Tante “compagne di strada” sono intervenute al Seminario che si è tenuto a Milano a dieci anni dalla scomparsa di Daniela Bertocchi, sabato 9 Novembre. Una “strada” percorsa nella direzione di una scuola democratica, attraverso lo studio, la sperimentazione, il lavoro di gruppo, la formazione con e nelle associazioni. Si è ripercorsa la figura umana e intellettuale di Daniela attraverso i ricordi e le testimonianze di chi ha lavorato con lei e di chi ancora oggi vuole ritrovare uno slancio condividendo i saperi.
Il seminario si è snodato intorno ad una serie di domande, poste via via da Chiara Lugarini, che ha condotto la mattinata, per “riprendere” quei temi su cui si è basato il lavoro della Bertocchi.
In primo piano, la scuola: quale è il suo ruolo? Quello di centro propulsore di una educazione democratica, che promuova al suo interno il principio della responsabilità, a tutti i livelli, che parta dai bisogni degli studenti, lavorando con loro, stabilendo relazioni all’interno delle classi invece di opposizioni di fronte alle diversità. In questa prospettiva si sono mossi gli interventi di Valter Deon e Alberto Sobrero. Il primo ha affermato, mediante un rigoroso ragionamento, che “la lingua appartiene a chi la usa”, e proprio per questo deve essere custodita e curata. Il secondo ha mostrato come la piena partecipazione alla vita sociale e intellettuale possa avvenire solo attraverso lo sviluppo delle capacità linguistiche e cognitive e lo studio dei meccanismi della lingua.
Quale ruolo hanno gli insegnanti? Silvana Loiero, convinta (come Bertocchi) che l’insegnante apprende mentre insegna, ha sostenuto la centralità della formazione. In particolare, la formazione in servizio, che riguarda non solo i contenuti disciplinari, ma anche i nuovi linguaggi e le nuove tecnologie-. Secondo lo spirito delle Dieci Tesi per un’educazione linguistica democratica, l’insegnamento deve garantire la piena partecipazione alla vita sociale e intellettuale attraverso lo sviluppo delle capacità linguistiche e cognitive dei ragazzi e lo studio dei meccanismi della lingua.
Ma come deve avvenire tale studio? Attraverso la Riflessione sulla lingua, un processo di acquisizione di abilità e di scoperta di proprietà e regole di funzionamento del linguaggio, attraverso un fare scientifico, di tipo sperimentale, come scriveva la Bertocchi. Invece della lezione tradizionale (spiegazione dell’insegnante, memorizzazione e applicazione della regola) un altro modo di apprendere: dall’osservazione del fenomeno alle domande problematiche con formulazione di ipotesi fino alla loro verifica, mediante discussione in piccoli gruppi. Con i suoi Esperimenti grammaticali M. Pia Lo Duca ha mostrato come ciò si possa fare già con i bambini nei primi anni di scuola.
In quale direzione si è mossa la scuola fra ricerca e sperimentazione? Secondo M. Teresa Sarpi, dirigente al Ministero, dopo gli anni dei Nuovi Programmi della Scuola Media e delle sperimentazioni dal basso, ci sono state tante riforme, fino al superamento dei “programmi” con la formulazione di curricoli, orizzontali e verticali, articolati in competenze, abilità, obiettivi pluridisciplinari. Purtroppo, tali proposte sono state generalmente poco applicate nell’attività in classe. I cambiamenti degli anni 2000 richiedono a maggior ragione una formazione continua per un’educazione adattativa e inclusiva, davanti al neo-pluringuismo esogeno e alle nuove variabili socio-culturali, insieme all’ avanzare delle nuove tecnologie digitali.
Allora, perché - si è chiesto Mario Ambel - tante cose che negli anni ’80 erano state dette sull’educazione linguistica, come ad esempio quelle sulla comprensione dei testi, non sono diventate pratiche diffuse nella scuola? Parafrasi e riassunto venivano sostituiti dalle “giuste domande” per la comprensione, con una strategia di lettura atta a costruire il lettore competente, motivato e autonomo. Tutto questo significava insegnare a leggere una pluralità di testi per una pluralità di scopi, così che piacere e competenza non fossero separati.
Molti gli ostacoli a quel progetto: le strategie di lettura rimaste separate dalla riflessione sulla lingua e dalla scrittura (anche per scelte editoriali che le hanno mantenute in volumi diversi), la mancanza ancora oggi di una valida formazione degli insegnanti, l’uso maldestro delle prove Invalsi, nate come momento finale di un percorso di apprendimento e invece trasformate in un’occasione di addestramento. La madre di tale responsabilità, però, è stato il sistema di valutazione classificatoria, meritocratica, selettiva, mentre si trascurava la valutazione formativa e il suo ruolo centrale nell’apprendimento.
Matteo Viale ha risposto alla domanda: che cosa significa “saper leggere” oggi? Se già nel lontano 1982 secondo la Bertocchi, nella maggior parte delle scuole non c’era insegnamento della lettura dopo la conclusione della scuola elementare, ancora oggi la maggior parte degli insegnanti crede che la didattica della lettura consista nel far leggere testi, per lo più letterari, nonostante le Indicazioni Nazionali e i Quadri di Riferimento per le prove Invalsi dicano ben altro. Infatti, essendo quattro le modalità di lettura (esplorativa, selettiva, estensiva, intensiva), ognuna di esse richiede una didattica differente, perché necessita di tempi e approcci diversi. I ragazzi oggi leggono tantissimo sui loro dispositivi, ma per lo più velocemente e restando alla superficie del testo, senza praticare una lettura intensiva. Per questo, dovremo trasformare i giovani lettori da “surfisti” in lettori “palombari”!
Lettura e scrittura si intrecciano nella vita di tutti noi. A scuola quale è il senso della scrittura e come si impara a scrivere? Secondo il pensiero della Bertocchi, la scrittura è uno strumento per esercitare un pensiero creativo e critico e quindi per assumere decisioni consapevoli. Ovviamente, non una scrittura decontestualizzata, con modelli definiti, ma una scrittura che nasce in contesti motivati e motivanti. Da questa visione era nata anni fa all’interno dell’IRRE Lombardia una proposta curricolare, apparsa nel 2015 in “Italiano Lingua 2” e ora fruibile on line “Dalla Primaria al Biennio: Scrittura per comunicare, inventare, imparare”.
Ma la lingua, bene inalienabile, non deve essere intesa come una disciplina isolata, ha raccomandato Edoardo Lugarini. Per un approccio culturale di tipo scientifico, nell’insegnamento deve esserci compresenza e trasversalità della lingua e, a maggior ragione, analogia nell’approccio alla riflessione sulla lingua e nelle metodologie di insegnamento di L1, L2, L3. Proprio come ha detto Franca Quartapelle, la Carta Europea prevede la conoscenza di almeno altre due lingue oltre a quella materna. Un’educazione plurilingue, che è anche pluriculturale, è dinamica, transitoria, evolutiva, disequilibrata (nelle diverse situazioni culturali). La competenza comunicativa sta non solo nei saperi, ma anche nel saper essere e nel saper fare, cioè comunicare.
Ebbene, anche oggi dobbiamo continuare a percorrere quella “strada” indicata da Daniela Bertocchi col suo insegnamento, creare delle reti per costruire e condividere saperi e metodologie, per continuare a interrogarsi e riflettere con rigore.
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