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c'era per noidopo scuola

08/10/2025

Educare, a scuola: cura dell’anima e costruzione di democrazia

di Giuseppe Tulone

Nell’ambito accademico del nostro Paese ci sono casi di ricerca educativa che parlano “con” la scuola e non “sulla” scuola; ricercatori e ricercatrici si interrogano sul valore culturale, sociale, educativo dell’istituzione scolastica tenendo conto di ricerche rigorose condotte sul campo e ascoltando le voci di chi la scuola la vive giorno per giorno, allievi ed insegnanti.

È il caso di Luigina Mortari, professore ordinario di Pedagogia generale e sociale presso il dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi di Verona, e di Vanessa Roghi, storica del tempo presente e ricercatrice di Storia della cultura. Le due esperte hanno partecipato ad un incontro con il pubblico tenutosi al “Filosofia Festival” di Modena lo scorso 25 settembre; si è trattato di  un dialogo denso di riferimenti filosofici e pedagogici, incentrato su cosa dovrebbe significare educare nel mondo contemporaneo.

Luigina Mortari: educare è coltivare l’anima

Partendo dal concetto platonico di paideia come cura dell’anima, Mortari ha ribadito che educare non è solo trasmettere saperi, ma coltivare la dimensione interiore della persona. Ciò implica che l’educazione debba avere a che fare con «le cose importanti della vita» e che, di conseguenza, debba occuparsi delle esigenze fondamentali dell’animo degli allievi. In tal senso ciascun insegnante dovrebbe prendersi a cuore l’essere del proprio studente affinché sviluppi tutte le sue potenzialità attraverso la relazione che instaura con lui.

Un’educazione autentica, secondo la pedagogista, deve inoltre formare cittadini capaci di pensieri grandi e complessi, sviluppando un pensiero generativo in grado di produrre visione nella società. In netto contrasto con l’attuale modello di educazione neoliberista, finalizzato alla formazione funzionale al mondo del lavoro, Mortari ha proposto una visione più ampia: l’educazione deve aprire mondi, coltivare immaginazione e senso critico, permettere l’emergere del pensiero. Ha quindi richiamato Socrate con la pratica del dialogo, l’indagine sulle grandi domande dell’esistenza, l’arte del domandare per vivere bene con gli altri, osservando come oggi nella scuola non sembra esserci più spazio per le grandi domande. Essa invece deve creare le condizioni per il dialogo, affinché i bambini possano imparare, discutendo insieme, un metodo per pensare. Citando Lev Semënovič Vygotskij , ha spiegato come il dialogo con l’altro si trasformi in dialogo interiore: si internalizza il ragionamento, si impara a domandare, a riflettere e a «trovare sentieri per la vita».

Secondo la studiosa, in aggiunta, la scuola della cura si attua mettendo gli studenti nelle condizioni di fare esperienze che nutrano l’essere dell’altro; come ci ha insegnato il pedagogista John Dewey, è necessario offrire agli allievi delle esperienze affinché possano apprendere, facendo poi seguire all’esperienza un momento di riflessione per mettere ordine tra ciò che gli alunni hanno appreso.

Per Mortari la scuola deve farsi carico della persona sul piano cognitivo (una scuola dove si apprende il metodo per pensare, si formulano ipotesi, si studiano nuovi saperi …), sul piano delle abilità affettive (perché lavorare sulla condizione emotiva è lavorare sulla cognizione per fare un lavoro critico su quello che noi pensiamo), sul piano etico (con un’educazione che inviti i ragazzi a cercare il bene ed evitare il male). Un passaggio particolarmente significativo è stato quello concernente la dimensione spirituale dell’educazione. Secondo Mortari, anche se il termine “spiritualità” non fu accettato nelle Indicazioni Nazionali quando lei lo propose, resta una parte fondamentale del processo educativo. I bambini pongono domande profonde, altissime: "Cos’è il bene? Cos’è il male? Cos’è il giusto? Cos’è l’ingiusto?" È da queste domande, quelle che per esempio si ritrovano nei dialoghi dell’antropologo Gregory Bateson con la figlia, che nasce la vera educazione spirituale. Rimettere queste riflessioni al centro dell’educazione è, per la studiosa, condizione essenziale per la vitalità della democrazia stessa. Di conseguenza si è soffermata sulla dimensione politica dell’educazione: ogni alunno deve saper costruire “modi di essere” che gli consentano di essere cittadino in mezzo agli altri. E in un passaggio carico di significato ha evocato Socrate nel dialogo con Alcibiade: il filosofo suggerisce all’allievo di avere cura di sé stesso prima di entrare in politica, consegnandogli la domanda "Qual è la speranza che ti fa vivere?" — una domanda che oggi dovrebbe entrare prepotentemente nelle aule. «La speranza e la fiducia – ha sottolineato infatti Mortari - sono le cose che un insegnante deve dare agli alunni», ribadendo un concetto che è al centro del suo recente volume “A scuola. L’arte di educare” (Mimesis, 2025) : «educare è prendersi cura della sfera del sentire».

Vanessa Roghi: educare è una pratica democratica

Collegandosi alla riflessione di Luigina Mortari, Vanessa Roghi ha introdotto il suo intervento confermando come il pensiero nasca nella relazione con gli altri, infatti, richiamando alla mente Gianni Rodari, ha sottolineato come le parole abbiano la forza di influenzare i pensieri e generare riflessione: «Le parole sono come sassi nello stagno, smuovono pensieri profondi».

Ponendo il suo sguardo sui bisogni educativi della scuola odierna, la ricercatrice ha insistito sulla parola “pratica”, ricordando che le più importanti riforme in ambito scolastico sono state frutto di una pratica democratica, come l’introduzione del tempo pieno o la fine delle classi differenziali. Alla parola “pratica” ha voluto accompagnare il termine “tessuto”, il tessuto dello stare insieme, citando il linguista Tullio De Mauro per il quale la democrazia è un tessuto fatto di fili diversi che si intrecciano; da questa prospettiva anche la scuola – come ha ampiamente sottolineato il pedagogista John Dewey-  è chiamata a costruire una comunità democratica, mettendo i saperi al servizio dell’educazione alla cittadinanza. E quindi ha rivolto al pubblico le sue domande, urgenti e attuali: «Come fa la scuola a prendere sul serio la Costituzione? Come può davvero contribuire a rimuovere gli ostacoli, come richiesto dall’art. 3? E come si può educare alla consapevolezza dei limiti della democrazia, senza abbandonare la fiducia nelle sue possibilità?».

Per rispondere a tali interrogativi, la ricercatrice ha posto al centro della sua riflessione due parole guida: “co-pensare” e “cooperare”. L’apprendimento, ha evidenziato Roghi, è una costruzione condivisa all’interno della quale gli adulti sono come scale su cui i bambini salgono: una scala serve ad accompagnare loro, a farli crescere, a mostrare possibilità e orizzonti nuovi. Di qui il suggerimento che l’esperta ha rivolto alla comunità educante: «Non possiamo castrare i giovani dicendogli che noi adulti siamo migliori. Dobbiamo scommettere sui giovani avendo fiducia in loro e chiedere direttamente a loro come la scuola possa rimuovere gli ostacoli presenti nella nostra società».

In riferimento alla stesura delle nuove Indicazioni Nazionali, la ricercatrice ha anche ripreso il pensiero di Renzo Renzi, linguista degli anni ’70, che metteva in guardia dal semplice sostituire contenuti vecchi con contenuti nuovi: il rischio è solo passare da una normatività a un’altra, senza cambiare il cuore della scuola. Serve invece riflettere sul “come”, non solo sul “cosa” si insegna; a tal proposito, anche Vanessa Roghi ha suggerito l’importanza del “fare esperienza” all’interno delle aule scolastiche.

Infine, ha voluto ricordare due figure ispiratrici che ancora oggi possono indicare alla comunità educante possibili pratiche da seguire: è il caso di Don Milani, con l’idea della scuola che «siede tra passato e futuro e deve tenerli presenti entrambi», e di Ada Gobetti, insegnante e attivista antifascista, che si occupava di educare i genitori degli alunni alla vita comunitaria e a costruire insieme a loro pratiche condivise. Si tratta di esempi concreti di come la scuola italiana nel corso del tempo abbia abbracciato l’idea di scuola democratica, inclusiva, plurale e che la ricercatrice ha ben approfondito nel suo libro “Il tirocinio della democrazia. Una genealogia per la scuola del presente” (Erikson, il Margine, 2023).

 

Scrive...

Giuseppe Tulone insegnante di lettere nella scuola secondaria di primo grado, membro del CIDI di Modena.

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