La tematica che ho scelto di proporre per questo incontro di oggi (11 aprile) ha uno specifico rilievo all’interno dell’analisi critica attorno alle Indicazioni nazionali 2025, rappresentandone uno snodo fondamentale. Un passaggio del testo, nella sezione intitolata “L’organizzazione del curricolo” (pagg. 18/21) afferma testualmente che le I.N. 2025 sono ciò che “in letteratura chiamasi curricolo formale”. Questa sottolineatura configura un netto cambio di paradigma istituzionale rispetto alle precedenti Indicazioni 2012 (successivamente integrate dall’edizione 2018). Quelle, infatti, erano nella stessa titolazione “Indicazioni per il curricolo” e non costituivano esse stesse il curricolo, come qui si afferma in modo inequivocabile. Con ciò, il testo si pone come la fonte giuridica esclusiva per le istituzioni scolastiche chiamate ad elaborare la progettazione curricolare.
Pertanto, la decisiva strategia di contrasto a un’impostazione che investe tutto il documento e che ne fa un modello di pedagogia di stato e in definitiva di una didattica di stato fin nel dettaglio dei contenuti disciplinari e delle metodologie, non può che consistere nel curricolo di istituto.
Vale la pena richiamare, in proposito, i due cardini normativi che trovano un punto di intersezione nella programmazione curricolare: l’autonomia scolastica e la libertà di insegnamento. Entrambi sono di fatto smantellati dall’impianto e dai passaggi essenziali delle I.N. 2025, che presentano da questo punto di vista profili di illegittimità e di incompatibilità politico-culturale con il sistema educativo di istruzione.
Riguardo al primo, stiamo parlando della cornice istituzionale introdotta dalla L. n. 59/1997, comma 21, nel più ampio quadro della riforma amministrativa di cui si occupa la stessa norma. Un principio di governo del sistema che troverà due importanti sviluppi: il regolamento emanato con D.P.R. 275/1999 e la L: Costituzionale n. 3/2001 (riforma del Titolo V) che sancisce il rango costituzionale delle istituzioni scolastiche con quella importante clausola che fa salva l’autonomia delle scuole. Il combinato disposto dei due riferimenti normativi fa sì che le scuole siano a tutti gli effetti attori di politica scolastica nel territorio. Questo è il profilo giuridico che delinea un’accezione corretta dell’autonomia: ben lontana dall’interpretazione “al ribasso” che abbiamo visto non di rado prevalere, per cui essa si è ridotta a un fatto di puro decentramento amministrativo, ad una tecnica organizzativo-gestionale mutuata da concetti di tipo aziendalistico estranei al mondo della scuola.
Riguardo al secondo, la liberà di insegnamento, basti sottolineare che essa ha radici nella stessa Costituzione (art. 33) dove trova sostanza giuridico-culturale negli stessi oggetti che definiscono il suo perimetro: l’arte e la scienza. L’insegnamento, dunque, affonda le radici della sua libertà nel fatto che l’arte e la scienza sono libere. Questo nesso inscindibile, voluto dai Padri costituenti, sottrae alla libertà di insegnamento ogni carattere di accessorio individualistico, che rischierebbe di diventare arbitrio soggettivo e non, come deve essere, esercizio di corresponsabilità.
Altrettanto significativa la declinazione dello stesso principio nel decreto legislativo n. 297/1994 (Testo Unico) all’articolo 1 comma 1, che recita:“ […] ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente.”
Al comma 2, un’altra affermazione di grande rilievo: “L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni.”
Basta la lettura di queste fonti per capire qual è la posta in gioco, quando si parla di “libertà di insegnamento”, quanto sia rischioso un intervento che vada a incidere sui caratteri strutturali del sistema scolastico e della professionalità docente. In particolare, mi piace sottolineare, come anche Gloria Calì in un suo recente intervento all'incontro tenutosi il 2 Aprile a Roma, che la libertà di insegnamento è inscindibilmente connessa alla stessa qualità intrinseca dell’apprendimento per la piena formazione degli alunni. In effetti, insegnamento e apprendimento sono anche da questo punto di vista dimensioni interconnesse di uno stesso processo. Si apprende nel confronto, nella tessitura di un dialogo che è culturale prima ancora che pedagogico: ne consegue che ogni manifestazione di insofferenza per un pensiero diverso, divergente, critico, mina alla radice il percorso conoscitivo e l’approccio al deposito culturale dei saperi, piegando l’insegnamento ad una forma di indottrinamento.
Il profilarsi delle I.N. 2025, per i connotati pedagogico-culturali che assumono sia nella parte generale che nello sviluppo della trama disciplinare, rende quindi più che mai necessario un impegno delle istituzioni scolastiche sul fronte dell’elaborazione del curricolo di istituto, in questa precisa fase. Si tratta, in altri termini, di utilizzare appieno i momenti collegiali destinati alla verifica/riformulazione annuale del Piano dell’Offerta Formativa, di cui il curricolo è parte essenziale, che coincidono con le fasi conclusive dell’anno scolastico. Si richiede oggi alle scuole un impegno che vada al di là della routine, che si sottragga al rischio perdurante di una burocratizzazione delle procedure formali, per valorizzare il Collegio dei docenti nella sua natura di organo tecnico-professionale. Nel Collegio, infatti, confluiscono i lavori dei dipartimenti disciplinari e dei gruppi di progetto che articolano l’organo stesso, per operare la sintesi pedagogico-culturale che dà unitarietà al profilo dell’istituzione scolastica. E’ qui che troviamo il punto di caduta tra la cornice istituzionale dell’autonomia didattica pienamente intesa e l’esercizio corresponsabile della libertà di insegnamento.
E’ utile, a questo proposito, delineare un possibile schema concettuale-operativo per orientare la strutturazione del curricolo di istituto, valido pur nella varietà dei contesti in cui le scuole si trovano ad operare. Il riferimento ineludibile, per le istituzioni scolastiche, è la finalità formativa che viene definita a livello nazionale, assegnata al sistema negli ordinamenti. Nelle Indicazioni Nazionali 2012 (che, lo ricordo, sono tuttora vigenti) essa è tradotta nei traguardi per lo sviluppo delle competenze. La ritroviamo diversamente formulata in questa Bozza delle I.N. nell’espressione “competenze attese”, che ha comunque un riscontro in letteratura. Tuttavia, mi piace ricordare, al riguardo, la particolare sottolineatura dell’ispettore Giancarlo Cerini, tra i più importanti estensori delle Indicazioni 2012: egli ne rimarcava, infatti, la coloritura pedagogica in quanto componeva la terminalità (“traguardi”) con il carattere evolutivo (“sviluppo”). Penso che nella progettazione del curricolo sia significativo che le scuole mantengano questa formulazione, come adesione ad una visione generativa del processo di insegnamento/apprendimento. Il passaggio successivo consiste nella declinazione degli obiettivi di apprendimento, che costituiscono il secondo elemento indicato a livello nazionale per garantire l’unitarietà articolata del sistema di istruzione-educazione. Siamo nel quadro dell’autonomia scolastica, così come definita nel D.P.R. 275/99 (Regolamento) in particolare all’articolo 8: obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze. Osservo che in questo passaggio (dalle finalità agli obiettivi) già si esplica pienamente l’autonomia didattica, che è anche autonomia di ricerca e sviluppo (art. 6 del Regolamento) in quanto presuppone due condizioni: la prima, un’attenta analisi del contesto socioculturale che caratterizza la scuola; la seconda, una puntuale ricerca epistemologica sui fondamenti ed i nuclei essenziali delle discipline, che ne individua gli intrecci e le possibilità di approccio interdisciplinare, evitando la deriva contenutistica e il disciplinarismo.
Il terzo passaggio di questo ideale schema operativo-concettuale consiste nella esplicitazione delle opzioni metodologico-didattiche, in cui trovano espressione la professionalità individuale e la collegialità: ne discendono i percorsi e le attività preordinati al perseguimento degli obiettivi. Qui siamo già nel cuore della programmazione educativo-didattica di cui sono titolari gli insegnanti sia nella dimensione individuale che in quella collegiale del team e del consiglio di classe. Come si vede, siamo oltre l’orizzonte dei “Programmi” strettamente intesi, cui invece sembrano far riferimento le parti dettagliate delle I.N. 2025, a conferma dell’intento regressivo che attraversa l’intera operazione. E’ il caso di ricordare,a questo proposito, che la “scuola dei Programmi” è stata superata già con l’emanazione della L. 517/1977, provvedimento che investe l’intera scuola di Base. La norma infatti ha tra l’altro introdotto il criterio della “programmazione”, che consiste in buona sostanza nella declinazione dei contenuti programmatici commisurati agli specifici contesti socioculturali. Questo fondamentale passaggio pedagogico-culturale è rintracciabile nell’impianto dei cosiddetti “Nuovi Programmi” della Scuola media (D.M. 9 febbraio 1979) e dei Programmi della scuola elementare (D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104): in entrambi i casi, è presente una parte generale, o Premessa, entro cui vanno intese le indicazioni di tipo didattico-disciplinare, che in ogni caso non si riducono ad una mera elencazione di contenuti.
E’ infine da considerare la questione degli elementi prescrittivi delle indicazioni, che interpella le scuole e gli insegnanti: Su questo punto dirimente, va fatto valere un preciso criterio interpretativo delle norme: nelle Indicazioni nazionali sono prescrittivi per le scuole le finalità formative (traguardi di sviluppo delle competenze, nella formulazione del 2012) e gli obiettivi di apprendimento. Dove si radica questa natura prescrittiva, in ultima analisi? Nella loro funzione di garanzia del diritto di apprendimento come diritto universalmente riconosciuto, da assicurare a tutti gli alunni e le alunne. Prescrittivi e vincolanti, dunque, a tutela di in diritto, non in quanto emanazione di un’autorità sovraordinata: è questo l’orizzonte della scuola democratica, secondo Costituzione.