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30/05/2024

Poveri noi, poveri ragazzi...e povera Caivano

di Andrea Morniroli, Annamaria Palmieri

A ridosso delle elezioni europee, in Campania, la Presidente del Consiglio Meloni inaugura in pompa magna il centro sportivo di Caivano, che fu teatro dell’efferata violenza su due adolescenti e che,  bonificato e ristrutturato con fondi europei, diventa occasione di una rivendicazione di risultati  e anche di uno scambio di battute davvero poco “istituzionali” con il governatore della Regione Campania. Il volto dello Stato arriva così, tra battute e promesse, in una delle numerose zone in difficoltà del nostro Paese, martoriato da povertà, degrado, abusivismo edilizio, illegalismo diffuso.
Il contributo che segue vuole essere un commento a debita distanza dalle emozioni e dalle reazioni immediate e irriflessive che  spesso in Italia  accompagnano eventi tragici e generano  interventi  legislativi ad horas, spesso ben lontani dall’essere risolutivi delle cause che hanno determinato gli eventi stessi.

Nell’analizzare l’efficacia del DL n. 123 del 15 settembre 2023 (“Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale), convertito in Legge  n.159 del 13 novembre 2023 e  tristemente noto ai più proprio come Decreto Caivano, partiamo da alcuni dati di fatto, che dovrebbero guidarci nell’interpretare il cambiamento (o presunto tale) che ci viene proposto non solo in questo provvedimento,  ma  in tutti (o quasi tutti) gli interventi legislativi dell’attuale compagine di governo,  in relazione alla cosiddetta emergenza sociale ed educativa (compreso il disegno di legge sulla condotta e la valutazione, di prossima approvazione).

E’ incontrovertibile dato di fatto che il welfare, la lotta alla povertà, l’investimento prioritario su scuola e salute pubblica e universale sono le uniche chiavi per tornare a costruire  nei territori un’alternativa al disagio e per dire con forza che il benessere sociale ed economico o è di tutti o non è. Sono l’unica via per tornare a parlare con quel popolo diffuso e impoverito che trova insopportabile la propria condizione di fragilità anche perché non si sente riconosciuto dalla politica e dai “centri”, scegliendo semmai proprio per questo di non andare a votare o di votare per chi propone modelli autoritari e corporativi. In una sorta di paradosso in cui gli esclusi hanno finito o rischiano di finire per  votare chi, al di là degli slogan,  nel concreto alimenta la loro marginalità.

Ancora, è un dato di fatto che negli ultimi anni solo contesti solidali e cooperativi,  sommati a investimenti sulle capacità delle persone, sono stati in grado di riattivare desideri, aspettative, progettualità dei  soggetti e  quindi anche economie e  coesione.  L’aumento delle disuguaglianze, l’aumento delle povertà, il progressivo disinvestimento sul welfare pubblico e la precarizzazione del lavoro finiscono per alimentare una “povertà-trappola” e divari così profondi (di classe, territoriali, di genere e generazionali) da impedire qualsiasi ipotesi di sviluppo ispirato a criteri di giustizia sociale e ambientale.

Terzo dato di fatto da cui  purtroppo non possiamo prescindere è  la deriva culturale di una società che sembra aver perso ogni ritegno, non solo sul piano linguistico, sempre più frammentata e ignorante, in cui la violenza e l’abuso del forte – o presunto tale – verso chi è più debole è tornato a essere accettato.  

In tale deriva, come dimostra l’assurdo aumento dei femminicidi e più in generale delle violenze e degli abusi dei maschi sulle donne o dei presunti “normali”  sui diversi, la qualità delle relazioni tra i generi  e tra le persone subisce un pesante arretramento: da un lato, ad esempio,  i divari tra uomini e donne - nel lavoro, nella retribuzione, nei ruoli, nelle narrazioni – non solo vengono accettati ma anche giustificati, d’altro lato  sembra venir meno  ogni ipocrisia con un drammatico ritorno a stereotipi, narrazioni e comportamenti mai realmente abbandonati ma semplicemente riposti in angoli bui della testa di molti, in attesa di “tempi migliori”. E il caso Vannacci è un exemplum eclatante di questa deriva.
Le derive culturali, è noto, esplodono con più violenza nei luoghi, come il Parco Verde di Caivano, dove la povertà economica e il degrado urbano, culturale e sociale si sommano alla cronica assenza di servizi e presidi sociali. Contesti in cui a essere assente o inadeguato è lo Stato, spesso incapace di andare oltre politiche emergenziali già depotenziate in partenza per la mancanza di una programmazione e di un coraggio istituzionale in grado di renderle ordinarie e strutturate dentro al sistema di protezione sociale. Oggi si inaugura  a Caivano un centro sportivo: ma quali politiche di accompagnamento e di welfare  si intendono realizzare al di là degli spot?

Questo governo si è dichiarato sin da subito pronto ad usare la forza: il Decreto Caivano, in vigore come legge dello Stato dallo scorso novembre, interviene, in un’ottica demagogicamente  repressiva,  duramente sui minori: estende la figura del DASPO urbano ai maggiori di 14 anni (allontanamento che va notificato ai genitori), dispone anche per i minorenni  l’intervento tramite l’avviso orale del Questore, che potrà proporre anche il divieto di utilizzo di cellulari,   interviene sul Codice Penale in termini di sanzioni (senza però modificare le procedure di controllo) previste a carico del soggetto responsabile dell’adempimento dell’obbligo scolastico.

Intratteniamoci in particolare su questo ultimo aspetto, che riguarda le Istituzioni scolastiche: il reato di inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori, precedentemente previsto come contravvenzione dall’art. 731 del Codice penale, è ora inserito nel nuovo art. 570-ter c.p., quale delitto contro l’assistenza familiare.

Va chiarito che il regime sanzionatorio, introdotto con l’art.570-ter del c.p., prevede due distinte violazioni:

  1. “Il responsabile dell’adempimento dell’obbligo scolastico che, ammonito ai sensi dell’articolo 114, comma 4, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, non prova di procurare altrimenti l’istruzione del minore o non giustifica con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, l’assenza del minore dalla scuola, o non ve lo presenta entro una settimana dall’ammonizione, è punito con la reclusione fino a due anni”;
  2. “Il responsabile dell’adempimento dell’obbligo scolastico che, ammonito ai sensi dell’articolo 114, comma 5, secondo periodo, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 per assenze ingiustificate del minore durante il corso dell’anno scolastico tali da costituire elusione dell’obbligo scolastico, non prova di procurare altrimenti l’istruzione del minore o non giustifica con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, l’assenza del minore dalla scuola, o non ve lo presenta entro una settimana dall’ammonizione, è punito con la reclusione fino a un anno».[1]

Le due violazioni comportano, inoltre, la perdita del diritto all’Assegno di inclusione per il nucleo familiare per i cui componenti minorenni non sia documentata la regolare frequenza della scuola dell’obbligo.

Sortiranno effetti queste misure così aggressive?  E, soprattutto, è la domanda che tutti ci facciamo per semplice buon senso,  a chi toccherà mettere in campo denunce e arresti, fermo restando  che il sistema delle procedure di controllo è  del tutto immutato?

Si ha l’impressione che la demagogia, attraverso il gesto forte e la voce grossa, abbia definitivamente sostituito la politica nella lettura dei fenomeni sociali.

Diciamocela tutta:  provvedimenti di questa natura nei fatti contraddicono e annullano qualsiasi ragionamento di prevenzione e cura, anzi suppongono che solo il contenimento dei fenomeni tramite la paura possa essere efficace. La minaccia dell’arresto da un lato; la minaccia del  pagamento di sanzioni pecunarie, dall’altro; a breve diventeranno legge anche  le minacce sulla bocciatura per  condotta o sulla perdita del credito scolastico, che ci si prepara a mettere in campo per disciplinare i rapporti tra allievi e l’istituzione scolastica.  Grande fiducia sembra esservi poi (a parole) nei percorsi rieducativi e risocializzanti che peraltro non sono una novità, presenti da tempo nei Regolamenti delle scuole autonome.
Tutte azioni che  vanno nella stessa direzione.
Ma è una direzione a cortissimo raggio, per svariati motivi: agendo per contenere, invece che per prevenire il disagio,  le cause dello stesso restano del tutto intangibili. E i fenomeni si riproducono e ripropongono ugualmente, perché il contenitore del disagio (ce lo dicono i numeri e gli studi socio-economici) si riempie sempre, di nuovo, anno dopo anno, proprio a seguito dell’impoverimento e dell’arretramento sociale e culturale.
E allora dobbiamo raccontarlo con chiarezza, a chi si sente confortato da questa apparente svolta politica del rigore e da tanto attivismo decisionistico: il decreto Caivano costituisce esso stesso  un vero arretramento culturale, anche rispetto al recente passato. Se guardiamo al tema dell’abbandono scolastico,   tutte le norme di fine Novecento e dei primi anni del Duemila,  riguardanti l'obbligo scolastico e formativo o il diritto-dovere di istruzione e formazione, per quanto insufficienti possano essere state,  erano  sempre orientate anche  alla prevenzione: stanziavano finanziamenti a supporto della gratuità dell'istruzione obbligatoria ,  individuavano le figure responsabili della vigilanza (non solamente i genitori, ma anche comuni, dirigente scolastico, servizi per l'impiego, oltre agli studenti che «concorrono» all'attuazione del diritto-dovere), indicavano la necessità di interventi di prevenzione che coinvolgessero scuole ed enti locali, con piani di intervento per  l’orientamento e azioni formative e di recupero.

Era il 1988 quando il MPI avviava il “Piano nazionale di intervento per la lotta al fenomeno della dispersione scolastica”, attraverso esperienze-pilota per definire un modello di intervento.  Dunque sin dagli anni 90 si intese sviluppare una programmazione di interventi ai vari livelli territoriali garantita da organismi di coordinamento (Osservatori) provinciali e di area, con rappresentanti delle Amministrazioni provinciali e comunali, dei Tribunali dei minori, delle Prefetture, delle ASL, del Privato sociale.
Non diversamente le Linee di indirizzo del MIUR "Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa" (del 2012) ribadivano il valore strategico della corresponsabilità educativa, pur riconoscendone i numerosi aspetti problematici: Le scuole, pertanto, dovranno sfruttare al meglio strumenti e risorse disponibili in modo da consolidare (…) nuove forme di collaborazione con le famiglie e aprire nuove forme di dialogo e di comunicazione basate su uno scambio continuo, interno ed esterno, tali da caratterizzare realmente una comunità educante”.
La scuola dunque non vista come nemica della famiglia, come luogo della sanzione, come costrizione per i genitori e i figli; la scuola al contrario come volano di una relazione, come terreno di consolidamento di alleanze, per quanto difficili. Certo, la frammentarietà delle politiche e dei finanziamenti non ha aiutato a sortire effetti di lungo periodo: molti miliardi sono stati spesi senza esiti evidenti di miglioramento. Ma lo sappiamo:  la prevenzione è una strada lunga, che richiede una grande “manutenzione”,  e  solo gli interventi che si  sviluppino in modo longitudinale e non come “spot” possono spaccare il lago ghiacciato.

Arriviamo all’oggi: anche negli  Orientamenti per l’attuazione degli interventi nelle scuole  del PNRR, Misura 1.4 (destinata al contrasto alla dispersione scolastica), si insiste sull’importanza del  coinvolgimento delle famiglie e del territorio ai fini della costruzione di una comunità educante  coesa, anche tramite patti educativi territoriali, capaci di coinvolgere studentesse e studenti, famiglie e territorio: le scuole dovrebbero  predisporre una progettazione che si caratterizza non come un intervento una tantum e parziale, ma come un’azione di sistema pluriennale, adattata alle specifiche realtà dei diversi territori.

In questo senso le scuole sarebbero chiamate a sviluppare, anche in raccordo con gli altri soggetti del territorio (enti locali, enti di terzo settore, centri per l’impiego), attraverso forme di vera e propria co-progettazione,  una progettualità di ampio respiro per il miglioramento dell’offerta educativa, che tenga conto delle buone pratiche già in campo, evitando sovrapposizioni e curando anche l’integrazione tra risorse e dispositivi già in essere. Questo anche al fine di rafforzare il rapporto tra genitori e insegnanti,  con l’offerta di occasioni di formazione e partecipazione, per prevenire possibili conflitti scuola-casa e favorire ogni sinergia tra gli adulti.
Ecco, tutto questo è nei documenti, ed è  un “dichiarato” interessante, un dichiarato che ci piace: peccato che lo stesso Ministero dell’Istruzione  non sembra crederci. Le scuole per il PNRR restano imbrigliate nella burocrazia farraginosa e insensata attraverso cui questi finanziamenti vengono incanalati, anzi “calati”; e i princìpi di cui si è detto sembrano confliggere profondamente,  nei fondamenti stessi,  con l’agito del Governo in provvedimenti come il Decreto Caivano o quelli prossimi sulla valutazione.

Se agiamo in ottica preventiva, infatti, prima di tutto servono politiche pubbliche in grado di andare oltre la gestione dell’esistente con una programmazione strategica, che, dentro a cornici nazionali di indirizzo, non cali le risorse dall’alto, come un “dono” elargito,  ma attivi tavoli locali, a regia pubblica, in grado di declinare l’uso delle risorse attraverso il coinvolgimento dei diversi attori locali. Perché a Parco Verde, come in tante altre aree simili del nostro Paese, è bene avere chiaro che la rimozione delle disuguaglianze sociali, economiche e culturali è possibile solo riconoscendo e coltivando le energie locali.

Si può partire dal Comune e dalla Scuola. Dal Comune in quanto istituzione più vicina alla comunità e dalla scuola non solo per la sua centralità nella funzione educativa,  ma anche perché in luoghi come il Parco Verde di Caivano la scuola è spesso l’unica istituzione che conserva una relazione positiva con aree di popolazione che normalmente diffidano e sentono distante e nemica ogni altra istituzione o entità pubblica.
E si può partire, ancora, del civismo attivo, del volontariato, delle cooperative sociali, delle parrocchie che anche a Caivano rappresentano una delle poche risorse presenti e accessibili, con testa, pancia e piedi nel territorio. Sono soggetti che spesso fanno in modo straordinario ma che proprio per l’assenza di governo pubblico non riescono mai a passare da sperimentazioni e progetti  a servizi stabili e strutturati in un sistema di protezione sociale.

Insomma quella che manca è uno Stato autorevole, non uno Stato autoritario. Uno Stato in grado di coordinare davvero gli interventi e le diverse risorse economiche messe in campo (a volte tante e disperse), di realizzare un impianto che permetterebbe, per tornare al tema della violenza, di accompagnare l’azione di prevenzione e repressione delle forze dell’ordine con interventi sociali e culturali.  L’inaugurazione di una palestra è un passo, ma a poco serve se manca l’intera strada.  Per cambiare le cose nel percepito delle persone non serve tagliare occasionalmente un nastro e tanto meno servono le manette, o le minacce: deve essere piuttosto arricchita  la rete, devono esser promossi cicli di formazione condivisa tra tutti gli operatori (sociali, sanitari, di pubblica sicurezza, scolastici, comunali) che in modo diretto o indiretto vengono in contatto con il tema della violenza  e che,  se messi nella condizione di condividere approcci e di lavorare insieme, possono giocare un ruolo fondamentale per prevenirla o per aiutare le vittime a sottrarsi da tali situazioni.

Quello che serve, insomma, è l’investimento su un sistema integrato di servizi sociali, culturali, educativi e di contrasto delle povertà e della violenza di genere, sostenuto da politiche pubbliche in grado di andare oltre l’emergenza. Coraggiose nel farsi carico della complessità dei fenomeni e lungimiranti nel pensare al qui e ora, ma allo stesso tempo nell’ immaginare un futuro più vivibile, più giusto, più solidale con chi fa più fatica o è fragile.

Se si prosegue sulla via sin qui prescelta, viceversa, continueremo a sentire come minacciosa persino la povertà: poveri noi, poveri ragazzi e ragazze…e povera Caivano.


Note

[1] La condotta lesiva indicata al punto sub.1), in dispregio al preventivo ammonimento dell’autorità locale competente (il Sindaco), riguarda la fattispecie della dispersione assoluta, nei casi in cui il minore non risulti iscritto a scuola. Diversamente, il delitto indicato al punto sub.2) si riferisce alla fattispecie relativa al minore iscritto che accumuli un numero di assenze tale da eludere l’obbligo scolastico.

Scrivono...

Andrea Morniroli Socio della cooperativa sociale Dedalus di Napoli, è co-coordinatore nazionale del Forum Disuguaglianze Diversità

Annamaria Palmieri Laureata in Lettere, collabora con la cattedra di letteratura italiana dell'Università Orientale di Napoli, già Presidente del Cidi Napoli e successivamente per due legislature Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli; attualmente dirige un istituto professionale a Torino.

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