Il titolo di questo intervento gioca con la letteratura e con il cinema, nel tentativo di affrontare con lievità un tema molto serio, che riguarda la scarsa considerazione in cui sembra essere tenuta l’autonomia scolastica in questa bozza delle Nuove Indicazioni Nazionali 2025. Per non scadere nel macabro trasformando “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” (Mark Addon, 2003) nel “dirigente ucciso a mezzanotte”, ho fuso quella che era stata la mia prima suggestione con l’immagine cinematografica del personaggio del nonno (F.Fellini, “Amarcord”) che si perde nella nebbia davanti a casa e vaga ripetendo: “dove sono? …è sparito tutto, la gente, gli alberi, gli uccellini per aria, il vino…”.
Mettendo mano alla lettura delle Nuove Indicazioni anche io mi sono sentita un po’ come quel nonno e mi sono chiesta dove avrei potuto ritrovarmi, nel mio ruolo di dirigente scolastico.
Nelle Indicazioni del 2012, il dirigente compare nel paragrafo intitolato “Comunità educativa, comunità professionale, cittadinanza” in cui la comunità professionale dei docenti “assume particolare rilievo” all’interno della più ampia e, potremmo dire, generica “comunità educante”, e si sottolinea che, proprio in quanto comunità professionale, essa ha necessità di studio, formazione e ricerca.
Il testo prosegue poi affermando che “determinante al riguardo risulta il ruolo del dirigente scolastico” e, in coerenza con la normativa che ne descrive le funzioni (art. 3 del D. Lgs n. 29/1993, L. n. 59 del 1997 e D.Lgs n. 59/1998, d.lgs 165/2001), riprende la definizione dei compiti del dirigente, che si esplicano sostanzialmente in due direzioni: verso l’interno della scuola e della comunità professionale, con una attività che si articola in compiti di direzione, di coordinamento e di promozione delle professionalità; verso l’esterno, nel suo ruolo di legale rappresentante dell’Istituzione, attraverso l’attivazione delle collaborazioni e la valorizzazione delle risorse del territorio.
Possiamo quindi ritrovare nelle Indicazioni del 2012 una descrizione definita e normativamente coerente, che mette in relazione la figura e il ruolo del dirigente con le funzioni attribuite alla scuola a seguito dell’autonomia scolastica e quindi con l’idea fondante di scuola come comunità professionale.
L’autonomia è il contesto imprescindibile che fornisce l’orizzonte di senso per la creazione di una reale comunità professionale e l’esplicazione del ruolo del dirigente scolastico. Anche se a volte si è semplificato il rapporto tra dirigente e comunità professionale come se fosse necessariamente un rapporto di contrapposizione, secondo quella logica binaria di cui oggi purtroppo vediamo i nefasti effetti anche a livello planetario, bisogna riconoscere che, così come l’autonomia scolastica non si contrappone ad un lavoro di rete territoriale, poiché le reti non limitano l’autonomia, ma ne favoriscono la piena realizzazione ampliando lo spazio di azione e di confronto delle singole scuole, in modo analogo la figura del dirigente scolastico (che ha sostituito non solo nominalmente quella del preside) ha un senso se la scuola è e si sente una comunità professionale, fondata non semplicemente sullo spontaneismo e sulla buona volontà dei singoli, ma su una organizzazione complessa e articolata, che quindi consente un lavoro di lungo respiro e che si concretizza a partire dalle attività collegiali.
In verità, proprio su questo punto le Indicazioni del 2012 sono apparse un po’ carenti ad Ivana Summa, nel suo contributo al testo “Passa…parole - chiavi di lettura delle indicazioni 2012” pubblicato da Homeless book di Faenza nel 2016. Si tratta di un testo che raccoglie sessanta voci della scuola, tra cui quella di Giancarlo Cerini, e che testimonia quindi come le Indicazioni del 2012 siano state frutto di una riflessione lunga, approfondita e corale, sia prima che dopo la loro stesura. In quel volume Ivana Summa manifesta le proprie perplessità sul fatto che la Comunità professionale non fosse nelle Indicazioni chiaramente collegata con la collegialità e dice che “la collegialità è sottovalutata” mentre si fa riferimento alla libertà di insegnamento e all’attività dei singoli docenti.
Non è questo il luogo per aprire la questione, ma è evidente che l’interpretazione della libertà di insegnamento come espressione collegiale o come semplice espressione dell’attività individuale pone una differenza sostanziale nel concetto di comunità professionale e di conseguenza nella definizione del ruolo del dirigente scolastico.
Se la collegialità non era sufficientemente valorizzata nel 2012, che dire dell’affermazione secondo cui ‘Fare scuola’ oggi richiede, infatti, di rinnovare con convinzione profonda e partecipazione piena il patto di corresponsabilità fra genitori e insegnanti. Grazie a un prezioso dispositivo normativo già esistente – il patto di corresponsabilità - è possibile progettare occasioni di conoscenza reciproca, di incontro e dialogo fra studenti, insegnanti, genitori: ad intra, nella comunità scolastica, e ad extra, nella comunità territoriale. Questo dialogo favorisce la comprensione dei cambiamenti sociali in corso nei rispettivi ruoli e pone le basi per cooperare alla costruzione di una visione educativa comune. Tante sono le esperienze di proficua collaborazione fra insegnanti e genitori nate grazie al patto di corresponsabilità che permette di rafforzare il senso di comunità educante proprio di una scuola in cui ciascuno sa cooperare responsabilmente al bene degli allievi, rendendo positivo il clima scolastico e creando le condizioni per un benessere diffuso.”
Questo il testo di “Scuole e famiglie in un nuovo patto di alleanza” in cui, oltre a fraintendere lo strumento del Patto di corresponsabilità, che non è affatto uno strumento per progettare occasioni di conoscenza reciproca (e non è chiaro quali siano le esperienze a cui si fa riferimento, che sarebbero nate dal Patto di corresponsabilità), si ignora qualunque mediazione tra genitori ed insegnanti, identificando gli insegnanti tout court come “scuola” e immaginando che genitori ed insegnanti possano insieme decidere la “visione educativa comune” dentro e fuori dalla scuola, come se appunto la scuola non fosse composta da una comunità professionale (di cui fanno parte anche altri soggetti oltre agli insegnanti, e nella quale gli insegnanti lavorano collegialmente).
Nel tempo intercorso tra le Indicazioni del 2012 e oggi, le scuole non sono state immobili e hanno coltivato le proprie comunità professionali: pensiamo al lavoro collegiale che è stato fatto per la costruzione e la revisione dei curricoli di istituto; alle attività sulla valutazione e sull'autovalutazione delle scuole a seguito del D.P.R. 80/2013; a tutte le attività volte a costruire seri percorsi di formazione per i docenti neoassunti e per coloro che erano già in servizio, anche a fronte di innovazioni legislative non di rado entrate in vigore con tempistiche quanto meno discutibili, come la valutazione della scuola primaria o i nuovi istituti professionali.
Tutto questo lavoro, spesso a tappe forzate, ha spinto e perfino costretto le scuole a farsi comunità professionali, a confrontarsi e prepararsi e su temi specifici e specialistici, che dovevano concretizzarsi in modalità organizzative e didattiche ben delineate, da tradurre successivamente in termini comprensibili ed accettabili alla più grande e meno specialistica comunità educante, i cui componenti (le famiglie, ma anche altri stakeholder come gli enti locali, le aziende ausl ecc.) non sempre riescono ad entrare nelle logiche che regolano il mondo della scuola.
Da ultimo, anche le azioni del PNRR hanno fatto tesoro del concetto, invitando a costruire “comunità di pratiche professionali”.
Analogamente, dal 2012 ad oggi la figura e il ruolo del dirigente scolastico sono stati approfonditi, discussi, specificati, sia attraverso dibattiti pubblici (pensiamo alle riflessioni che sono fiorite intorno alle modalità di reclutamento, ma anche alle polemiche suscitate dalla L. 107/2015), sia soprattutto in varie sedi istituzionali e professionalmente qualificate: ai tavoli sindacali per i rinnovi dei contratti e la conseguente riflessione sull’equiparazione con le altre dirigenze pubbliche, ma anche nel lavoro di ricerca e di formazione che gli Uffici scolastici, le Università, i Centri studi, le associazioni di categoria hanno messo in campo per una migliore definizione del ruolo, per uno studio sulle criticità (recenti ricerche hanno cominciato ad esempio ad esaminarne lo stress da lavoro correlato) e per l’elaborazione di percorsi di formazione adeguati. Gli studi e la formazione si sono concentrati in particolare sui temi cruciali della leadership e del management e di come questi concetti fondamentali possano e debbano essere declinati anche in termini di leadership diffusa da un lato e di valorizzazione del middle management dall’altro.
Per fare un esempio di cui ho esperienza diretta, il progetto M.I.E.L.E. dell’USR Emilia- Romagna sta proponendo da tre anni un percorso di formazione proprio su questi argomenti, in modalità di ricerca-azione, per i dirigenti della Regione, in collaborazione con DISA (Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna), all’interno della cui cornice il prof. Paletta dedica da anni attività di studio al tema.
Tutto questo fermento poteva creare una legittima aspettativa sul fatto che, in una revisione delle Indicazioni, si sarebbe tenuto conto del cammino fatto sulla definizione delle professionalità nella scuola.
In realtà, per tornare al titolo di questo contributo, tutto si perde nella nebbia. Cosa troviamo nelle Nuove Indicazioni? Come ho detto, partivamo dal paragrafo “Comunità educativa, comunità professionale, cittadinanza”, titolo che nel nuovo testo è sostituito da “Scuola che sa creare culture educative”: la comunità professionale, di fatto, scompare. Il termine viene utilizzato alcune volte, ma senza mai specificarlo e sempre in endiadi con l’aggettivo “educante”: si definisce sempre la scuola “comunità educante e professionale insieme”.
Il breve passo in cui si cita il dirigente scolastico è il seguente:
“Le culture educative fioriscono in scuole che sanno essere, nel contempo, comunità educanti e professionali insieme (di cui sono parte integrante il dirigente scolastico, il personale docente ed educativo, il DSGA e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, gli alunni e le famiglie)”.
La parentesi diventa la nebbia in cui qualunque distinzione di ruoli e compiti si perde, e si perde quindi la comunità professionale insieme alla specificità del ruolo del dirigente. L’immagine di scuola che ne risulta appare come una sorta di villaggio bucolico, dove “la scuola comunità educante” è genericamente definita come organizzazione che apprende, aperta al territorio e capace di tessere reti allargate di rapporti umani e professionali. La scuola (ma chi è “la scuola”) fa ricerca ed è stimolata ad assumere funzioni di leadership o di middle management.
Potremmo chiederci: Chi fa queste cose? Come sono organizzate? Dov’è il ruolo del dirigente e dove quello dell’insegnante e dove va a finire il middle management vero, che da anni chiede di essere valorizzato? Mettere insieme il termine leadership con il termine middle management come se anche in questo caso si trattasse di una specie di endiadi non rende ragione del senso profondo che queste parole assumono nell’organizzazione scolastica.
Il concetto complesso di leadership va declinato: ormai da anni si riflette sulla leadership del dirigente scolastico, ma anche sulla necessità di promuovere una leadership diffusa, così come del fatto che la leadership non si identifica in una persona o in un ruolo e che può assumere differenti connotazioni, alcune delle quali più adatte al contesto scolastico, come la instructional leadership e così via. Non si tratta quindi di uno spontaneismo per cui “la scuola” (e non soggetti meglio definiti) è stimolata ad assumere funzioni di leadership.
Se poi parliamo di middle management, sappiamo bene quale sia il dibattito: attualmente nelle scuole esiste un middle management “di fatto” che ha pochi riconoscimenti sul piano del diritto e che dovrebbe più efficacemente essere trattato anche sotto l’aspetto contrattuale. Anche in questo caso, siamo ben lontani dall’idea che sembra emergere dal quadro descritto sopra, senza contare che sarebbe indispensabile aprire ad una revisione degli organi collegiali, per una loro migliore efficacia professionale nella scuola di oggi, che voglia salvaguardare l’autonomia rendendola adeguata ai tempi che stiamo vivendo.
Ma nel “nostro” villaggio bucolico, andando avanti nella lettura, troviamo il coinvolgimento attivo e partecipato dei membri più anziani che diventano con serena naturalezza tutor e facilitatori degli insegnanti neoassunti. Anziché prevedere una carriera per gli insegnanti, in modo da riconoscere che le competenze professionali dei docenti possono essere valorizzate con preziosi compiti svolti anche anche “fuori dall’aula”, nel ruolo di tutor o meglio ancora di “amico critico”, sembra risolversi tutto in un generico “vogliamoci bene e aiutiamo i più giovani ad imparare” (affermazione che apre anche ad un’altra domanda: dove va a finire il diritto/dovere della formazione in servizio per tutti, che sarebbe proprio di una seria Comunità professionale, se si suppone che solo i più giovani abbiano bisogno di imparare ancora qualcosa?).
Tutto si riduce ad un richiamo valoriale generico: non a caso in un altro passo si esalta la figura del Maestro con la M maiuscola che dovrebbe fungere con il suo carisma (e non con la sua professionalità, che viene quasi data per scontata, come una competenza innata o acquisita una volta per tutte, che non necessita di cura e di mantenimento) da stimolo per gli alunni, e si ignora il fatto che la scuola, soprattutto oggi, è una struttura complessa sia dal punto di vista organizzativo che sotto il profilo educativo-didattico; che ha ormai assunto, per le leggi vigenti e di recente aggiornate, le dimensioni di una media impresa per numero di personale e per gestione amministrativo- contabile (che necessariamente si intreccia con quella didattica) e che si trova ad affrontare sul piano pedagogico sfide sempre più complesse per le quali non basta la buona volontà e il supposto carisma, ma serve una seria preparazione per tutto l’arco della vita lavorativa ed è indispensabile un lavoro collegiale organizzato e professionale, coordinato da un dirigente che sia figura a sua volta professionalmente competente.
Altrimenti pontificare sulla ricostruzione di un’autorevolezza dei docenti e della scuola è solo ideologico e velleitario, perché l’autorevolezza si conquista sul campo, dimostrando alla comunità educante di riferimento che tutti noi siamo capaci di fare professionalmente il nostro lavoro e di svolgere efficacemente il ruolo che ci compete e che anche lo Stato ci riconosce e ci valorizza per questo.
Nel caso del dirigente scolastico, questa nebbia tra l’altro confligge fortemente con il sistema di valutazione che si sta mettendo in campo, che prevede proprio che si tenga conto “degli autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane e dell'organizzazione dell'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative”, quindi un tipo di valutazione a cui sottende l’idea che il dirigente non sia un semplice amministrativo o, peggio ancora, un passacarte del ministero, ma una figura- chiave nella promozione e nella cura dell’autonomia scolastica, di cui la comunità professionale è il cuore.