Così, Repubblica del 13 marzo sintetizzava le proposte contenute nel DdL che dà sostanza normativa alla "Buona Scuola" e che sta per iniziare l'iter parlamentare in Commissione.
A leggere quel titolo, mi sono chiesta come avrei reagito se fossi stata ancora a scuola.
Sono ripartita da settembre. Già da quando uscì il documento ministeriale “La Buona Scuola” provai a spiegare ai gruppi di colleghi con cui discutemo il testo, come avevo fatto il Dirigente scolastico (e il Preside prima) fino a poco tempo fa, considerando che, in fondo, nonostante le estreme difficoltà nelle quali ci dibattevamo, esisteva all’interno dell’ambiente di apprendimento nel quale lavoravo, un clima che permetteva lo scambio e anche il tentativo di ricerca per lo sviluppo umano e intellettuale.
Il Dirigente Scolastico
Fare il Dirigente Scolastico (ma anche il Preside) significa, secondo me
Quindi i problemi di organizzazione, flessibilità, didattica, relazioni, amministrazione, contabilità, spazi … e tutti gli altri che quotidianamente si presentano e che angosciano, ma nel contempo animano questo lavoro che non dà tregua alla riflessione (non si smette mai di pensare al come e la perché) , possono trovare ipotesi di soluzione solo se ci si pone, momento per momento, queste domande:
E forse queste domande valgono sia per gli insegnanti che, per loro tramite, per gli allievi.
Solo l’osservazione e la considerazione dei successi di ciascuno può permettere di prendere decisioni sul come e perché lavorare.
Ho sempre pensato che la decisione finale è del Dirigente scolastico, perché a norma di legge, se ne assume in toto le responsabilità (e le responsabilità implicano la presa in carico consapevole dei problemi da affrontare e non solo la ricerca delle modalità per eluderli) è importante che essa (la decisione) sia presa sulla base di condivisione e concertazione con tutti gli altri soggetti interni ed esterni alla scuola.
Quindi se la decisione deve essere presa velocemente, gli elementi che vanno a definirla hanno bisogno di una costruzione (co-costruzione) lenta e ponderata.
La collegialità
Già da settembre, perciò mi chiedevo cosa ci fosse dietro affermazioni come “la collegialità non può essere sinonimo di immobilismo, di veto, di impossibilità di decidere alcunché”, mi chiedevo con quali Presidi avesse avuto a che fare l’estensore del documento, che senso avesse per lui il temine “collegialità”.
La collegialità (da cum -> insieme + legere -> raccogliere/scegliere ) non può essere sinonimo di immobilismo, a meno di non avere un’idea di non comunicazione, , di impossibilità d scambi, di assoluta indisponibilità al confronto e all’accoglimento dell'altro da sé.
Se mai sono l’individualismo, il dirigismo che possono diventare sinonimi di ripetitività, che possono portare, proprio per la mancanza di confronto e di messa in discussione, alla coazione al ripetere..
Quindi già da settembre avevo visto con estrema preoccupazione le proposte relative alla governace. Ma peggiore è il risultato, a mio avviso.
Saranno i presidi a individuare i docenti che ritengono più adatti per realizzare il Piano dell’Offerta Formativa. E in base a che cosa? Se avranno utilizzato tutti e 500 gli euro del bonus per libri e cinema? Da soli o con gli altri colleghi della scuola?
Questo significa che il Pof, l’offerta formativa ordinaria, e sottolineo “ordinaria”, ( non quella aggiuntiva, straordinaria, extrascolastica, fuori del curricolo), sarà pensata e progettata da chi? da un gruppo? e attuata, sperimentata, ricalibrata da chi?, da altri rispetto a coloro che hanno progettato?
E chi dovrà verificare e valutare l’azione di insegnamento/apprendimento intese appunto, come analisi, progettazione, attuazione verifica e valutazione? Gli uni o gli altri?
Se fossi a scuola vedrei con terrore il mio lavoro ridotto a “Caron dimonio, con occhi di bragia …. batte col remo ciascun che s’adagia …” (Dante, Inferno, canto III), vedrei con preoccupazione dover decidere chi far lavorare e chi no, chi serve al mio piano (personale?) e chi no, quali le “cose” … attività,eventi(?), progetti) … fare e quali no.
Ma non sono norme le “Indicazioni Nazionali per il Curricolo” sia per il primo ciclo di istruzione che per i licei e gli istituti tecnici e professionali , che indicano appunto la strada della progettazione curricolare e per competenze quella per il raggiungimento dei fini della scuola?
Non sono usciti dallo stesso Ministero le “Linee guida” che spiegano come certificare le competenze e fanno grande sfoggio di inviti alla complessità collegiale dell’insegnare, del valutare e del certificare?
L'idea di competenza
Ma forse si è ancora lontani da un’idea condivisa di competenza, che comporta l’acquisizione, sì, di conoscenze, (e qui gli epistemi delle discipline sono fondamentali) ma anche di abilità, atteggiamenti vissuti in contesti e finalizzati ad uno scopo. Lo sviluppo delle competenze coinvolge l’essere, il fare, il pensare, e la sua complessità richiede lavoro collegiale e intenzionalmente progettato.
Allora il Dirigente Scolastico - Preside un ruolo ce l’ha, certo, ma non è quello di decidere da solo e individuare ed eventualmente premiare quelli che lui ritiene i “migliori”, ma tenere insieme “professionalità” varie e diverse, “storie” varie e diverse, “strumenti e risorse”e “relazioni” varie e diversi, con l’unico certo scopo costituzionale della scuola :”rimuovere gli ostacoli…”
E’ un compito oneroso, irto di difficoltà, che quotidianamente può far gridare con rabbia alla mancanza di attenzione da parte del resto del mondo nei confronti della scuola, ma anche qui, credo, che se i DS, i Presidi riescono a pensarsi insieme se riescono a concepire il loro ruolo come grimaldello per far sì che funzioni NON la Loro scuola, ma la SCUOLA della Repubblica forse qualche speranza c’è ancora.
La scuola della Costituzione e della Repubblica è quella della coesione, dell’inclusione, della cooperazione. Ed è per questo che ci pare lontana dalla “Buona Scuola”.