Pubblichiamo parte dell'introduzione a una tesi di TFA, che - a chi abbia cuore e mente adatti- può far capire quali sono e continueranno ad essere le motivazioni vere per fare questo mestiere...
Vorrei iniziare questa tesi rispondendo alla domanda che mi viene posta da tutti, amici, conoscenti, genitori e fidanzata: ma perché vuoi fare l’insegnante?
A volte me lo chiedo anch’io, durante questo TFA me lo sono chiesto più volte e, nonostante tutto, le risposte sono sempre le stesse di quando avevo diciotto anni ed iniziai a dare le prime ripetizioni di chimica. Ero solo un ragazzo di quinta superiore che aiutava ragazzini più piccoli, spesso anche gratis, ad arrivare almeno al sei in chimica, materia che spesso viene odiata solo perché insegnata da gente che in primis non la ama, e quindi la riporta in modo superficiale, nozionistico e sterile.
Vedere che riuscivo in qualche modo a creare curiosità verso una materia odiata era una soddisfazione troppo grande per me, accendere la luce della curiosità verso una materia che fino ad un’ora prima era vista come inutile ed astrusa era una gioia troppo grande, tanto che spesso alla domanda “quanto ti devo?”, la mia risposta era “niente”, tanto ero appagato da ciò che ero riuscito a fare.
Ma per comprendere cosa mi ha spinto veramente a voler diventare insegnante inevitabilmente guardo al mio passato di studente, ai professori che ho avuto, a che cosa mi hanno dato e che cosa mi è mancato da parte loro.
Devo dire che fin dalla scuola primaria sono stato fortunato sotto questo punto di vista. Dalle elementari, passando alle medie e finendo alle superiori ho sempre avuto ottimi insegnanti (salvo alcuni casi che rientrano nella statistica), soprattutto delle materie scientifiche. I migliori, quelli che almeno io reputavo tali, si sono distinti per la passione con la quale vivevano il loro lavoro. Oggi io mi rivedo in loro, hanno, infatti, studiato come me cose che amavano, che li appassionavano e quello stesso amore lo trasmettevano a noi studenti, senza pretendere di plasmare delle creature a propria immagine e somiglianza, ma solo per il gusto di assaporare ancora e ancora quelle conoscenze. E sono convinto che da quella passione venisse fuori un modo di insegnare, che è il miglior modo di farlo, perché noi studenti li percepivamo non come estranei e sterili “professori”, ma come persone appassionate e curiose di cui potersi fidare a tal punto che, se uno di loro mi avesse detto che gli asini volano, forse ci avrei anche creduto!
Purtroppo, come dicevo prima, accanto alla figura di questi “aurei personaggi”, si aggiravano di tanto in tanto anche delle figure mistiche di “orator habilis”, insegnanti che entravano in classe per sommergerci coi loro discorsi astrusi, spesso campati in aria, e misuravano la loro bravura in base a quante più nozioni riuscivano ad infilare in un’ora. Analizzando bene queste figure e col senno di poi, anche loro sono stati utili nel mio percorso, infatti mi hanno fatto capire cosa non volevo diventare: non volevo essere come loro.
Non voglio infatti diventare un mitragliatore di nozioni campate in aria, che vede gli studenti come oggetti auditori e non come persone, che appena finita la sua ora scompare nel limbo della scuola, ma vorrei essere per i ragazzi una “guida”, un “modello” ed un “punto di riferimento” durante il loro percorso nella scuola, cosi come molti dei miei insegnanti lo sono stati un tempo per me. I migliori, o meglio quelli che ricordo in maniera più positiva ancora oggi, non erano solo insegnanti di chimica organica, fisica o analitica, ma erano i pochi punti fermi della mia vita di adolescente, degli esempi come adulti, pronti a raccogliere sogni, speranze ed energie, e dimenticare che a quell’età ognuno di noi si è trovato in conflitto con tutti, amici, fidanzate e soprattutto genitori, bombardato dagli ormoni, in quel caos dove tutti ci siamo trovati, dove non siamo più bambini, ma nemmeno ancora uomini.
Questo è l’insegnante che vorrei essere, certo è un lavoro duro ed impegnativo, certamente non adatto a tutti, ma se nel mio piccolo avrò contribuito ad aiutare i ragazzi nello sviluppo di sé, a comprenderne i talenti e le inclinazioni, io sarò contento. Il nostro compito, è tirare fuori il diamante grezzo che è dentro ognuno di loro, perché ognuno di noi ne ha uno dentro, solo che a volte è ricoperto da uno strato di roccia cosi spesso, che tirarlo fuori costa molto lavoro da parte del ragazzo ma soprattutto da parte della famiglia e della scuola, ed arrendersi è più facile che scavare per trovare il buono o il bello quando è nascosto .
Non so se riuscirò mai a diventare quel modello d’insegnante, così come non so nemmeno se mi sarà mai data l’occasione di esserlo, ma non voglio perdere la speranza, ancora, e voglio continuare a crederci, come ho fatto in questi anni, dove i dubbi erano più delle certezze, dove le SSIS erano appena state cancellate. L’ammissione a questo TFA rappresenta una boccata di ossigeno per questo mio sogno, sperando che ne rappresenti solo l’inizio e non la fine. Credo che fare questo mestiere sia una guerra continua, ma questo non deve toglierci la voglia e l’entusiasmo di fare il lavoro più bello del mondo.