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11/06/2025

Te lo buco, quel pallone!

di Lorella Camporesi

piccola riflessione sul divieto di utilizzo dei cellulari a scuola

 

Negli anni Settanta del secolo scorso, quando ero una bambina, la strada davanti a casa rappresentava ancora un possibile luogo di giochi e spesso nel pomeriggio si scendeva con la palla. C’era però quasi sempre un anziano vicino, infastidito dai nostri schiamazzi che gli impedivano il pisolino postprandiale, pronto a sequestrare il pallone non appena malauguratamente qualcuno lo lanciava per sbaglio nel suo giardino.

“Te lo buco, quel pallone!” divenne una frase quasi iconica, che oggi i nostri figli faticano a comprendere, perché quei tempi di gioco libero in strada sono ormai tramontati.

Ma prima di lasciare nell’album dei ricordi questa foto in bianco e nero, proviamo a chiederci quale fosse l’intento dell’anziano vicino: forse punire i bambini che lo disturbavano; forse anche placare l’invidia che gli nasceva dalla consapevolezza di non avere più l’età per scendere anche lui a giocare; certamente possiamo scartare l’ipotesi che il suo intento fosse quello di avviare quei ragazzi ad una brillante carriera calcistica.

Oggi leggiamo che, a causa dei gravi danni che un uso eccessivo del cellulare porta ai nostri studenti, si decide di impedirne l’utilizzo, anche didattico, a scuola. Il divieto è già in vigore nelle scuole del primo ciclo e ci si appresta ad estenderlo al secondo ciclo.
Secondo l’Istituto Superiore della Sanità, l’uso eccessivo dello smartphone ha effetti evidenti sulla salute e sulla capacità di relazione dei nostri giovani e i sintomi sarebbero piuttosto facili da leggere: repentino peggioramento del rendimento scolastico, difficoltà nel dormire la notte, cambio di abitudini alimentari, perdita di piacere per le attività che prima ne davano e chi più ne ha, più ne metta.
Tuttavia, come ci insegna Dana Boyd già nel 2014 nel suo libro “It’s complicated”: “Buona parte delle paure e delle ansie che circondano l’uso dei social media da parte dei giovani nasce da equivoci o da speranze infrante” e “troppo spesso è più facile concentrarsi sulla tecnologia piuttosto che sulle questioni di un sistema più ampio, perché i cambiamenti tecnici sono più facili da vedere”.

Mattia Furlani, diciannovenne bronzo olimpico a Parigi 2024 nel salto in lungo, ha dichiarato: “La mia generazione è devastata dalla noia” (non dal cellulare!) e la “Cumbia della noia” di Angelina Mango ha vinto il festival di Sanremo nello stesso anno.

La domanda di fondo potrebbe essere quindi se il cellulare sia causa o conseguenza dei cambiamenti generazionali che tanto ci preoccupano e se non stiamo guardando il dito, anziché la luna, soltanto perché è un dito particolarmente vistoso.
Ma anche se assumiamo come dato di fatto che il cellulare sia uno strumento potenzialmente pericolosissimo e che stia trascinando i nostri giovani nel baratro, non possiamo tuttavia negare due evidenze: la prima è che tale strumento è ormai diventato praticamente indispensabile nella vita quotidiana (per consentire ai genitori di rintracciare i figli, per scambiarsi messaggi veloci all’interno di un ritmo di vita sempre più incalzante e così via), la seconda che nella vita di moltissimi adulti è di fatto uno strumento di lavoro.

Possiamo chiederci quindi se impedire l’uso del cellulare nell’unico luogo istituzionalmente deputato all’istruzione, in cui si può davvero sviluppare un curricolo digitale per lo studio delle tecnologie e con le tecnologie (smartphone compreso!), sia davvero la soluzione o se non abbia ragione la premier Giorgia Meloni, quando ammette che “la verità è che non siamo attrezzati per le sfide che ci propongono i figli digitali”. E qui corre l’obbligo di citare ancora una volta Dana Boyd: “Perché gli adulti sentano le voci dei giovani, devono abbandonare la nostalgia e le proprie paure, cosa non facile”.

Che le famiglie non siano, nella stragrande maggioranza dei casi, attrezzate per insegnare un uso corretto del cellulare ai propri figli (dal momento che tale compito viene sottratto alla scuola) appare evidente:qualunque docente a cui si domandi quale sia il principale problema nell’utilizzo dello smartphone, al primo posto metterà senza dubbio la chat delle mamme.

Alle due evidenze precedenti, si può aggiungere un interrogativo: considerato l’evolversi vorticoso delle tecnologie, che ha di fatto annullato le differenze tra smartphone, tablet, smartwatch e altri strumenti analoghi, il divieto dei cellulari è nella pratica quotidiana realmente praticabile o rischia piuttosto di avere l’effetto di una “grida” di manzoniana memoria, suscitando soltanto il risultato di rendere evidente l’impotenza e la perdita di autorevolezza del mondo adulto e di aumentarne la lontananza dall’universo giovanile? 
Intanto Carlo Verdelli, in un suo articolo sul Corriere della Sera, ci informa che, mentre in Italia si pensa di vietare il cellulare a scuola, dal 2025 in Cina ci sarà l’obbligo di studiare l’intelligenza artificiale dalla prima elementare.

Verdelli commenta che i cinesi “si attrezzano per diventare i padroni del mondo”. E noi? Continueremo a bucare palloni, mentre qualcun altro si allena per i mondiali?

 

Riferimenti bibliografici

Dana Boyd “It's complicaterd- la vita sociale degli adolescenti sul web” ed. Castelvecchi 2014

Carlo Verdelli “Smartphone-dipendenza, la vera pandemia sociale dei giovani” Corriere della Sera 8/06/2025

 

Parole chiave: adolescenza, digitale

Scrive...

Lorella Camporesi Dirigente scolastica dell'I.I.S.S. "A. Bertola" di Rimini, coordinatrice del gruppo di lavoro per "RiminiInRete". .

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