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23/12/2024

La pedagogia e l’istituzione

di M. Gloria Calì

Il concerto di Capodanno a Roma e il processo di Palermo a Matteo Salvini. Quale nesso lega questi elementi in uno stesso ragionamento? La politica, si direbbe subito. Sì, anche, ma soprattutto il concetto di “istituzione”.

Secoli di storia si sono succeduti per indagare l’idea e l’esperienza umana di “istituzione”.

Secoli che hanno portato a questo 2024 in cui si assiste all’incidente del concerto di Capodanno a Roma con l’ingaggio, poi revocato, a Tony Effe, noto trapper italiano. Chi lo ha invitato non conosceva i suoi testi? Forse è stato considerato solo il vantaggio di avere tantissimi giovani all’evento? Il suo stile si può considerare “espressione artistica”? Potrebbe partire qui un’altra occasione di apprendimento, in cui l’insegnante, aprendosi alla cultura giovanile e assumendo intenzioni educative non moralistiche, lavora su questo fenomeno attraverso l’analisi dei testi, i numeri dei seguaci del cantante, la manifestazione dell’opinione dei giovani. Noi abbiamo pubblicato già un punto di vista adulto su questi temi. 

Se si volesse ampliare lo sguardo, e coinvolgere le fasce dei preadolescenti, si potrebbe anche indagare il fenomeno della musica neomelodica, dai contenuti al loro legame con la malavita organizzata [1].

D’altra parte, il processo di Palermo a Matteo Salvini. Impedire uno sbarco di naufraghi provenienti da altri paesi può essere definita un’azione di difesa dei confini? Quali sono i termini del capo d’imputazione definito “sequestro di persona”? Volendo ampliare lo sguardo critico: quale valore si dà oggi, in una democrazia parlamentare come la nostra, alla separazione dei poteri? Ancora una volta, i curricoli dei trienni dei licei e dei tecnici potrebbero trovare spazi di esercizio, attraverso questo argomento.

Da questi esempi discende una domanda professionale: se la scuola deve occuparsi di questioni di attualità (pensiamo ai fantastiliardi di progetti e iniziative sull’educazione ambientale), quale confine deve stabilire l’insegnante riflessivo e responsabile nella scelta degli argomenti di attualità? E ancora: c’è una “verità” a cui il percorso didattico può (deve?) arrivare?
Per chi insegna ponendosi domande di senso, prima che di contenuti, gli interrogativi sono moltissimi e di non facile soluzione.

Inutile illudersi che l’insegnamento sia neutrale, e che le questioni spinose della cronaca possano essere evitate in nome del “programma”. Non c’è formula matematica o lirica greca che non costruisca una parte della personalità di chi apprende, e questa personalità può crescere con l’affinamento di strumenti da taglio o da cucito, da costruzione o da demolizione. Questa dimensione educativa, civica, dell’istruzione attraverso le discipline scolastiche è uno dei fondamenti su cui è cresciuto il CIDI, ed è stata argomentata tante volte, su questa rivista. Generazioni di docenti si sono formate con questa convinzione: il sapere scolastico è politico, anzi: Politico; serve, infatti, a costruire una dimensione di cittadinanza istruita, nella fiducia che la cultura scolastica possa alimentare una personalità consapevole, in un processo di sviluppo personale e coesione collettiva.  
Le strategie di evitamento con cui ci si rifugia su quel ramo del lago di Como per non parlare di Open Arms, anche quando praticate in buona fede, di fatto sono una rinuncia alla funzione educativa della scuola pubblica, e un conseguente scivolamento verso il conformismo, l’accettazione della realtà senza diritto di obiezione, l’individualismo cieco.

Una delle più pericolose posture professionali è, quindi, quella che propone un’idea di “sapere astratto”, valido in sé come autorità suprema, indipendente dalle persone tra cui si negozia; è quel tipo di contesto educativo in cui si determinano le frustrazioni di chi quel sapere non riesce a toccare, e le egemonie di chi usa la cultura come possesso, e di quel possesso come strumento di discriminazione tra sé e le altre persone.
Se il sapere va incarnato, reso significativo, e se riteniamo questo una priorità, nelle nostre classi devono entrare le dimensioni del tempo presente, in cui le nostre alunne e i nostri alunni si trovano, e, per evitare che restino travolt*, dobbiamo gestirne la comprensione.
Senza sottrarsi alla realtà, tuttavia l’insegnante deve scegliere quali aspetti di questo presente possono entrare nel curricolo, e, soprattutto, in che modo farli diventare situazioni di apprendimento.

Se si sceglie il contemporaneo come oggetto didattico, è chiaro che, in quanto persone, abbiamo una nostra “verità”, ma è anche vero che, se la buona fede professionale ci muove, desideriamo che nelle nostre classi si coltivi una competenza di lettura, uno spirito di curiosità che si evolva, gradualmente in atteggiamento di posizionamento consapevole rispetto alla società in cui ci si trova, e di conoscenza di sé.  Questo orizzonte formativo non dovrebbe essere un modo di essere insegnante tra gli altri, giacché sta nello spirito e nelle parole dei traguardi definiti negli ordinamenti di tutti gli ordini di scuola.

Dovrebbe perciò, essere irrinunciabile quello che si diceva prima: una proiezione civica del fare scuola, derivante direttamente dal sentirsi elemento di un’istituzione pubblica, con un dovere, quindi, di agire per dare un contributo positivo alla tenuta e, possibilmente, alla crescita della collettività stessa.
I percorsi di formazione iniziale dovrebbero lavorare molto di più in questa direzione.

Se l’insegnante si limitasse ad istruire, allora il suo compito potrebbe essere tranquillamente abolito: c’è tanta circolazione di dati e informazioni, sui mezzi di comunicazione, che nessun curricolo scolastico può competere in varietà e quantità. L’insegnante, tuttavia, attraverso la conoscenza, non è un fornitore di informazioni, ma educa chi apprende, e questo avviene in virtù della dimensione istituzionale della sua professione.
Con tutta evidenza, dal secondo dopoguerra ad oggi, questa finalità che la scuola avrebbe dovuto perseguire risulta difficilmente riconoscibile in una società che sembra priva del senso della complessità e dello spirito di coesione; sulle ragioni di ciò si potrebbe scrivere a lungo, ma una parte determinante nella scarsa possibilità trasformativa che la scuola sembra avere nella società è che la società stessa sta perdendo rapidamente fiducia in ogni dimensione pubblica, quindi istituzionale, della vita associata. I dati sull’astensionismo elettorale sono un’ulteriore conferma di questo.

Nell’essere elemento attivo di un’istituzione, l’insegnante condivide la sua funzione educativa con tutte le altre istituzioni pubbliche. Sì, perché ogni istituzione pubblica ha un’intrinseca azione pedagogica; chi lavora per la collettività, infatti, e dalla collettività dipende il suo sostentamento economico, non può farlo legittimando conflitti, esclusioni, disuguaglianze e ogni altra dinamica che non consolidi la collettività stessa, ma ne allarghi le fratture. Chi rappresenta l’istituzione deve sapere che le sue azioni non sono solo contraccambio di voti ricevuti, o manifestazioni dell’orgoglio del vincitore. L’istituzione, a seconda di come si incarna, crea una cultura diffusa, che, a differenza della cultura scolastica, non è consapevole e non è sottoposta a valutazione; ha, perciò, un valore molto più forte nel condizionare la società.

Ecco che torna quell’elemento comune tra le questioni di cronaca contemporanea che abbiamo citato all’inizio: a ben guardare, in quei fatti manca la consapevolezza del senso pedagogico dell’agire istituzionale.
Per molte ragioni, non ultima la tendenza presente a formare istituti scolastici giganteschi, i presidi sono figure molto sfumate, agli occhi della comunità che sta attorno alla scuola; sono gli insegnanti e le insegnanti, quindi, i volti di funzionari pubblici con cui interagiscono le famiglie e anche gli stessi attori, pubblici e privati, attorno alla scuola.

A noi, quindi, l’onere di dar vita al nostro compito contrattuale, dimostrando il valore formativo del sapere e educando alla cittadinanza aperta e consapevole.
A noi, soprattutto, tocca l’onore di rappresentare la Repubblica secondo Costituzione, facendoci “prossimo istituzionale”.

Note

[1] C. Ferrara, F. Petruzzella, “La mafia che canta”, Milano 2021

Scrive...

M. Gloria Calì Insegnante di lettere alla media da oltre 20 anni, si occupa di curricolo, discipline, trasversalità, con particolare attenzione alle questioni della didattica del paesaggio. Direttrice di "insegnare".

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