Le relazioni dell'incontro tenutosi l'11 Aprile online, con la partecipazione di tutti i CIDI dell'Emilia Romangna e della rivista insegnare, hanno messo a fuoco i nodi problematici evidenziati dalla lettura delle Nuove Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione 2025. Ne emerge una formulazione in gran parte ambigua, tale da far credere che ci sia l’intenzione di orientare verso un pensiero unico, dai toni prescrittivi e impositivi.Noi siamo convinti che le Indicazioni del 2012 ancora rispondano ai bisogni di una società e di una scuola democratica, tuttavia hanno necessità di manutenzione per gestire la complessità problematica della società di oggi..
La scuola della Costituzione è una scuola che ha come obiettivo quello di essere per sua identità una comunità educante e, come tale, il fine di mettere in comune tutte le risorse professionali, economiche, di comunicazione interna ed esterna, riprogettando il sistema di spazi e di tempi appropriati. Spazi e tempi in cui si segue in modo organico e continuativo la crescita e lo sviluppo delle bambine e dei bambini, la loro formazione integrale, attraverso le varie tappe evolutive, fino alla maturazione di cittadini consapevoli ed autonomi La comunità si fa carico di questo rapporto educativo, in grado di interagire con la società sul piano dell’accoglienza, dell’ascolto, del dialogo, della negoziazione con i vari attori sociali che fanno parte della comunità. Non si può semplificare un testo di orientamento pedagogico e di istruzione, riducendolo ad una forma nostalgica che rievoca una pedagogia regressiva, così come l’ha ridefinita Baldacci nel suo intervento del 2 aprile a Roma.
Cosa va presidiato nella scuola per contrastare il cambiamento che incombe?
Ci auguriamo di non cadere in questa deriva, che è comunque dietro l’angolo nella sua applicazione, tuttavia è necessario più che mai difendere la storia della nostra cultura pedagogica e le buone pratiche che i grandi maestri hanno coltivato e disseminato nelle scuole di tutto il paese!
Come affrontare la sfida della complessità? Diventa strategico più che mai educare al pensiero critico ed educare al desiderio di imparare ad imparare. Chiediamoci perché il bambino sia naturalmente predisposto ad essere pensatore critico, spinto dal desiderio di conoscenza. Cercando risposte, impara istintivamente a pensare. Purtroppo questa passione si spegne, venendo a contatto col mondo che lo educa al conformismo e all’obbedienza all’interno di un sistema ampio e ricco che vive nei limiti spesso angusti di una gabbia amministrativa e burocratica. E’ un vulnus ahimè ancora presente, che va sdoganato anche nella nostra scuola e riguarda ancora molti docenti, animati di buona volontà e certezze incrollabili! Il pensiero indipendente nella scuola non viene sempre incoraggiato, siamo realisti.
L’insegnante “magis” proposto nelle Nuove Indicazioni è l’opposto dell’immagine autorevole che dovrebbe essere, come amante del sapere e sollecitatore di entusiasmo, curiosità e desiderio. Il processo di apprendimento insegnamento si basa sulla relazione sinergica di un apprendimento attivo e interattivo tra docente e alunno, in cui il processo di conoscenza è in continua evoluzione, non è puramente trasmissivo da chi sa a chi non sa. La comunità educante è molto più vasta della dimensione esclusivamente istruttiva, contiene ed evidenzia, specialmente oggi, problematiche complesse e sfide educative e formative ineludibili. Sono sfide di integrazione, di accoglienza e soprattutto vanno viste in una relazione dinamica, dove educazione e formazione vengono coniugate secondo paradigmi che portano al riconoscimento reciproco in un lavoro comune. In questo incontro il maestro si trova ad affrontare le storture proprie e di chi ha di fronte, nell’osservazione attenta coglie l’inclinazione degli stili di apprendimento, gli ostacoli cognitivi e sociali, talenti e potenzialità, ma anche le fragilità. Acanfora in “Autismo, comunicazione &inclusione” a proposito del termine inclusione, propone di usare il termine convivenza delle differenze, perché non esiste una normalità che si deve adeguare o deformare per vivere con chi è differente. Un avvicinamento reciproco in cui ogni soggetto ha ben presente di possedere caratteristiche che lo rendono diverso, unico nella sua incompletezza. Il cuore dell’insegnamento sta qui senza che questo implichi una differenza di status.
L’intento del ministro delimita in un perimetro ristretto la funzione della scuola, mettendo a fuoco esclusivamente la necessità ineludibile dell’istruzione disciplinare. Sia chiaro, questo non è in discussione, al tempo stesso però si deve attraverso l’autonomia, dare occasioni di conoscenza, di apprendimenti interdisciplinari, offrire strumenti di scoperta, indagine, ricerca e formazione per raggiungere una valutazione autentica. Un percorso efficace permette lo sviluppo di un pensiero convergente capace di aprirsi all’uscita dal percorso formativo ad un pensiero divergente orientato alla educazione permanente. Il tutto passa attraverso il metodo creativo, inclusivo, motivante, in grado di sviluppare e sostenere il desiderio di conoscere, di aprirsi al confronto, di essere sempre disposti alla verifica per compiere scelte consapevoli su cui si basa la garanzia della libertà della persona di fare scelte, di agire con responsabilità nella società civile. Oggi il processo tecnologico ha raggiunto livelli sofisticati e difficili da acquisire nella loro logica operativa, tali da essere invasivi e pervasivi e da influenzare la forma mentis attraverso strumenti facilitanti nella fruizione che bypassano tutta la fatica della ricerca e del metodo e manipolati da algoritmi che condizionano la nostra vita, creano bisogni e desideri fittizi, dove l’immaginario e il virtuale si sostituiscono all’esperienza concreta e reale. Nell’uso continuo e quotidiano si è data un’ipervalutazione della risposta immediata e della paura dell’errore sia nei docenti sia negli studenti e in tutti i livelli della società civile
Non dimentichiamo che c’è un tempo per cogliere il problema, un tempo per mettere a fuoco il problema, un tempo per progettare la ricerca, un tempo per selezionare le possibili risposte, un tempo per sperimentare metodi e procedure, un tempo per confrontare gli esiti e per una valutazione consapevole dell’esperienza. Il tempo è un punto critico del fare scuola. Manca il tempo, si rincorre il programma, si ritaglia il tempo per le verifiche … Abbiamo bisogno di tempi distesi che mettano a fuoco potenziali per dare a tutti le stesse opportunità senza l’ansia di prestazione. Bisogna riappropriarsi del tempo della riflessione e della operatività. Anche lo strumento tecnologico è importante se c’è consapevolezza del metodo. Non va demonizzato, ma non può sostituire l’esperienza concreta, altrimenti gli apprendimenti e i concetti restano superficiali e sganciati dalla realtà.
Noi abbiamo parlato di desiderio di apprendere. I bambini di campagna avevano una cultura arcaica a contatto con un’esperienza vissuta. Potevano parlare in dialetto ma avevano la storia di una esperienza pratica, vissuta, fatta anche di sofferenza, perfino umoristica. Erano portatori di un’oralità che trasmetteva conoscenza, esperienza, concretezza. Nel racconto c’erano i gesti, la storia delle persone di famiglia, dei nonni. Si trattava, a partire dall’ascolto attento della lingua parlata, di dare senso ad una conversazione e all’uso della lingua degli alunni per condividere le testimonianza con gli altri. Il valore della nostra scuola è sempre passata dall’intuizione che anche una cultura contadina analfabeta fosse invece utile per alfabetizzarci sui valori del lavoro, della solidarietà, dei rapporti familiari, del coraggio di dare soluzione ai problemi concreti. Oggi possiamo ritrovare questa risorsa nei racconti dei bambini stranieri che vengono nel nostro paese. E’ una narrazione che affonda nell’esperienza quotidiana di una vita attiva vissuta.
E vengo ad un’ultima osservazione. La questione della lingua. Il potere della parola è quello di contribuire alla piena fioritura dell’essere umano. Se non si hanno le parole, non si hanno le competenze linguistiche per esercitare la democrazia e anche per conservarla. La cura delle nostre parole è un atto di resistenza democratica. De Mauro dice che la scuola tradizionale ha insegnato come si deve dire una cosa , la scuola democratica insegna come si può dire una cosa. Le parole esprimono l’urgenza di comprensione di ciò che siamo come individui e come membri di una società, per comprendere questo presente così diverso dal passato. La lingua è il regno delle infinite possibilità.
Dunque caro ministro scrittura e letteratura, sì ma l’educazione linguistica ha orizzonti più ampi, ci proietta in un universo comunicativo in espansione nel quale non si sostituisce e non si cancella nulla, in cui l’errore è generatore di consapevolezza. E’ uno stimolo ad ampliare i propri orizzonti linguistici, con la coscienza che questi contribuiscono a loro volta ad allargare gli orizzonti mentali, sociali ed esistenziali.