Il Documento è composto da 154 dense pagine, veramente molte, ci si stanca presto nel cercare di leggerle tutte e mi chiedo in quant* leggeremo per intero, perché una lettura profonda e significativa, che colga olisticamente la cultura e l’ipotesi gnoseologica che soggiace ai “Materiali per il dibattito”, che possa contribuire a una riflessione e, forse, a un posizionamento, ha bisogno di una visuale complessiva e complessa di tutta la proposta, non riduzionisticamente rinviata, per ogni ambito disciplinare, allo specifico insegnamento.
Ma le tante, troppe pagine mi inducono a saltare a pagina 87, “Istruzione integrata STEM”, e così mi imbatto, tra l’altro, su asserzioni come “è necessario promuovere gli aspetti culturali, che collegano tali competenze (le competenze STEM) alla storia della nostra civiltà e alla realtà in cui viviamo”, e mi chiedo: "nostra" di chi? del genere umano? E inevitabilmente mi sovviene il Sebastião Salgado che ho imparato ad amare nei miei 20 anni, “siamo un solo popolo, forse siamo addirittura un solo uomo” e, per quanto la storia ha poi dato ragione alla spregiudicatezza occidentale, ho sempre pensato che tutta la cultura, che comprende scienza e matematica, fosse in realtà sempre intercultura, espressione di pensieri, sentimenti, visioni e desideri che, serpeggiando, tessono la trama dove rintracciare il senso della civiltà.
E rimango perplessa.
Continuo e noto: “Con il suo rigore logico e la capacità di astrazione, la matematica non è solo uno strumento per risolvere problemi, ma anche una disciplina culturale che aiuta a interpretare la realtà. L’insegnamento della matematica dovrebbe potenziare il pensiero critico e creativo degli studenti, sviluppando la loro intuizione e capacità di modellizzazione. Parallelamente, l'informatica consente di affrontare la complessità della realtà, offrendo strumenti che completano le capacità analitiche e creative degli studenti.” (pag. 87), io certo avrei capovolto l’ordine, nella mia sensibilità la matematica potenzia (senza condizionale) il pensiero critico e, di pensiero critico si alimenta se, come ritengo auspicabile, nell’insegnare/apprendere matematica si risveglia lo scienziato (fisico) ingenuo (Toraldo di Francia, Indagine del Mondo Fisico) che sta in ciascun*, coniugando l’insegnamento/apprendimento con la ricerca. In quanto alla risoluzione dei problemi come strumento sì, la matematica è utile, ma il problem posing and solving non penso sia semplicemente uno strumento, bensì un procedimento di conoscenza per relazionarsi con la realtà, più che interpretarla. E mi viene in mente Albert Einstein, che forse matematico puro non è stato ma… che contributo all’epistemologia della scienza!
“La geometria prende l’avvio da alcuni concetti fondamentali come “piano”, “punto”, “retta”, ai quali siamo in grado di associare delle rappresentazioni più o meno precise, e da alcune proposizioni semplici (assiomi) che, in virtù di queste rappresentazioni siamo inclini ad accettare come “vere”. In base a un procedimento logico di cui ci sentiamo costretti ad ammettere la legittimità, tutte le rimanenti proposizioni vengono poi ricondotte a questi assiomi, cioè esse vengono dimostrate. Una preposizione risulterà quindi corretta (“vera”) quando è stata derivata dagli assiomi nella maniera ammessa come legittima. Il problema della “verità” delle singole proposizioni geometriche viene così ricondotto al problema della “verità” degli assiomi. Orbene, è da tempo noto che a quest’ultimo problema non soltanto non si può dare una risposta con i metodi della geometria, ma che esso è in é assolutamente privo di significato. Non possiamo chiedere se sia vero che per due punti passa una e una sola retta. Possiamo solamente dire che la geometria euclidea tratta di oggetti da essa chiamati “rette”, attribuendo la proprietà a ciascuna di esse di essere univocamente determinata da due suoi punti. Il concetto di “vero” non si addice alle asserzioni della geometria pura, perché con la parola “vero” noi abbiamo in definitiva l’abitudine di designare sempre la corrispondenza con un oggetto “reale”; la geometria, invece, non si occupa della relazione fra i concetti da essa presi in esame e gli oggetti dell’esperienza, ma solo della connessione logica di tali concetti l’uno con l’altro.”
(A. Einstein, Relatività, esposizione divulgativa (1917/1950), da Opere Scelte, Bollati Boringhieri, pagg. 391, 392.).
Il passaggio di Einstein risuona in me di nuovo quando, a pag. 90 del documento leggo: “La Matematica è, inoltre, un linguaggio formale capace di distinguere il vero dal falso. Il Teorema di Pitagora, ad esempio, era vero 2500 anni fa, è vero oggi e lo sarà per l’eternità. Abituare lo studente, e quindi il cittadino di domani, a ragionare e a distinguere fra vero e falso, è senza dubbio una delle competenze più rilevanti e attuali di questa disciplina, in una società come quella di oggi, basata sui social network. dove le notizie giungono senza filtri, se non manipolate.”, e provo un certo disagio perché trovo quest’affermazione non soltanto dissonante con la crisi dei fondamenti che, all’inizio del secolo scorso, ha coinvolto il sapere nella sua interezza e le diverse espressioni culturali, riporto, per esempio, Morris Kleine in “Storia del Pensiero Matematico, Vol. II Dal Settecento a oggi, Biblioteca Einaudi pag. 1209”:
“Era andata in frantumi la bicentenaria convinzione che la matematica fosse la verità sulla natura”,
ma specialmente ritengo che riecheggi un approccio alla matematica assiomatico più che induttivo, rispolverando quegli assiomi “evidenti in sé” che, didatticamente, rendono la matematica poco attraente perché dogmatica, selettiva perché poco intuitiva, lontana dall’esperienza poiché basta muoversi nello spazio e compiere una trasformazione dello spazio in sé perché un triangolo rettangolo diventi ottusangolo scaleno.
Penso inoltre ai tanti esempi di pratica didattica della logica fuzzy che mi racconta un caro amico e collega: Vero? Falso? Tertium datur, o anche più di tre!
Certo, la matematica, la scienza in generale, aiuta ad avere, sulla realtà, uno sguardo inter-soggettivo e, parafrasando Antonio Gramsci aiuta a: "porsi da un punto di vista critico, l’unico fecondo nella ricerca scientifica". Penso che lo sguardo critico, coniugato al metodo scientifico che, naturalmente, storicamente evolve, sia il segreto del successo della scienza da cui partire per una filosofia della sua didattica.
E mentre leggo noto i ripetuti errori:
“Percepire la propria posizione nello spazio e stima distanze e volume a partire dal proprio corpo.” (Pag. 92 del Documento).
“Rilevare eventuali malfunzionamenti in programmi semplici e interviene per correggerli.” (Pag. 93 del Documento).
“Eseguire la divisione con resto fra numeri naturali e individua multipli e sottomultipli di un numero.” (Pag. 93 del Documento).
Inevitabilmente creo un’associazione/confronto con la conclusione della circolare ministeriale con oggetto “Chiarimento circa l’uso del simbolo grafico dell’asterisco (*) o dello schwa (ə) nelle comunicazioni ufficiali delle istituzioni scolastiche” prot. N. 1784 del 21/03/2025, che dispone: “Pertanto, al fine di assicurare correttezza e chiarezza nelle comunicazioni ufficiali, si raccomanda di attenersi alle regole della lingua italiana”.
Che dire!