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c'era per noioltre la lavagna

24/04/2020

25 Aprile 2020… da remoto.

di M. Gloria Calì

Il 25 Aprile 2020, come ogni altra cosa italiana dallo scorso Marzo, è interpretato... al tempo del Coronavirus: le misure di distanziamento sociale escludono le consuete forme di celebrazione, perciò niente parate, manifestazioni di piazza, meno che mai grigliate e gite fuori porta.
L’ "Associazione interparlamentare sui luoghi della memoria e della Resistenza", nella persona del deputato Andrea De Maria, ha organizzato sul tema una videoconferenza trasmessa il 23 Aprile in diretta sul canale Youtube della Camera dei Deputati. L’incontro si è sviluppato a partire da due premesse: la prima consiste nel fatto che la Resistenza si è strutturata in un legame imprescindibile con i territori che conservano le evidenze materiali dei fatti e su cui oggi si si alimenta la memoria; d’altro canto, questo movimento così legato ai territori, intessuto di microstorie, ha saputo assumere una dimensione nazionale grazie alla capacità di identificare e coltivare valori necessari anzitutto alla sopravvivenza e poi, in una prospettiva più ampia, ha saputo fondare una convivenza pacifica fondata sulla libertà e sulla garanzia dei diritti.
Il tema generale, quello specifico dell’Associazione interparlamentare di cui sopra, è stato affrontato da vari punti di vista dai venti relatori che si sono avvicendati, da remoto, nell’arco di due ore e mezza, per fornire punti di vista diversi ma convergenti su un’unica idea di fondo: la necessità di diffondere e/0 consolidare una sorta di “sensibilità” per la memoria e la Resistenza a partire dai luoghi italiani in cui si sono manifestate attraverso fatti spesso drammatici le idee che poi avrebbero trovato forma e norma nella Costituzione della Repubblica Italiana.

De Maria ha aperto l’incontro citando uno scambio di battute tra due illustri personaggi, avversari politici della lotta partigiana, Pisanò e Foa, rispettivamente fascista e antifascista; il primo, incontrando il secondo, gli disse: “ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, ora possiamo darci la mano”. Foa gli rispose: “è vero, abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, se avessi vinto tu io sarei ancora in carcere.” Questo riferimento rappresenta uno dei principi ispiratori dell’intera iniziativa: il movimento della Resistenza ha espresso le idee fondamentali che poi, formalizzate nella Costituzione, costituiscono la struttura portante della democrazia italiana.
L’idea che i partigiani abbiano combattuto per garantire la libertà anche ai propri nemici è tornata nelle parole di molti degli intervenuti, a partire da Carla Nespolo, presidentessa dell’ANPI, che ha ricordato le parole di un testimone di quegli anni: “abbiamo combattuto per chi c’era, per chi non c’era, per chi era contro”.
Altro grande tema ricorrente negli interventi è stato quello dell’Europa: dall’intervento di G. Delrio a quello dell’ambasciatore tedesco in Italia V. Elbling fino alle parole della sindaca di Marzabotto V. Cuppi, è emerso che il movimento della Resistenza ha gettato le basi di un pensiero che superasse quel senso distorto di identità nazionale che si trasforma in ostilità verso l’Altro, per approdare all’idea di una casa comune europea in cui i popoli potessero cooperare per una dimensione di comunità allargata.
Lo stesso Delrio, come pure aveva fatto il ministro Franceschini prima di lui, ha toccato il tema importante riguardante una delle narrazioni ricorrenti che in questo momento distorcono la lettura degli eventi presenti: nella cornice dalla metafora “pandemia-guerra”, quindi di una nuova “Resistenza”, la fase successiva sarà una rinascita. Delrio ha evidenziato che il periodo bellico e post-bellico non è paragonabile all’attuale, giacchè durante gli anni ’40 l’Italia non aveva la Costituzione, quindi non aveva né sanità pubblica, né scuola pubblica, né tutto il sistema degli ammortizzatori sociali che oggi possono agire per mitigare gli effetti negativi dell’emergenza sanitaria; la situazione economica e sociale era perciò certamente più critica.
Da Franceschini a tutti gli esponenti di associazioni (oltre l’ANPI, anche l’ANED), fondazioni (fondazione “Fossoli”, fondazione “Monte del Sole”) e istituti di ricerca e documentazione (Istituto “F.Parri”, Istituto “Cervi”) ai sindaci dei luoghi, tutti, pur avendo solo cinque-sei minuti a disposizione, non hanno trascurato di parlare di scuola e/o di educazione. Il tema è emerso a partire proprio dai luoghi della memoria: musei e parchi della Resistenza sono mèta privilegiata delle scolaresche, e lì le giovani generazioni incontrano la memoria viva dei testimoni e degli esperti.
Albertina Soliani, presidentessa di Casa Cervi, e la sindaca di Marzabotto Cuppi, hanno evidenziato con forza un’idea importante: insegnare la Resistenza a scuola è certamente al centro di iniziative didattiche significative, che, però, sono spinte unicamente dalla buona volontà e iniziativa di singoli docenti. La memoria di quei fatti e di quegli eventi dev’essere un dovere di cui lo Stato si deve assumere la responsabilità, anche inserendo con maggiore forza incisiva il curricolo del Novecento nelle indicazioni vigenti [1]La sindaca ha persino proposto un intervento legislativo finalizzato a garantire a tutti gli alunni, almeno una volta in tutto il corso di studi scolastici, una visita nei luoghi della Resistenza. Tutte le voci sono state concordi, in forme esplicite o sottintese, nel ribadire il fondamentale concetto che la Resistenza non è solo un importante fatto storico, ma costituisce “memoria educante"[2]giacchè si tratta del movimento di persone e idee che oggi garantisce ai cittadini quella libertà necessaria anche alla coesistenza di opinioni contrarie, come si diceva all’inizio di questo scritto.
La conoscenza dei fatti degli anni ’40-’45 del Novecento mette al riparo da un rischio emergente nelle narrazioni diffuse oggi, alcune delle quali raggiungono anche i più giovani: il rischio dell’indistinzione tra oppressi e oppressori, nella convinzione falsamente equanime secondo la quale, relativizzando storicamente, tutte le posizioni siano in qualche modo equivalenti, aprendo la strada a revisionismi pericolosi perché strumentalizzabili per legittimare ritorni a posizioni contrarie agli assunti costituzionali. Questo concetto, espresso dal deputato Federico Fornero, è stato ripreso anche da Marco de Paolis, procuratore militare, il quale ha parlato di un aspetto della ricostruzione storica di quegli anni che serve a chiarire il posizionamento delle persone rispetto alle scelte di campo: le stragi dei militari italiani (due esempi eclatanti sono l’eccidio di Cefalonia e la strage di via Rasella) che solo dopo sessant’anni sono state riconosciute tali anche dal punto di vista giuridico.
La Resistenza “a scuola” in se stessa, quindi, costruisce la consapevolezza della libertà come bene non scontato, sulle cui realizzazioni quotidiane vale la pena riflettere, per apprezzarne il senso, rispettarne le articolazioni, evitarne le indebite limitazioni autoritaristiche. La direttrice del Museo della Risiera di San Sabba, a questo proposito, ha raccontato un episodio collegato con le iniziative della sua istituzione, che promuove, tra le altre, una significativa forma di didattica della memoria: gli studenti degli istituti superiori, dopo aver effettuato una ricerca storica, possono allestire una mostra nei locali del Museo. Alcune classi di un istituto triestino hanno realizzato una ricerca sugli studenti e studentesse che sono stati espulsi dalle classi dopo l’instaurarsi delle leggi razziali (“Razzismo in cattedra”, 2018-9). In occasione di questa mostra, un intervento da parte del sindaco che ha sospeso temporaneamente l'inaugurazione a causa della locandina, ritenuta "troppo forte", è stata percepita dagli studenti come un atto di censura; essi hanno rilevato pubblicamente che la libertà che noi oggi diamo per scontata al punto che non ci accorgiamo più dove e quando essa è minacciata, va conquistata, ma soprattutto difesa.
Il frequente e insistito riferimento alla scuola e al suo ruolo fondamentale per la storia e la memoria della Resistenza, purtroppo, in questa mattinata di testimonianze non ha avuto nessun interlocutore. Tra tutte le istituzioni, mancava proprio il Ministero dell’Istruzione, funzione pubblica maggiormente presente nelle parole dei relatori; mentre il Ministero per i Beni e le Attività Culturali dal 2018 porta avanti un’iniziativa normativa importante per garantire risorse concrete ai luoghi e ai musei della Resistenza, l’ufficio di Trastevere non può testimoniare un impegno strutturale nel rendere istituzionale la conoscenza della Resistenza, al di là di generiche esortazioni ai docenti e/o collaborazioni con singoli enti e associazioni.
Resta così, come in molte altre circostanze, l’insegnante solo, di buona volontà, a cui l’istituzione non vuole dare cornici culturali, ma è prontissima a dare quelle procedurali, che nascondono spesso una cultura in senso diverso.

Insegnare la Resistenza è difficile. I libri di testo, primo e più maneggiabile strumento per la didattica, sono spesso troppo semplificatori e retorici, scegliendo come unica chiave di lettura dei fatti quella patriottica. Se a questa narrazione corrisponde anche un’impostazione didattica trasmissiva, il valore storico e civico della Resistenza non viene nemmeno vagamente intuito.
Un aspetto problematico più profondo della questione didattica consiste nell’enorme distanza culturale tra i bambini e adolescenti di oggi e le montagne dei partigiani e partigiane. La scuola ha tuttavia il dovere di prendersi il tempo per leggere e far leggere quelle storie, accompagnando i propri alunni ad incontrare i luoghi senza autostrade, i volti senza trucco e spesso senza sorriso, “spiegargli”, cioè togliere le pieghe del tempo per aprire le mappe delle vicende di quegli anni. Gli insegnanti hanno a disposizione molte risorse per costruire percorsi significativi per la classe e fuori dalla classe, (adesso anche una parte consistente del patrimonio documentario e museale è online) se è vero come è vero che la Resistenza appartiene ai luoghi, e che dovrebbe essere possibile per tutti “andare a vedere”.
La Resistenza, in realtà, si insegna “da sé”: non serve costruire percorsi complessi, basta instaurare un giusto clima di ascolto nella classe e mettere accanto agli alunni storie di uomini e donne giovani come i loro genitori o i loro fratelli e sorelle o addirittura loro coetanei; basta fargli vedere i luoghi e raccontargli che cosa è accaduto, in giorni uguali a quelli loro, ma meno liberi.
Non è solo importante conoscere la storia di quegli anni e di quei luoghi:  è irrinunciabile, perché le vicende della Resistenza sono dentro di noi cittadini che, a tutte le età della consapevolezza, dobbiamo conoscere per saper scegliere. Piero Calamandrei, con profetico senso della conoscenza anche “da remoto”, ha scritto: “se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.” 

 

Credits


Video tratto da Installazione sugli ingressi dei SERVIZI GIOVANI di Caselle T.se, in occasione della Festa della Repubblica - 2 giugno 2013

 

Note

1. Nel documento Indicazioni nazionali e nuovi scenari, del 2018, c’è in realtà un riferimento più specifico al tema della storia d’Italia nel Novecento. “Per quanto riguarda la dimensione nazionale [l’insegnamento della storia] si presta in modo privilegiato ad educare alla memoria, con una attenzione tutta particolare alle vicende del Novecento, comprese le pagine più difficili della nostra storia nazionale. Particolarmente significativo risulta il ricordo delle lotte di liberazione e del successivo momento di concordia nazionale che ha consentito di elaborare e poi di consolidare la nostra Costituzione”.  Si tratta, appunto, di indicazioni, non di prescrizioni orientanti per l'insegnante. Probabilmente, come accade per la giornata della Memoria, il 27 Gennaio, attorno alla quale si costruiscono iniziative più o meno piene di senso didattico o pedagogico, il 25 Aprile sarebbe altrettanto “celebrato”, se non fosse una giornata festiva.
2. A. Soliani, “I giovani e la memoria", in "Innovatio Educativa", Giugno, 2019. 

 

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