Sono uscite le Nuove Indicazioni 2025, ma si fa fatica a trovarci qualcosa di nuovo. Sono l’ennesimo strumento che il governo intende usare per convincerci che il sol dell’avvenire è alle nostre spalle e adesso ci attende una notte buia e tempestosa. Non ci resta allora che voltarci indietro e affidarci alla potenza consolatoria del nostro sfolgorante passato, d'altra parte tutti sanno che siamo “un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”. Solo che questi uomini e donne che sono il nostro orgoglio non avrebbero fatto niente di mirabolante se si fossero accartocciati sul passato invece di avere negli occhi e nella testa il futuro.
E proprio ad un passato consolatorio si vuol tornare, un passato vecchio stile, dove ritrovare il rigore del pensiero e la vera cultura e raccontando un Occidente (con la “o” sempre rigorosamente maiuscola) che sarebbe il culmine della storia. Tesi sostenuta citando Gramsci, ma omettendo di citare gli studi post-coloniali da lui tanto amati che falsificavano questa tesi semplicistica e attribuendo alla storia di Atene, Rome e Gerusalemme la nascita del concetto di libertà, ancora dimenticando gli schiavi dell’Impero romano.
Sarà importante entrare nello specifico delle Indicazioni che in realtà sono anche chiare prescrizioni, discutibili e sicuramente indebite, ma a mio parere lo è altrettanto collocarle in un quadro più generale, di tipo politico, entro il quale risulta paradossale parlare del valore della libertà quando si ha in mente non una scuola delle discipline ma del disciplinamento. Si vogliono colpire i giovani che protestano anche in forme non violente, che partecipano ad autogestioni; il voto di condotta farà media con gli apprendimenti e può impedire lo scrutinio finale e peserà sull'esame di maturità.
Si vuole etichettare una generazione come pericolosa e violenta, colpendola anche con nuove norme del codice penale: col decreto Caivano crescono 14 nuovi reati e 20 nuove circostanze aggravanti con la conseguenza che oggi è prevista la detenzione negli istituti penali minorili per reati che un tempo erano gestiti con il provvedimento di “Messa alla prova” con la frequenza obbligatoria delle scuole, orgoglio nel mondo della normativa giudiziale italiana per i minori. Oggi il 68,5% dei minori negli IPM è detenuto in attesa di giudizio.
La paura è un’arma molto efficace per governare e trovare consenso, lo dimostra il dilagare di questa narrazione falsa di una delinquenza minorile in crescita esponenziale, come se le baby gang fossero un problema nazionale, mentre i dati pubblicati da Antigone [1] ci dicono che i giovani appartenenti a gang in carico alla giustizia minorile nel 2021 erano 186 su un totale di oltre 13.500. Eppure la ricerca del Ministero dell’ottobre 2022 ha rivelato che gli articoli sulle gang giovanili sulla stampa italiana nel 2017 erano 612 mentre nel 2022 sono diventati 1.909.
Serve fomentare l’allarme per giustificare un'urgenza che non esiste ma è necessaria per trasformare il disegno di legge “Sicurezza” in decreto. La logica repressiva coinvolge anche l’Università, visto che l’art. 31 del DdL “Sicurezza” prevedeva l’obbligatorietà della “collaborazione con i servizi segreti e permette alle agenzie di intelligence italiane (Dis, Aise e Aisi) di stipulare anche con le università e gli enti di ricerca «convenzioni» che prevedano l’accesso ai dati personali ancorché protetti da accordi di riservatezza”. Una prescrizione palesemente anticostituzionale, tanto che nel recente decreto è stata trasformata in scelta facoltativa delle università, ma che non mette in discussione il chiaro intento di un controllo totale.
L’adolescenza fa paura, e fa paura l’istruzione perché vuol dare strumenti di cittadinanza a ragazze e ragazzi che sono vissuti come fossero stranieri che avanzano pretese. Pericolosi perché ci chiedono di lasciare loro un pianeta abitabile e un futuro per ciascuno che valga la pena di essere costruito. Sono stranieri interni, come li ha definiti Georg Simmel, che non possiamo fermare alle frontiere o rispedire a casa, semplicemente perché la loro casa è qui, ed ecco allora crescere il desiderio del loro controllo e normalizzazione.
Ma la destra fa la sua politica, e come ha scritto Zygmunt Bauman, “Una volta privata del potere di modellare il futuro, la politica tende a trasferirsi nello spazio della memoria collettiva: uno spazio infinitamente più manipolabile e gestibile” [2]. Non c’è nulla di meglio, allora, che tornare a un mondo “di ricordo”. Bauman la chiama la “politica della memoria” che eleva la tradizione a guida culturale e spirituale.
E in effetti, se qualcuno aggiungesse al testo delle Indicazioni 2025 per la Storia un paragrafo con il suggerimento di trattare “gli eroi della storia d’Italia, dal 1848 ai giorni nostri; lettura di proclami, lettere e ricordi di condottieri e di maturi, figure più rappresentative della storia romana, dalla fondazione di Roma alla caduta dell’Impero; letture e visioni dei ricordi e monumenti di Roma. Guerrieri, Santi, scienziati e artisti italiani nel medioevo e nell’inizio dell’età moderna; grandi scoperte scientifiche di italiani, figure eminenti della storia italiana nel periodo delle dominazioni straniere, storia del Risorgimento, della Grande Guerra..” nessuno avrebbe granché da stupirsi. Ma questo era il programma per la scuola elementare del 1934, tant’è vero che finiva col chiedere la trattazione in quinta elementare della “Rivoluzione Fascista”.
La tradizione viene enfatizzata allo scopo di porre l’Occidente al centro e sopra un piedistallo per farne il perno di un'idea di identità superiore e pertanto escludente
Non c’è niente di peggio per la scuola, in particolare per l’infanzia e la primaria dove bambini e bambine sono oggi da subito a contatto con compagni e compagne di origini diverse, in quanto “La fede nella tradizione, la mercificazione della tradizione, la retorica della tradizione fomentano l’inimicizia, soprattutto quando le nostra peculiarità appare a rischio. [...] Infatuati per le nostre tradizioni, ciechi a quelle altrui, non solo sfuggiamo al confronto, ma rinunciamo ai vantaggi che offre” (David Lowenthal) [3].
Sono Indicazioni scritte evidentemente da chi non conosce la realtà della nostra scuola di base, dove nelle classi si fa lezione a partire dalle diversità di ciascuno. Per questo è gravissimo il tema dell’inclusione venga declinato quasi unicamente nella logica dell’assimilazione a una cultura e civiltà ritenute superiori, che è un modo terribile di rimarcare una differenze e una inferiorità, elementi di una sostanziale esclusione.
E non è forse un'esclusione quella che si vuol praticare sugli studenti più fragili, con la proposta del percorso scolastico della filiera tecnologico professionale con un anno di scuola in meno e con meno scuola ogni anno, con la lusinga di un lavoro “sicuro” alla loro uscita? Non ha il sapore di una promessa di esclusione il latino facoltativo dai 12 anni, con classi che separeranno chi è destinato ai liceo e poi all'università da chi invece deve mirare più in basso?
È una logica che ritorna verso il vecchio motto “a ciascun piede la sua scarpa”. E se qualcuno andrà scalzo pace: potrà sempre essere utile perché, come ha scritto italo Fiorin: “L’ignoranza e’ ottimo terreno di coltura, capace di nutrire ogni forma di populismo e dittatura, così come il controllo dell’educazione e’ ossessivamente perseguito da chi desidera governare sudditi, e non cittadini”. E aggiunge: “Non è allarmismo oggi lanciare l’allarme. La democrazia è in pericolo. Non lo avremmo immaginato, non era nei nostri pensieri, i nostri progetti per il futuro non contemplavano il ritorno al passato, tanto meno in versione peggiorata”[4].
Tra i giovani cresce una rabbia nuova, preoccupante perché li spinge ad atti di violenza senza logica, senza un nemico e un obiettivo preciso, che non si combatte con la ”certezza delle pene” tanto invocata (che pena si può pensare per un quindicenne che spacca una vetrina senza poi rubare niente?), bensì andando all'origine di quel malessere che, come ha scritto Jock Young, nasce da “un’esclusione carica di lusinghe e da un'inclusione all'insegna della precarietà” [5].
La fuga all'estero dei nostri giovani, e non solo dei “migliori cervelli” - nel 2024 per 1 giovane straniero che è entrato in Italia ne sono usciti 17 italiani - è diretta conseguenza di questa offerta povera e precaria.
Già da queste poche osservazioni si evince che le Indicazioni 2025 non sono un problema solo della scuola: riguardano tutti perché rivelano il ruolo che la destra attribuisce all’istruzione e quindi la sua visione del Paese. Appare evidente che la scuola non è più vista come lo strumento per superare gli ostacoli - come la vuole la Costituzione - ma diventa essa stessa l’ostacolo da superare, differenziando i percorsi in base alle diverse “potenzialità”, rinunciando a cercare per ciascun alunno la strategia adatta al suo apprendimento.
Apprendimento di cosa poi? Del solito mare magnum di nozioni enciclopediche, specialistiche, fuori dalla portata dello sviluppo cognitivo degli allievi del primo ciclo. Questa sarebbe una scuola più ”seria”? No, questa è una scuola che intende “scegliere” gli allievi senza dare loro strumenti per crescere e “scegliersi” il proprio futuro.
È inaccettabile la proposta che emerge dalle Indicazioni di trattare il problema, purtroppo dilagante, della violenza di genere con una “educazione del cuore” e del vogliamoci tutti bene. Considerarla una “triste patologia” è un errore gravissimo perché significa farne un problema individuale invece che culturale e sociale.
Se si entra poi nel merito pedagogico e didattico del testo si resta impressionati dalla massa di dettagli presenti sui contenuti e di “suggerimenti metodologici”, e certo è inevitabile essere travolti da un’infinita tristezza nel merito degli esempi proposti (Muzio Scevola, la piccola vedetta lombarda..) , ma questi sono assolutamente marginali rispetto al fatto che non dovevano esserci, né dettagli, né esempi, pena il ritorno a una misera “pedagogia di stato” che confligge con l’autonomia scolastica e la libertà di insegnamento che sono legge dello Stato.
Dal testo si evince che lo scopo della scuola sarebbe lo sviluppo dei talenti, delle diverse potenzialità con una visione deterministica che le colloca dentro ciascuno già dalla nascita, tornando a un innatismo fuori dal tempo. Non è così, e il pericolo per la scuola di questa visione lo esprimono con grande chiarezza Pietro Di Martino e Roberto Natalini (rispettivamente Professore di Didattica della Matematica, Università di Pisa e Direttore Istituto per le Applicazioni del Calcolo-Cnr) nel loro commenti sulle Indicazioni per la disciplina della Matematica:
“[...] La Matematica è un prodotto culturale e come tale il pensiero matematico può essere sviluppato solo attraverso un percorso formativo intenzionalmente strutturato. Sostenere l’esistenza di capacità matematiche innate, del cosiddetto «pallino per la matematica», di possibilità di «acquisizione in modo spontaneo» di concetti astratti alla scuola dell’infanzia, veicola un’idea di Matematica, stereotipata, che la ricerca didattica ha mostrato essere molto diffusa anche tra studenti e insegnanti. Tale visione della Matematica può influenzare in maniera pesante il processo di insegnamento-apprendimento, portando alla rinuncia a investire risorse nelle difficoltà, sia da parte dello studente che è convinto di non essere portato, sia da parte dell’insegnante che si convince che con quello studente non ci sia niente da fare.” [6]
Le potenzialità sono il magazzino di energia potenziale di ciascuno e la fisica ci insegna che quella energia dipende dal sistema in cui un corpo è immerso. La scuola senza dubbio è il miglior sistema che abbiamo per farla crescere.
Estremamente significativo, e negativo, è il passaggio operato dal titolo “Cultura, scuola, persona” delle Indicazioni nazionali precedenti, a “Persona, scuola, famiglia”, emblematico di una lettura falsata della Costituzione allo scopo di sostenere una tesi individualista che nella Costituzione non ha nessuna legittimazione. Credere che sia definibile una persona tagliando i fili che la legano al suo ambiente sociale è credere che esista l’applauso di una mano sola.
Abbiamo bisogno, invece, di una scuola che non escluda nessuno, coltivi le aspirazioni di ciascuno, faccia recuperare fiducia offrendo un orizzonte verso cui alzare lo sguardo.
Ma per prima cosa agli insegnanti serviranno indicazioni per il Dis-uso delle Indicazioni 2025.