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07/03/2018

Per un’alternativa all’alternanza scuola-lavoro

di Domenico Chiesa

Il problema è questo: se la scuola è di massa, dovendo scolarizzare tutti si deve porre il problema di un rapporto organico tra formazione scolastica e mercato del lavoro, perché altrimenti sarebbe discriminatoria nei confronti di chi è socialmente più debole, quando esce da scuola e entra nel mercato del lavoro. È uno dei compiti della scuola, anche se ovviamente non l’unico, se vuole essere una scuola democratica. I percorsi di alternanza servono a realizzare una integrazione tra i due mondi, scuola e lavoro. E servono per tutti, non solo per gli istituti tecnici e professionali, dal momento che per la maggior parte delle persone fare l’università serve per entrare in qualche professione, non per continuare a studiare e basta. Se si accettano questi presupposti, dipingere l’alternanza come la penetrazione del capitalismo nella scuola è fuorviante. [1]

Questo commento di un insegnante ci aiuta a ragionare con serenità sull’istituto dell’alternanza scuola-lavoro e a come sia auspicabile (e possibile) il suo superamento. Tratteggia molti dei significati (troppi e contradditori) che l’alternanza scuola-lavoro porta con sé; soprattutto richiama la necessità di fare un passo indietro per dare senso alla riflessione.

Quale scuola?

È un commento non aggressivo, di buon senso, equilibrato, positivo e propositivo. Non si pone a favore dell’alternanza con furore ideologico: c’è un problema irrisolto per la scuola democratica (il rapporto con il mercato del lavoro) e l’alternanza può essere la soluzione.
In realtà è di buon senso, equilibrato, positivo e propositivo solo all’interno di una certa idea di scuola. Un’idea ampiamente diffusa, quasi un luogo comune con cui fuori e dentro la scuola si affrontano e si metabolizzano le novità che i diversi governi hanno fatto cadere sulla scuola in questo inizio secolo.
È una visione della scuola così scontata che nemmeno si sente il bisogno di dichiararla ma che orienta e accomuna le opinioni e i comportamenti: è bene innalzare la scolarizzazione, ma dopo i 14 anni (magari anche prima) è bene che, per non renderla «discriminatoria nei confronti di chi è socialmente più debole, si stabilisca un rapporto organico con il mercato del lavoro» (non con il lavoro e la sua cultura bensì proprio con il mercato del lavoro).

Il gioco è fatto.
Il percorso di istruzione oltre a essere colorato, curvato e dosato sulle esigenze del mercato del lavoro viene integrato con alcune prove di esperienza (quasi) lavorativa.  Rimane incomprensibile come possano essere chiamate alternanza scuola-lavoro. Per i percorsi liceali il rapporto è molto debole e lontano e la scuola può continuare a concentrarsi sulla dimensione culturale dell’umanità degli allievi.  
Per gli istituti tecnici e professionali il rapporto è strettissimo in quanto la scuola stessa dovrebbe garantire (anche) le competenze chiave per entrare nel mercato del lavoro. «È uno dei compiti della scuola, anche se ovviamente non l’unico, se vuole essere una scuola democratica. I percorsi di alternanza servono a realizzare una integrazione tra i due mondi, scuola e lavoro».
Si accentua l’idea delle due scuole puntando a rendere la scuola “generalista” e la scuola “vocazionale” più efficaci nel rapporto con il mercato del lavoro. Si assume il lavoro (in qualsiasi forma) con una valenza formativa pari e alternativa a quella della scuola.

Un’altra scuola

Esiste però anche un’altra idea di scuola.  Quando si parla di scuola si parla di quel tempo di vita che deve rappresentare l’esperienza più importante dell’infanzia e dell’adolescenza per tutti e per ciascuno. Ha un solo compito che riceve dal secondo comma dell’art. 3 della nostra Costituzione: garantire la formazione culturale per il pieno sviluppo della persona umana.
Il compito si chiama istruzione senza aggettivi. La scuola educa istruendo.

Chi è socialmente più debole è il preferito nella scuola, fatta soprattutto per lui. Chi è socialmente più debole non ha bisogno di meno scuola o di una scuola che lo accompagni al più presto al lavoro, ma di una scuola all’altezza dei suoi bisogni formativi e che non prenda scorciatoie.
La scuola attuale non è certo all’altezza del compito e dunque va ricreata e rigenerata, non solo aggiornata. Sembra che la politica scolastica da decenni abbia invece rinunciato al suo cambiamento e punti alla sua riduzione (riduzione di un anno del percorso scolastico) o sostituzione (anticipo della formazione professionale e dell’apprendistato, alternanza scuola–lavoro).

Scuola e lavoro

Scuola e lavoro rappresentano due esperienze centrali e distinte della nostra vita. La scuola ha una funzione insostituibile nel garantire che il lavoro possa essere affrontato con la necessaria padronanza culturale.
L’infanzia e l’adolescenza (fino a sedici anni) rappresentano il “tempo della scuola”, delle competenze culturali di base in grado di sostenere la capacità di apprendere per tutta la vita.

Il periodo appena successivo (tra i sedici e i diciannove anni) costituisce il tempo del “confine”, dell’intreccio tra i sistemi formativi (scuola, formazione professionale, formazione sul lavoro). Integrati ma non confusi, macedonia e non marmellata.
Nella formazione per tutto l’arco della vita, nel “tempo del lavoro”, la scuola deve rimanere un punto di riferimento significativo per l’approfondimento culturale (elemento non marginale anche della riconversione professionale). 

La conoscenza che si costruisce a scuola è chiamata a esplorare gli ambiti fondativi dell’esperienza umana e il lavoro è ovviamente tra questi. La cultura del lavoro deve essere quindi presente nel percorso curricolare dall’infanzia alla secondaria di secondo grado. Lo può essere nei contenuti dello studio, nell’approccio esperienziale al conoscere (laboratorialità come modalità costante di lavoro), nell’assunzione di responsabilità e autonomia personali e collettive, nella pratica di azioni con valenza sociale e di cura (avere problemi da risolvere, obiettivi da raggiungere, risorse limitate da utilizzare…).

In particolare la scuola incontra il lavoro nella dimensione tecnologica che attraversa tutti i saperi e che è alla base di tutte le professioni; in modo specifico nello studio delle tecnologie che caratterizzano molte discipline di indirizzo. 

La tecnologia è la scienza dell’artificiale; è lo studio di come sono fatti, di come funzionano e di come si costruiscono i sistemi artificiali (siano essi oggetti o procedure). È sempre una forma della cultura.
Tutte le tecnologie presuppongono un aspetto operativo non disgiunto da quello teorico e vivono nella dimensione dell’esperienza laboratoriale. L’esperienza laboratoriale per l’uso, lo studio, la progettazione e realizzazione individuale e cooperativa di manufatti e opere d’ingegno rappresenta momenti interni al processo conoscitivo che connota la scuola.

La stessa valenza viene svolta dagli stage: per i ragazzi degli indirizzi delle scienze sociali, rimanere in un asilo nido per una settimana è un’azione di studio non di lavoro; non si alterna la scuola con il lavoro bensì lo studio in aula con lo studio in un ambiente di vita dove il sapere si forma, lo stesso sapere che gli allievi ritroveranno in aula.

In questo modo la scuola, rimanendo semplicemente scuola, può costruire le basi di pre-professionalità essenziali per entrare nel tempo del lavoro; è il risultato di una lunga e sistematica esperienza culturale fortemente intrecciata con il mondo di cui la scuola è parte attiva. Quando si esce dalla scuola che cosa manca per essere padroni del proprio bagaglio di   conoscenze e competenze culturali anche da un punto di vista lavorativo?

Manca la formazione professionale.  

In questi anni (troppi ormai) la formazione professionale è stata svalutata a scuola e sta perdendo la sua finalità: rappresentare il tempo di connessione tra la scuola e il lavoro in grado di accogliere tutti, quando si conclude la scuola (a sedici anni, a diciannove, dopo la laurea…).  

I percorsi di formazione professionale dovrebbero essere costruiti attorno alla finalità di dare forma e contenuti alle competenze culturali in termini di competenze professionali. La formazione professionale ha l’obiettivo di ordinare e organizzare all’interno di un processo lavorativo le conoscenze e le competenze possedute.

È uno specifico che non appartiene all’istruzione: presuppone una conoscenza non approssimativa del mercato del lavoro nella sua evoluzione (in tempo reale) e la capacità di costruire, partendo dal bilancio delle competenze culturali/professionali possedute, profili professionali in grado di corrispondere alle reali esigenze del mondo del lavoro. Fa parte del tempo del lavoro e lo accompagna per tutta la vita lavorativa.

Per formare un “riparatore di lavastoviglie” serve una profonda e ampia preparazione culturale che comprenda anche la dimensione tecnologica (necessariamente costruita con i tempi lunghi dell’istruzione) e una specifica formazione professionale riferita alle tecnologie con cui sono costruite oggi le lavastoviglie, realizzata in un corso altamente qualificato e specializzato.

Ritornare al futuro della scuola

L’istituto dell’alternanza scuola-lavoro non è in grado di affrontare i problemi posti in questa breve riflessione e nemmeno le finalità che la stessa norma le affida (tratte integralmente dal decreto legislativo n.77/2005, art.2 attuativo della Legge 53/2003):

"a) attuare modalità di apprendimento flessibili e equivalenti sotto il profilo culturale ed educativo, rispetto agli esiti dei percorsi del secondo ciclo, che colleghino sistematicamente la formazione in aula con l'esperienza pratica;
b) arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con l'acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro;
c) favorire l'orientamento dei giovani per valorizzarne le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali;
d) realizzare un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e la società civile, che consenta la partecipazione attiva dei soggetti (…);
e) correlare l'offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio."

Sono obiettivi coerenti con la filosofia della riforma promossa dal Ministro Moratti che riducono il rapporto scuola-lavoro al rapporto con il mercato del lavoro e non riconoscono la funzione della formazione professionale da valorizzare come percorso complementare e non come alternativo alla scuola.

Il superamento della scuola trasmissiva e della sua separatezza si gioca sul piano della qualità del fare scuola curricolare partendo dall’uso formativo dei saperi disciplinari:

“Elemento cruciale per l'apprendimento e per la motivazione all'apprendimento è dato dalla qualità delle esperienze che insegnanti e studenti realizzano in relazione alle aree di studio. 
Le 'discipline di studio' vanno pensate come campi di significato che debbono fornire un orizzonte intersoggettivo ma anche acquistare un senso personale e tradursi in operatività, non solo in verifiche scolastiche.” [2]

Servono interventi di politica scolastica che garantiscano le condizioni per costruire situazioni di esperienza culturale significative e responsabilizzanti.
Alcuni strumenti sono già disponibili, basta rigenerarli e rilanciarli: il laboratorio come forma diffusa della didattica, l’area di progetto come elemento curricolare in cui i saperi disciplinari si incontrano per la soluzione di problemi, gli stage come elementi interni al curricolo dei saperi tecnologici.

L’alternanza scuola-lavoro è una proposta allettante perché sembra offrire soluzioni semplici a problemi complessi. Affrontare la complessità con strumenti adeguati prevede un esercizio di pensiero e una ricerca di percorsi praticabili complessi quanto il problema. Ma è l’unica uscita per la scuola.

    

 

Note

1. La citazione è tratta dal commento di Mauro Piras (tra altri e in dialogo con Daniele Lo Vetere e Mauro Parrini) in calce al testo di Francesco Rocchi, "L’alternanza scuola lavoro in Italia e il sistema duale in Germania", nella versione pubblicata il 20.10.2017 in "Le parole e le cose" di "un testo già pubblicato, ma in una versione diversa"  da "I Mille" il 12.07.2017. Su ASL e sitema duale si veda anche C. Palumbo, "Ragioniamo insieme di Alternanza scuola lavoro. parte II", in "insegnare", 28.02.2018.
2. 2. Cfr. Commissione dei saggi, da "Sintesi" a cura del Coordinatore R. Maragliano, in AA.VV.,  Le conoscenze fondamentali per l'apprendimento dei giovani nella scuola italiana dei prossimi decenni, "Annali della Pubblica Istruzione", Le Monnier, giugno 1997, pp. 77-78; reperibile qui.

 

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A lato: corso di formazione professionale tecnico esperto nella gestione di progetti di trasformazione digitale, da Gazzetta di Parma, 26.10.2017

 

Per saperne di più


Con piacere ripubblichiamo, fra i reprint, il documento di D. Chiesa, Per ragionare sui percorsi formativi nell'età dell'adolescenza, Allegato di Insegnare, n.7-8/2004, ed. ciid, Roma.


Scrive...

Domenico Chiesa Insegnante di scuola secondaria di II, è stato Presidente nazionale del Cidi e del Forum Regionale per l’Educazione e la Scuola del Piemonte.

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