentando stimoli audio-visivi (film Una volta nella vita), o stimoli narrativi (brani di Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana), chi ha deciso di percorrere la strada della scrittura individuale e chi della scrittura collettiva, chi ha utilizzato il brainstorming, chi la discussione collettiva, chi il circle time, chi ha proposto lavori in piccoli gruppi e chi confronti in plenaria.
Dalle narrazioni fatte dalle docenti, in ogni caso, emerge che, pur nella loro differenza, tutte le proposte didattiche hanno in comune il fatto di aver adoperato modalità comunicative non frontali e non trasmissive, al fine di cercare di creare un contatto efficace e ridurre la distanza relazionale. Del resto proprio questa distanza è stata individuata, nelle lettere, come elemento che influenza negativamente i vissuti e i risultati scolastici. Si sono, dunque, scelte strategie attive, approcci non direttamente valutativi e capaci di promuovere un percorso di insegnamento/apprendimento basato sul dialogo e l’ascolto reciproco.
Le insegnanti concordano nel sostenere che il merito del buon esito dell’attività sia da legare proprio a tali scelte metodologiche, capaci di calarsi nel singolo contesto di classe e declinarsi a partire dalle caratteristiche dei suoi protagonisti (insegnanti e alunni/e), a testimonianza del fatto che sperimentare non vuol mai dire riprodurre pratiche pre-costruite, ma fare professionalmente scelte metodologico-contenutistiche che muovono dalla conoscenza e dal rispetto dell’altro [7].

Leggendo le lettere elaborate, i termini più ricorrenti sono disagio, noia, malessere, costrizione, ingiustizia, incomprensione, distanza, difficoltà. Studenti e studentesse lamentano modalità didattiche rigide, frontali ed estranee; d’altro canto la loro impressione è ad oggi supportata da numerosi dati. Anche le indagini INVALSI [8] rilevano che le attività didattiche tradizionali sono ancora prevalenti, mentre ricerche, attività in coppia o piccoli gruppi e didattica laboratoriale sono ancora pratiche poco diffuse. Se ne potrebbe dedurre che le competenze professionali degli insegnanti sono nel complesso ancora troppo fragili, legate a modelli didattici superati e che risentono di modslità di formazione iniziale e di aggiornamento nonché di forme di reclutamento dei docenti fortemente inadeguate.
Studenti e studentesse, pur non conoscendo queste ricerche, sono ben consapevoli delle esperienze didattiche che vivono e nelle loro lettere propongono soluzioni, come aumentare le attività e i progetti affidati ad esterni o scegliere un modello quale quello del college americano. Soluzioni in alcuni casi ingenue e persino, a nostro parere, disfunzionali, probabilmente legate alla moda e ai consumi mediali più diffusi e tendenzialmente omologanti, ma che bisognerebbe sforzarsi di leggere più in profondità, coinvolgendo in questo processo gli stessi alunni/e che sono osservatori privilegiati delle dinamiche scolastiche, ma che spesso non hanno gli strumenti culturali per elaborare le loro intuizioni. 

Nelle lettere si legge:
- Ad oggi uno dei problemi presenti nella scuola, pensiamo sia il fatto che non ci siano tanti insegnanti capaci di farci amare le materie che insegnano.
- Vorremmo una scuola in cui tutti gli alunni potessero esprimere la propria opinione per costruire insieme ai compagni e ai professori lezioni più coinvolgenti, in modo da rendere più fruttuosa e meno  pesante la giornata scolastica e dunque lavorare meno a casa. Questa buona comunicazione  ci aiuterebbe a mantenere un ritmo di lavoro più costante e efficace. In particolare ci piacerebbe che non solo gli alunni ma anche i docenti si proponessero insieme di ampliare la loro mente e le loro conoscenze.

E ancora:
- In America e in altri Paesi agli studenti delle scuole superiori è consentita la scelta di alcune materie facoltative accanto  ad altre obbligatorie, una possibilità che ci sembra interessante perché l’alunno viene messo nelle condizioni di poter scegliere il proprio piano di studi e quindi viene coinvolto attivamente nel proprio percorso. Infatti ci sembra giusto poter decidere in modo più autonomo e responsabile e siamo convinti che più facilmente i risultati finali soddisferebbero le nostre aspettative.
- Ci piacerebbe avere una struttura simile a un college, dove ognuno di noi può avere a disposizione degli armadietti, più laboratori, una mensa dove poter stare tutti insieme, un ampio cortile e infine sarebbe bello anche avere un’aula per ogni materia. Pensiamo che la scuola oltre ad essere una fonte di istruzione sia un luogo dove si impari a vivere, combattere e confrontarsi con persone nuove sin da piccoli.
- Noi vorremmo un’istruzione più organizzata per quanto riguarda i viaggi, i laboratori di gruppo,di conversazione e riflessioni, di scienza, di grafica, di informatica e di arte, con le adeguate attrezzature e le attività extrascolastiche.

D’altro canto organizzare ambienti realmente funzionali all’apprendimento è una sostanziale responsabilità del docente, che può positivamente avvalersi dell’opinione degli studenti per trovare le soluzioni di volta in volta adeguate, ma anche coerenti con i processi di insegnamento/ apprendimento che egli  intende attivare.
Da questa alleanza fra alunni/e e insegnanti si può arrivare a discutere e verificare l’ipotesi che il desiderio di vedere trasformarsi il tempo scuola in un succedersi di progetti esprima in realtà il bisogno di una didattica non trasmissiva, che valorizzi gli interessi di studenti e studentesse e parta da questi per cominciare ad ampliare il loro orizzonte e il loro bagaglio culturale. I ragazzi esprimono il desiderio di “avere insegnanti diversi” che abbiano passione per il loro lavoro e siano disponibili a mettersi in discussione e crescere assieme ai loro alunni/e, nella prospettiva del docente ricercatore.  Ci si potrebbe chiedere insieme se il college americano, solitamente conosciuto attraverso la mediazione di film e telefilm, non rappresenti per ragazzi/e un modello scolastico capace di individualizzare i percorsi, di far lavorare in laboratori e in ambienti d’apprendimento diversificati in cui ci sia spazio anche per attività motorie, di avere tempi distesi che rendano possibili lavori cooperativi e l’interazione con diversi gruppi di coetanei e adulti.
Certo, nelle lettere ragazzi/e non arrivano a individuare espressamente tali collegamenti e non siamo certi di aver adeguatamente interpretato i loro desideri e bisogni, ma riteniamo che un approfondimento in tal senso, che li veda attivamente coinvolti, sia un loro diritto che un docente responsabile avrebbe il dovere di garantire. Di sicuro, infatti, in classe non vengono spesso proposti percorsi di ricerca e scoperta che facciano conoscere loro la possibilità di concretizzare le suddette prospettive, cui, tra l’altro, le Indicazioni Nazionali inviterebbero, ma che trovano ancora poco spazio a scuola.

Le proposte delle classi coinvolte
Nelle lettere, ragazzi/e dicono, però, che vorrebbero che gli adulti riconoscessero loro una maggiore autonomia: di quale autonomia parliamo se poi a casa i genitori controllano tutto quello che dobbiamo fare?
Dicono che spazi e attrezzature dovrebbero essere adeguati e che i testi dovrebbero essere gratis:
- spesso constatiamo che le attrezzature scolastiche sono insufficienti e non idonee (…) nella scuola dell’obbligo i libri dovrebbero essere gratis;
- molto utili sarebbero degli armadietti che permettono di alleggerire lo zaino, un cortile che durante le pause dalle lezioni ci consenta di ripassare o trascorrere del tempo libero all’aria aperta e infine una struttura più decorosa e attrezzata, partendo dai bagni.
Dicono di percepire che la scuola è sempre in difficoltà: la società oggi dimostra una singolare impotenza a risolvere i problemi della scuola tanto che essa sembra in una situazione di crisi perenne da cui non riesce ad uscire.
Dicono che non vorrebbero le bocciature e che vorrebbero classi meno numerose per sentire di poter essere seguiti meglio e senza fretta:
- una soluzione potrebbe essere quella di formare classi meno numerose, al massimo una quindicina di alunni, in modo da  favorire la concentrazione da parte sia degli studenti che dei docenti;
- sarebbero opportune classi di 15 alunni per poterli seguire con calma e attenzione personalizzando gli interventi a seconda delle esigenze del ragazzo;
- vorrei una scuola dove non esista la bocciatura, dove ad ognuno venisse concesso il tempo di cui ha bisogno per raggiungere il traguardo.
Dicono che tutti e tutte hanno bisogni speciali e che non è giusto venire etichettati:
- tutti i ragazzi hanno esigenze educative speciali e nessuno deve essere ridotto ad una sigla;
- una scuola dove nessuno (compresi i professori) si fermi al pregiudizio e all'apparenza di qualsiasi persona, dove nessuno possa sentirsi diverso.
Dicono che vorrebbero una scuola più giusta e che non identifichi in base ai voti, dei quali non comprendono a pieno logiche e criteri, lamentando che spesso vengono utilizzati con un’ottica selettiva e non formativa:
- vorremmo anche che non ci fossero preferenze da parte dei professori nei confronti degli alunni.  Noi crediamo che insieme alle valutazioni con voti dovrebbero esserci anche le motivazioni per ogni voto, evitando così i conflitti con l’insegnante e sapendo dove e come migliorare;
- vorremmo una scuola che non ci identificasse in base al voto;
- ti [scuola]vorremmo più evoluta, più aperta ed accogliente per ogni ragazzo senza fare differenze fra noi.
Dicono che gli insegnanti non li rispettano e non si accorgono dei loro sforzi, ma anzi tendono a svilirli:
- non si crea il giusto rapporto con gli insegnanti, i quali cercano di mettere in soggezione l’alunno, sminuendo le sue capacità;
- i professori non riescono a capire l’impegno degli alunni nello studio, perché, è vero che vogliono ottenere il meglio da noi, ma noi non possiamo trascorrere tutti i pomeriggi a studiare;
- l’indifferenza che alcuni professori hanno verso i nostri confronti ci fa male, molte volte loro non apprezzano i  nostri sforzi e per questo non ci sentiamo gratificati;
- un punto che noi riteniamo importante è il rispetto, perché col rispetto vige un clima tranquillo e di pace.

A proposito di una diffusa situazione di malessere e ansia, nelle lettere studenti e studentesse sostengono che:
- ci sono stati molti giorni di nervosismo e tristezza;
- ho iniziato ad avere problemi in quasi tutte le materie e ogni giorno era per me un inferno (…) ero disperata, avevo paura di essere bocciata;
- la crisi si manifesta innanzitutto come malessere di tutti coloro che hanno a che fare con la scuola;
- vorremmo sentirci al sicuro, ognuno a proprio agio senza atti di bullismo, che in ogni scuola sono molto frequenti, un fenomeno che consiste in una serie di prepotenze, umiliazioni, piccole o grandi torture anche psicologiche che uno o più ragazzi riuniti in "branco" infliggono ad altri ragazzi;
purtroppo non troviamo sicurezza considerando alcuni episodi come atti di bullismo verso persone fragili e “indifese” molte volte considerate diverse.
Nelle lettere si legge anche che a scuola alunni/e si sentono costretti, che si annoiano: "io vivo le ore di lezione immerso nella noia (…) gli insegnanti non coinvolgono in modo efficace gli alunni nelle attività didattiche". Questo motivo porta gli alunni alla disattenzione e quindi alla confusione.

E come dar loro torto, considerato che le indagini OCSE-PISA[9] testimoniano che i risultati di un test sono meno brillanti se studenti e studentesse percepiscono che i loro docenti hanno l’idea che loro siano meno competenti di quello che sono in realtà. Inoltre, il giudizio percepito di un insegnante ha una forte influenza sull’autostima e può generare gravi stati d’ansia in ragazzi/e che hanno conseguenze negative sulle prestazioni.

Quella stessa indagine OCSE-PISA  conferma queste sensazioni, testimoniando come l’Italia, insieme al Portogallo, si situi al primo posto per ansia, paura e preoccupazione percepite dagli studenti e dalle studentesse anche a causa di fattori interni alla scuola stessa. Tra i/le quindicenni intervistati/e, infatti, il 56% dichiara di studiare con grande tensione, il 77% di essere molto nervoso/a se non riesce a svolgere un compito, l’85% di essere preoccupato/a di prendere brutti voti, il 70% di essere molto in ansia prima di fare un test, pur essendosi preparati/e. L’ansia è associata a un calo di prestazioni.

Certo, oggi la scuola per gli studenti e le studentesse è spesso meno attraente delle seduttive proposte extrascolastiche, al contrario di quanto accadeva ai tempi di Barbiana, dove per i ragazzi l’alternativa era quella di contribuire lavorando agli sforzi delle famiglie. Nella Lettera a una Professoressa si legge, infatti, che gli alunni ritengono la scuola comunque meglio della merda che avrebbero dovuto spalare se fossero dovuti andare a lavorare nelle stalle con i loro padri. 

Tenere in considerazione questa differenza culturale e sociale del contesto in cui la scuola si inserisce non vuol dire promuovere una proposta didattica “leggera e superficiale”, ma continuare ad affinare le competenze metodologiche e disciplinari al fine di rendere più efficaci le proposte, adattandole alle singole situazioni, al di là di quanto propone una certa manualistica “dell’automatismo pedagogico”. 

Dalle lettere emergono anche situazioni limite nel comportamento dei docenti: 
- il problema fondamentale è stare a scuola e ascoltare le lezioni senza distrarmi, rimanendo seduto dietro a piccoli e scomodi banchi e subendo molte regole da rispettare che mi fanno sentire come in galera.
- alcuni professori usufruiscono del loro potere per fare terrorismo psicologico (...) Come possiamo pretendere di fidarci di persone che vantano fogli “importanti”, che poi mancano di umanità? 

E accanto a queste osservazioni la consapevolezza dei propri errori:
- anche noi alunni siamo responsabili, perché molte volte non siamo rispettosi ed educati nei confronti dei professori e dei compagni e non diamo peso ai richiami o provvedimenti disciplinari da parte dei docenti, fino a quando non si arriva a una sospensione grave;
- vorrei parlare dell’uso scorretto del cellulare, perché gli alunni trascorrano molto tempo con i cellulari in mano;
- di quale autonomia parliamo se con la scusa della facilitazione del digitale non ci preoccupiamo più neanche di scrivere i compiti sul diario?
-  la classe ha adottato, già dai primi giorni, un atteggiamento inadeguato rispetto al contesto scolastico, un errore che ha influenzato particolarmente il rendimento generale degli alunni:
-  spettacolo sconcio di immondizia che resta sui pavimenti delle aule a conclusione delle lezioni.

Infine, vogliamo sottolineare che nelle lettere ragazzi/e dicono che si sentono come in carcere, dalle loro parole  sembrerebbe che siano ancora troppe le circostanze in cui si realizza un rapporto di potere basato sulla forte contrapposizione tra docenti e studenti e studentesse, che sentono di subire un trattamento ingiusto, non democratico, sordo e cieco alle loro esigenze.

Talvolta l'insegnante appare ancora colui che si pone come “padrone della parola”, che trasmette invece di comunicare [10], che punisce invece di responsabilizzare, che controlla invece di promuovere autonomia.
Ma dalle testimonianze di ragazzi/e si evince anche un atteggiamento autocritico degli studenti e delle studentesse verso alcuni dei loro comportamenti più frequenti e da loro stessi ritenuti scorretti.

Considerazioni finali

In conclusione, ci sembra che come ieri la Lettera di Barbiana, dando voce a quella scuola che voleva promuovere democrazia e emancipazione sociale, è divenuta il manifesto di un intero movimento culturale e politico, anche oggi pratiche didattiche partecipative e vicine agli interessi delle classi, come quelle narrate dagli insegnanti che hanno accolto l’invito della “Lettera alla scuola”, possono innescare processi virtuosi.
Abbiamo infatti bisogno di processi che siano in grado di coinvolgere la dimensione affettiva e la dimensione cognitiva di insegnanti e alunni/e e creare ponti comunicativi e relazionali capaci di favorire cooperazione e contatto autentico e fecondo, risvegliando e riviltalizzando l’interesse e la motivazione per lo stare a scuola e per i contenuti disciplinari.

Promuovere in classe occasioni di dialogo come quelle vissute in occasione della “Lettera alla scuola” vuol dire, infatti, educare all’ascolto e al rispetto, vuol dire allenare ad elaborare ed esprimere un’opinione, a saperla argomentare, approfondire, confrontare.
Vuol dire offrire lo spazio per cominciare a mettere a fuoco le proprie idee, a trasformare le esperienze in conoscenze, a prendere contatto con le proprie sensazioni, cominciando ad accoglierle e ad elaborarle in maniera funzionale alla crescita umana e culturale.
Vuol dire poter vivere quella dimensione intersoggettiva che riconosce il diritto di parola di tutti e di ciascuno in un’ottica di rispetto per la dignità di studenti e studentesse, una dimensione che, come insegna la psicologia culturale, ha un enorme peso in ogni tipo di apprendimento.

Opportuno sarebbe, quindi, dare seguito agli input forniti da studenti e studentesse, sviluppando strategie pedagogico didattiche che con continuità sostengano percorsi disciplinari capaci di muoversi a partire dalle direzioni che loro hanno indicato, talvolta in maniera implicita. La cooperazione, il reciproco riconoscimento, la negoziazione di regole, la condivisione di obiettivi chiari, l’esplicitazione dei criteri e delle modalità di lavoro, il rispetto delle differenze devono concretizzarsi in attività didattiche quotidiane che siano i primi passi per far sì che studenti e studentesse si sentano partecipi dei percorsi di un’autentica comunità educante. Si ritiene, infatti, che questo possa rivitalizzare la loro motivazione, sostenere la loro assunzione di responsabilità e facilitare la loro progressiva acquisizione di linguaggi, conoscenze e strumenti per affrontare consapevolmente e criticamente il proprio itinerario di apprendimento.
Proseguire su questa strada vuol dire far sentire agli studenti e alla studentesse che  loro sono importanti per la scuola e che la scuola può essere importante per loro perché ciò che si fa in classe li riguarda.

Impossibile non sentire in queste parole l’eco dell’I Care scritto sui muri di Barbiana, quel mi riguarda che è il contrario del me ne frego fascista e che è ancora invito in grado di orientare l’intenzionalità pedagogica alla cura del sé e dell’altro.

 

Note

1. Student voice è la denominazione di un movimento pedagogico nato in Inghilterra negli anni Novanta e ad oggi diffusosi a livello internazionale. Anche se poco praticato in Italia, esso è radicato nel Regno Unito, Usa, Canada e Australia. Adotta una prospettiva di ricerca che, pur specificandosi in specifici filoni, si basa sull’idea che sia prioritario  legittimare la voce degli studenti come forza trasformativa della scuola.
2. A. Cook-Starter, Legittimare il punto di vista degli studenti. Nella direzione della fiducia, del dialogo, del cambiamento in educazione, in  V. Grion, A. Cook Starter (a cura di), Student Voice. Prospettive internazionali e pratiche emergenti in Italia,, Guerini, Milano, 2013: 27-28.
3. Scuola di Barbiana, Lettera ad una Professoressa, Barbiana, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1967.
4. 
Cfr. G. Cederna (a cura di), Atlante dell’infanzia a rischio 2017. Lettera alla scuola,  Save the Children & Treccani, 2017: 53.
5. Nello specifico: Liceo Sportivo dell’IIS “Volta”, I.C. PESCARA 8,IIS “Emilio Alessandrini” Montesilvano- Pescara, IT “Tito Acerbo” di Pescara. Le insegnanti referenti per l’attività sono rispettivamente: Luigia Amoroso, Lucia Iannucci, Mariella Ficocelli, Annunziata de Vincentiis, Rosaria De Caro, Marilena Nobis.   
6. A conclusione dei percorsi attivati, così, il CIDI Pescara ha deciso di costruire un momento di condivisione e riflessione sulle proposte didattiche e sulle esperienze vissute dalle classi coinvolte, invitando i docenti di riferimento a un incontro in cui presentare il lavoro svolto e i suoi prodotti, che si è tenuto il 24 gennaio presso l’IIS Alessandrini di Montesilvano con la partecipazione di Beppe Bagni, Presidente Nazionale del CIDI. All’iniziativa hanno attivamente partecipato, oltre i docenti coinvolti, anche altri insegnanti interessati e i ragazzi e le ragazze dell’Associazione giovanile La Ginestra – Germogli di sinistra, interessata alle tematiche relative al diritto allo studio.
7. Come ebbe a dichiarare a suo tempo il maestro Manzi: "Se io dovessi tornare a scuola oggi non rifarei quello che ho fatto fino all’ultimo giorno di scuola, perchè i bambini cambiano e cambiamo anche noi"; in Farnè R. Alberto Manzi. L’avventura di un Maestro, Bononia University Press, Bologna, 2011: 143.
8. Cfr. 
INVALSI, I processi e il funzionamento delle scuole. Anni 2012-2015
9. OECD, PISA 2015 results Students’ well-being, volume III, 2017.
10. D. Dolci, Dal trasmettere al comunicare. Non esiste comunicazione senza reciproco adattamento creativo, Sonda,  Alessandria, 1988.

 

 

 

Scrive...

Fiorella Paone Assegnista di ricerca in ambito pedagogico presso l'Università di Chieti-Pescara; si occupa di professioni pedagogiche in ambito scolastico e genitoriale, di educazione linguistica e di didattica teatrale; formatrice di "Nati per Leggere".

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