“... occorre non smarrire la distinzione tra modernizzazione tecnologica e modernità culturale: ... La modernità culturale rinvia all’orizzonte dell’emancipazione umana, alla crescita culturale e intellettuale di tutti i giovani come presupposto della loro autonomia di pensiero; si tratta dell’orizzonte verso cui deve tendere la scuola della Costituzione. Tale orizzonte non è automaticamente garantito dalla modernizzazione tecnologica, che riguarda l’innovazione dei mezzi di comunicazione e non il senso del loro uso.” (M. Baldacci «Pedagogia più didattica» ottobre 2020)
Ogni rivoluzione intellettuale influenza il modo di pensare degli esseri umani. Nei nostri giorni la rivoluzione digitale sta manifestando i suoi effetti ma non è affatto semplice, per la velocità e la pervasività con cui è penetrata nella vita quotidiana, capire cosa stia accadendo nelle nostre menti e, soprattutto, in quelle delle nuove generazioni.
Per quanto detto, per chi opera nella scuola si rende necessaria una particolare attenzione per cercare di comprendere come stia cambiando l’approccio alla conoscenza degli studenti di oggi. Chi opera quotidianamente nella scuola ha la possibilità di tentare di dare senso alla parola “innovazione” quando essa si riferisce alle finalità della scuola: non si tratta infatti semplicemente di sostituire un vecchio device con uno nuovo, ma di considerare limiti e possibilità delle nuove abitudini cognitive che l’accesso al digitale promuove in bambini e ragazzi. Il problema di fondo scaturisce dal fatto che gli aspetti intellettuali della rivoluzione digitale non sono certamente presi in considerazione da chi promuove una visione della scuola sottomessa all’ideologia neoliberista la cui visione non è rivolta ad una qualità della conoscenza in grado di fornire gli strumenti per saper leggere il mondo ed acquisire un pensiero critico.
Il rischio che l’innovazione legata alla così detta didattica digitale riveli aspetti non positivi è da ricercarsi anche nelle carenze di una adeguata formazione degli insegnanti che possa consentire di affrontare la complessità delle sfide del presente.
In assenza di una solida preparazione psicopedagogica e spesso anche di una scarsa conoscenza degli strumenti stessi è difficile che si riesca ad attivare percorsi didattici veramente efficaci. Si rischia pertanto di non essere in grado di individuare le reali potenzialità delle tecnologie digitali limitandosi ad un loro utilizzo ripetitivo e banale che in sostanza si rivela negativo.
Riportiamo, a tal proposito, quanto affermato da Mitchel Resnick e Natalie Rusk, promotori della introduzione dei linguaggi informatici nelle scuole, in un articolo del 2020: "Quando abbiamo iniziato a sviluppare il linguaggio di programmazione di Scratch e la sua comunità online nel 2002, il nostro scopo non era solamente quello di insegnare ai ragazzi a programmare. Avevamo una missione educativa molto più ampia. Volevamo che ogni bambino, a prescindere dal proprio background, avesse l’opportunità di imparare a pensare in modo creativo, a ragionare in modo sistematico, a lavorare in modo collaborativo. … In molti ambienti il coding viene proposto in un modo che ne mina il potenziale e la promessa. Se non riflettiamo seriamente sulle strategie educative e le scelte pedagogiche associate all’introduzione del coding, corriamo un fortissimo rischio di subirne un contraccolpo."
Si evidenzia in tali affermazioni la storica assenza di adeguati percorsi formativi, sia in ingresso che in servizio, della professionalità docente per cui accade, troppo spesso, che l’unica strada disponibile al docente sia rappresentata dal riproporre il tipo di insegnamento conosciuto quando si era studenti. Non avere un profilo definito della professionalità docente, che invece è delineata da studi e ricerche scientifici ormai consolidati da oltre un secolo, rivela tutta la sua problematicità nella complessità del presente. Solo un esempio: il tanto declamato "debate" è una declinazione limitata e rigida dell’approccio didattico di ben più ampie possibilità basato sulla "discussione in classe", derivante dall’assunto teorico della costruzione sociale della conoscenza. La didattica cooperativa, fondamentale per il costrutto teorico citato, ha una delle sue più ricche espressioni proprio in una didattica che utilizza la discussione. Tale didattica è praticata da tempo da alcuni docenti, soprattutto nella primaria, ma non si è mai diffusa veramente nella scuola perché non conosciuta nei suoi fondamenti teorici né sperimentata in classe anche se riconosciuta come metodo di eccellenza nella didattica. Questo tipo di didattica richiede una solida preparazione professionale in quanto necessita di una specifica fase di ideazione e progettazione che consenta di individuarne le forme più adatte oltre che al livello scolastico, soprattutto alla disciplina insegnata ed al particolare contenuto di essa individuato come oggetto dell’apprendimento. Tra i tanti aspetti positivi di tale didattica ricordiamo soltanto la possibilità, per gli insegnanti, di veder manifestarsi, attraverso la verbalizzazione e l’azione nel collettivo, la realtà cognitiva e affettiva dei propri studenti. Questo aspetto si rivela di fondamentale importanza per comprendere il modo di pensare e di apprendere degli studenti e favorisce la realizzazione della didattica necessaria in ogni particolare contesto scolastico.
Attività didattiche fortemente impostate su tecniche rigidamente prefissate possono avere, in particolari situazioni, una loro efficacia, ma sarebbe un grave errore non dare sempre priorità, nella prassi didattica, all’attenzione alla realtà mentale del singolo studente e alla specificità del gruppo classe.
Oltre a questo aspetto sono da mettere in risalto altri due temi, ancora più complessi e molto poco presi in considerazione. L’abitudine all’utilizzo delle TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) determina nelle nuove generazioni un approccio alla conoscenza e quindi attitudini cognitive diverse dal passato. Inoltre le nuove tecnologie intellettuali stanno modificando la “forma del sapere”. Le virgolette sono d’obbligo perché parliamo di qualcosa che per noi è talmente nuova che non solo non abbiamo risposte ma è difficile anche formulare le giuste domande necessarie per comprendere cosa stia veramente avvenendo. Sappiamo che è assolutamente necessario cercare di capire i cambiamenti in atto per restituire alla scuola il suo ruolo formativo. Ci sembra che la scuola sia l’ambiente privilegiato, se non l’unico, dove esiste la possibilità di comprendere la portata di questi mutamenti epocali. Chi più degli insegnanti, che incontrano ogni giorno bambini e ragazzi, può essere in grado di riflettere su una conoscenza che cambia forma proprio osservando come essi si approcciano ad essa?
In relazione a tali discussioni sappiamo che un tema di primaria importanza è rappresentato dal poter mettere a confronto un sapere al quale si accedeva tradizionalmente attraverso la verbalizzazione scritta o orale con un sapere che passa attraverso media visuali [1].
Semplicistico ma sicuramente significativo parlare di “sapere-libro” e “sapere-schermo”. Tali considerazioni ci portano ad evidenziare che è fondamentale che gli insegnanti attivino una ricerca per comprendere la possibilità formativa delle espressioni dei testi visuali e non solo di quelli letterari. Tale ricerca potrebbe avviarsi realizzando nella didattica spazi di libertà creativa riservati agli studenti [2] opportunamente ideati secondo la specificità del livello scolastico e della disciplina insegnata, che offrano agli studenti l’occasione di lavorare in autonomia. Pensando ad attività di gruppo nelle quali bambini e ragazzi possano esprimere le loro attitudini cognitive può accadere che alcuni di essi si rivolgano a linguaggi e rappresentazioni legati al testo scritto o orale ed altri preferiscano utilizzare linguaggi e rappresentazioni legati al visuale. Tali attività potrebbero, in tal modo, mettere in evidenza quali aspetti importanti nei processi formativi vengono valorizzati o, viceversa, trascurati nelle differenti modalità utilizzate. Si realizza così una occasione che può offrire preziose indicazioni sulle potenzialità dei nuovi linguaggi visuali ma che anche può far emergere la fondamentale e specifica importanza del linguaggio verbale per il raggiungimento di una conoscenza che contribuisca alla crescita umana dell’individuo. Tali riflessioni possono condurre alla valorizzazione dei metodi e dei contenuti di maggiore efficacia di ciascuna disciplina rispetto alle necessità formative del presente. Si pensi a tal proposito alla discussione in atto sulle influenze nella didattica di tutto l’ambito della Intelligenza Artificiale rispetto alla quale quanto detto può offrire un valido contributo.
[1] I media visuali sono in realtà media misti. W.J.T. Mitchell “Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale” Raffaello Cortina Editore 2017 Milano
[2] R. Maragliano “Zona franca” Armando Editore 2019