La redazione di "insegnare" e il gruppo di lavoro impegnati nella stesura di una pubblicazione sulla educazione alla cittadinanza hanno redatto e promuovono un appello pubblico per chiedere al MIUR la moratoria della valutazione in voti in ogni ordine di scuola. In subordine e qualora ciò non si verificasse si chiede ai Collegi docenti, ai Ds e ai singoli insegnanti di compiere azioni coerenti con l'etica e la dignità professionale, astenendosi dal dare voti e sostituendoli con valutazioni descrittive di quanto veramente avvenuto.
Raccolgo qualche osservazione a margine e di inquadramento.
Attribuire valutazioni individuali finali in decimi a compimento di questo periodo emergenziale significherebbe concludere con una assurda ingiustizia un periodo già di per sé faticoso e sofferente. L'abbiamo scritto recentemente sulla nostra pagina facebook ricevendo ampie conferme di condivisione.
Ci sono due aspetti allarmanti nella faticosa gestione della vita scolastica in queste condizioni di emergenza. La prima è una certa tendenza all'esagerazione, all'eccesso, indipendentemente da come viene poi esercitata. Una sorta di perdita collettiva di senso della misura e di buon senso, di pacatezza, in parte comprensibile in un momento così delicato e tragico, ma assai pericolosa.
Molto meno comprensibile è invece l'ossessiva ricerca di legittimazione e conforto nelle pratiche di valutazione. Molti, purtroppo, confermano che la loro concezione dell'Istruzione si identifica con atti valutativi compiuti per altro con formule che sono ormai una concentrazione di contraddizioni.
Circolano esempi di schede di valutazione della sedicente "didattica a distanza" che, per valutare idee fantomatiche di apprendimento, riescono a sommare, in un solo documento, i giudizi sintetici del 1974, i voti del duo Tremonti-Gelmini, i punteggi docimologici e i descrittori della valutazione autentica. Ovviamente formativa, ci mancherebbe!
Come ci piacerebbe che la scuola italiana, nelle classi non conclusive, potesse formulare un giudizio più o meno di questo tipo: "L'allieva/o è riuscita/o a superare le molte difficoltà di varia natura, collaborando con i compagni e i docenti a mantenere vivo ed esercitare il desiderio di tenersi in contatto, di comunicare, di capire e di trovare conforto in attività intellettive. Si o abbastanza, e comunque in base alle proprie forze e condizioni."
Come diceva il maestro Manzi, anzi se ne fece un timbro da apporre sulla scheda: "Quel che può fa, quel che non può non fa". E subì per questo una sanzione amministrativa.
Dare voti decimali anche in questa circostanza sarebbe inoltre la conferma di un patologico accanimento valutativo e sanzionatorio che, a partire dall'introduzione dei voti decimali, ha già prodotto danni gravissimi alla scuola, accentuandone le pulsioni meritocratiche e selettive, in netto contrasto con le dichiarazioni di intenti finalizzate all'inclusione e al contrasto alle disuguaglianze o della povertà educativa.
Insomma, ci si appresta a scrivere in atti ufficiali una quantità enorme di falsi. Bisognerà continuare a chiedersi perché ciò accade. Perché ci si ostina a compiere atti così palesemente iniqui e a così forte rischio di invalidazione?
Le cause sono molte, a partire da un malinteso senso della serietà dello studio e da una ostinazione nella misurazione quantitativa e quindi facilmente parametrabile del merito. Come scriviamo nel documento, si impone una lunga riflessione sul senso sempre più tecnocratico e sanzionatorio che la valutazione ha assunto nel nostro vivere sociale e nelle scuole. E se ne dovrà riparlare a scuola, appena sarà possibile.
Ostinarsi in questa direzione è oltre tutto lesivo dello stesso impegno, della fatica, della buona volontà e del lavoro con cui la maggior parte degli insegnanti e degli allievi hanno saputo fronteggiare questa emergenza. Oltre a essere del tutto indifferente alle profonde disuguaglianze territoriali, comtestuali, socio-culturali in cui ci muoviamo e ... valutiamo!
Per altro, tutta la gestione, anche ministeriale, della valutazione degli apprendimenti è da tempo ambigua e contraddittoria: incapace di liberarsi degli orpelli e delle metodiche della scuola selettiva di un tempo, ha finito col vanificare anche la descrizione delle competenze acquisite - affiancandola in modo contraddittorio alla sanzione numerica - e finendo col delegittimare, in pratiche defatiganti e spesso cervellotiche di "descrittori" graduati, la stessa valutazione formativa, che ora si è vanamente tentato di recuperare come pratica di buon senso durante l'emergenza, per poi negarne gli stessi presupposti con la conferma dei voti.
Una inconguenza grave, che sancisce un periodo di confusione pedagogica e docimologica altrettanto grave.
Su formulazione di Caterina Gammaldi, ci permettiamo di suggerire al MIUR o se si preferisce la formula attuale, al MI, il testo di una eventuale delibera:
"Alla luce della situazione che si è verificata a seguito dell'emergenza sanitaria (sospensione dell'attività didattica e attivazione della "DaD"), che non consente una adeguata valutazione formativa (dei processi) né sommativa (degli esiti), considerato che si è già proceduto ad ammettere tutti gli studenti alla classe successiva, i docenti procederanno alla sola descrizione del percorso scolastico compiuto e dei risultati raggiunti, senza l'attribuzione di alcun voto".
Questo consentirebbe a tutti anche di interrogarsi con maggior consapevolezza intellettuale, amministrativa e professionale su quanto è realmente accaduto in questi mesi, anche in prospettiva futura.
Se il Ministero dovesse persistere nella sua linea, per quanto riguarda le scuole, Cidi e MCE hanno proposto congiuntamente, in un documento e un appello ai Collegi docenti "Per una valutazione formativa" una moratoria dei voti in tutti gli ordini di scuola. La Flc-Cgil ha lanciato un appello per la stessa ragione, limitandola almeno alla scuola primaria. Anche questa distinzione, per altro, appare limitativa e può provocare ambiguità: l'etica e la serietà professionale dei docenti non dipendono certo dall'età degli allievi e affermare che la valutazione decimale è incongruente e nociva almeno per la scuola primaria potrebbe alimentare in qualcuno, come purtroppo spesso accade, il rischio di intendere e praticare che lo sia "solo" per la scuola primaria.
Se poi anche la maggioranza del Collegio non dovesse assumere posizoni collegiali in tal senso e si dovesse giungere all'assunzione di responsabilità individuale, sarebbe davvero un'occasione persa. Si tornerebbe alle condizioni del 2008, quando si invitarono singolarmente gli insegnanti ad opporsi all'introduzione del voto decimale. In quella occasione sulla rivista proponemmo anche una forma di obiezione di coscienza professionale: una "Dichiarazione di obbedienza coatta", "da chiedere - scrivemmmo allora - che sia allegata alla documentazione dello scrutinio o da proporre come mozione o come dichiarazione personale accanto alla delibera del collegio sulle modalità di valutazione".
Si potrebbe formulare qualcosa di analogo, ma ci auguriamo che non ce ne sia bisogno. Forse si fosse dato credito allora a chi si pronunciò in tal senso, invece di traccheggiare fra elefantiasi dei descrittori "autentici" e sudditanza alla misurazione decimale, non saremmo qui a chiedere l'applicazione di un po' di buon senso in una contingenza drammatica.
Una soluzione di questo tipo, è probabile, darebbe adito a contestazioni di addebito e forse anche a provvedimenti disciplinari. Per questo è di fondamentale importanza che la scelta venga assunta e ratificata a livelli collegiali. E comunque, in situazioni di emergenza, oltre alle norme speciali, dovrebbe poter sopravvivere anche una dose speciale di buon senso!
Speriamo insomma che la scuola riesca a non chiudere questo anno già così dolente nel peggiore dei modi. Già si è persa l'occasione, per una volta almeno, di tenersi in contatto, di dialogare, di sentirsi comunità, di insegnare e di apprendere, di istruire ed educare senza l'assillo del giudizio e del voto, ma per "il piacere in sé", come scrissero i ragazzi di Barbiana, che di difficoltà peraltro se ne intendevano.
Ora più che mai, abbiamo bisogno di iniezioni di buon senso, di dialogo, di fiducia, di condivisione, di paidéia e di sympathos, per dirla con quanto di buono ci può arrivare dal passato più lontano, e non di cervellotiche, inadeguate e anche illecite sanzioni ponderali e classificatorie, funzionali per altro agli aspetti meno rassicuranti del presente e del futuro.
Abbiamo bisogno di senso della misura, non di pratiche ossessive di misurazione.
Ma c'è di più, da annotare a margine.
Nel frattempo, giunge un interessante documento redatto da alcuni componenti del già "Comitato Scientifico Nazionale per l’accompagnamento delle Indicazioni nazionali della scuola dell’infanzia e del primo ciclo (2012) ", dal titolo "La scuola del primo ciclo oggi e domani: una riflessione a più voci".
Si tratta di una riflessione importante, sulla quale dovremo tornare con la dovuta attenzione, che le considerazioni ivi contenute meritano. Per ora una sola notazione: guardiamo con incuriosita e preoccupata attenzione alla mancanza di continuità, del tutto politica, di persone e di idee, fra il suddetto Comitato e il Comitato di esperti istituito dalla Ministra Azzolina, "che avrà il compito di formulare e presentare idee e proposte per la scuola con riferimento all’emergenza sanitaria in atto, ma anche guardando al miglioramento del sistema di Istruzione nazionale".
Bisognerà capire in quale direzione e verso quali prospettive avviene questo cambiamento. Dalle idee e dalle posizioni del gruppo che ha sottoscritto "le riflessioni a più voci", sappiamo che è scaturita la linea di politica scolastica, che ha a suo credito non solo l'iter elaborativo delle Indicazioni Nazionali fra il 2007 e il 2012, ma anche il documento Indicazioni Nazionali e Nuovi scenari del 2017.
Un canto del cigno, dunque? Un cambiamento di prospettiva? E verso quale direzione?
Vogliamo sperare che il Comitato ministeriale attualmente costituito non sia invece più orientato verso l'esaltazione delle illusioni (ma anche delle distorsioni, dei rischi e delle omissioni) implicite nelle soluzioni tecnocratiche, verso quelle correnti di pensiero e soprattutto di scelte pragmatiche, che si riconoscono nella presunta "innovazione" digitale, che spesso affidano la legittima volontà di superare la "scuola trasmissiva" a modalità più o meno credibili di "capovolgimento", o ancora che si riconoscono nella sperimentazione degli istituti superiori quadriennali, nell'esaltazione spesso acritica dell'Asl o delle sue attuali varianti, o che hanno bollato come conservatrici le posizioni di chi ha denunciato immediatamente tutti i rischi insiti nell'esaltazione della "DAD", non solo come soluzione emergenziale da affrontare con attenzione e cautela, ma come progetto per il futuro, o addirittura, come occasione da non perdere, che, ci è capitato di leggere, avrebbe consentito "alla scuola italiana di entrare finalmente nel secolo XXI"!
Per questo siamo molto preoccupati che fra i compiti dell'attuale Comitato non ci sia solo la predispozione delle modalità di rientro, di cui c'è un gran bisogno, ma dell'ennesimo "nostro Piano per il mondo dell'Istruzione" (come ha scritto la Ministra) di cui nessuno sente il bisogno, soprattutto se elaborato sotto le pressioni e la mancanza di lucidità imposte dall'emergenza: "Lavoreremo anche guardando al dopo, al futuro della scuola che è, necessariamente, il futuro dell’Italia. Abbiamo l’occasione, ora che tutti parlano di scuola e avvertono ancora di più la sua importanza, di intervenire per migliorare ulteriormente il sistema di Istruzione." (Così si dice nella presentazione ministeriale del Comitato).
Oltre tutto, sia detto con estrema chiarezza, un Comitato cui venisse affidato un compito così ambizioso dovrebbe scaturire da un diverso iter di delega e rappresentatività.
Cerchiamo per ora di uscire in modo dignitoso dall'emergenza, senza accelerare o peggio strumentalizzarla come chiave di volta per delineare la "nuova" normalità. Che la scuola abbia bisogno di cambiamenti profondi è indubbio. La direzione in cui attuarli, invece, è terreno assai complesso, nel quale stentano a delinearsi prospettive realmente credibili nell'ottica del rilancio di una scuola pubblica che di "autentico" si ponga l'unico compito di essere democratica e davvero emancipante, meno assillata dalla prospettiva di formare il "capitale umano" per lo "sviluppo del paese", che invece ci sembra accomunare le troppe proposte per il futuro che in questi giorni si sentono brandire come speranze. E che ci sentiamo fermamente di non condividere. Se davvero dovessimo indicare una direzione da cui uscire da questa crisi, ci sembrerebbe esattamente opposta all'accentuazione delle visioni e delle pratiche tecnocratiche, senza nessuna nostalgia passatista, sia chiaro, ma anche con la lucida consapevolezza dei punti di non ritorno dove ci ha condotto questo modello di "sviluppo", non solo economico.
Oggi molti cominciano a riconoscere i rischi e le contraddizioni che in questi mesi la scuola ha corso e ha dovuto purtroppo fronteggiare, senza essere guidata a fare scelte più attente e meno compromettenti. Di non tutti questi rischi si ha ancora piena coscienza: per esempio, dell'asservimento dei processi educativi a logiche e cordate commerciali, a culture monopolizzanti, adattive e distorsive; altri appaiono emersi con maggior chiarezza e consapevolezza, almeno da parte di alcuni: gli inevitabili limiti intrinseci e l'insufficienza dei contesti in cui si è stati costretti e delle soluzioni adottate e, soprattutto, le faglie di diseguaglianza che hanno accentuato. Certo, è emerso anche del positivo, e sapremo farne tesoro, ma è la prospettiva politica e culturale dell'idea di scuola che è stata fortemente compromessa e che dobbiamo al più presto abbandonare.
Non bastano le prime consapevolezze, ma è già qualcosa, dopo le riserve e i silenzi che nei mesi scorsi hanno accolto posizioni come il nostro appello e altre considerazioni contro i rischi della sedicente "DAD".
Anche qualche insulto, tra i più coloriti e graditi c'è quello di chi ci ha accusati di essere "conservatori come l'ANPI" (non rimandiamo alla fonte in difesa della dignità dell'offensore): nella settimana tra il 25 aprile e il 1 maggio riceviamo con orgoglio quella che forse voleva essere un'offesa, ma è per noi un gradito complimento. E guardiamo al futuro, verso una visione autenticamente emancipante della scuola pubblica, sperando che possa prendere ispirazione anche dalle componenti migliori del nostro passato, che in questa settimana si ricordano e si celebrano (per esempio la difesa della dignità dell'uomo, del lavoro e della libertà individuale nella giustizia sociale) e non da quelle, talvolta accecate e acefale, di questo spesso irresponsabile presente.
Anche per questo siamo contenti che nel non-week end di questo Primo maggio 2020, dalle loro case, più di 1000 colleghe e colleghi (sono 1060 alle ore 20 del 3 maggio ) abbiano deciso di sottoscrivere il fatto che sancire con un voto le fatiche di questi due mesi sarebbe una profonda ingiustizia, oltre che un errore pedagogico preoccupante per il futuro, come molti firmatari hanno scritto nei loro commenti.