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08/10/2023

"Alle radici della scuola della Costituzione"

di Maurizio Muraglia
Tavoli interassociativi per rilanciare dall'interno della scuola un percorso di consapevolezza e partecipazione per il cambiamento. 

Il compito è arduo, ma le quattro associazioni - AIMC, CIDI, MCE, Proteo - che si sono incaricate di affrontarlo non demordono: a Roma venerdì 6 ottobre si è realizzato l’evento auspicato dal manifesto di Aprile che lanciava il motto “Riprendiamoci la parola”.

La partecipazione, in presenza ed in remoto, purtroppo non può definirsi massiccia, ma la convention ha avuto ugualmente il merito di porre sul tappeto la madre delle questioni: la partecipazione democratica dentro le scuole.

È toccato ad Albertina Soliani il richiamo ai valori costituzionali che fondano la funzione repubblicana della scuola pubblica, con un intervento che ha evocato con forza la necessità, per la scuola, di emanciparsi da intromissioni strumentali (impunemente chiamate di solito “riforme”) della politica e di assumere lo sguardo lungo che le è proprio, guardando piuttosto al senso dell’insegnare prima ancora che al contenuto e al metodo dell’insegnamento. “La scuola deve ritrovare il senso di se stessa”, ha tuonato la relatrice, che al termine del suo intervento ha invitato l’uditorio ad un impegno incessante e ad un’elaborazione continua fino all’organizzazione di veri e propri Stati generali della scuola del tutto sganciati dalla politica.

Complementare è risultata la riflessione di Luigina Mortari, tutta centrata sulla necessità di recuperare una paideia - di ascendenza classica - volta a contrastare le derive neoliberiste e competitive che avvelenano la scuola di questo tempo. Mortari ha insistito sul riduzionismo di una scuola orientata al lavoro e di una scuola concepita per testare quantitativamente gli apprendimenti. La dimensione etico-politica non può essere estranea alla paideia scolastica, pena il ridursi della didattica a mera somministrazione di informazioni. Anche in questo intervento, una potente esortazione: occorre promuovere un’educazione che vada al cuore delle cose e per questo si rende necessaria una carta comune della scuola per l’Italia.

I rappresentanti delle associazioni e dei sindacati hanno raccolto con entusiasmo gli input delle due relatrici e nei loro interventi hanno insistito sull’urgenza di responsabilizzare gli organi collegiali della scuola, che a cinquant’anni dalla loro istituzione sembrano ridotti a dispositivi tecnici di mera ratifica di decisioni concordate in altre sedi, presidiati da oligarchie autoreferenziali. È stata messa in evidenza la necessità di un vero e proprio cambio di paradigma, che assuma come tratto costitutivo della professione docente la formazione permanente, intesa come ricerca didattica, e, in generale della cura della propria fisionomia culturale, fuori dall’ambiguità “dovere/obbligo”.

I sindacati hanno tuonato contro le ingerenze del legislatore in materia contrattuale, alla luce delle recenti misure riguardanti orientatori e tutor.

Unanime è stato l’appello ad un recupero della dialettica interna alle scuole, che sola può mutare la narrazione asfittica che vede i docenti concentrati sui propri interessi individuali e individualistici, diventati spesso incapaci di costruire l’azione didattica quotidiana fondandoli dall’impegno derivante dal dettato costituzionale. L’intenzione comune è quella di creare unità tra le realtà organizzate della scuola con la consapevolezza di essere in pochi, rispetto alla forza di azione culturale che sarebbe richiesta da questo tempo, ma di potere mettere insieme le idee rispettive in materia di cultura pedagogica e didattica (associazioni) ed organizzazione del lavoro (sindacati). Dai palazzi governativi escono miasmi pericolosi, peggiori persino di quelli che abbiamo respirato negli ultimi vent’anni, e occorre trovare aree di convergenza sulle finalità e sui processi, spazi di riflessione comune.

Fin qui l’ethos, per così dire, dell’evento romano.
Davvero i tempi sono cambiati rispetto agli anni in cui le realtà associative dei docenti muovevano i primi passi. Il fermento che caratterizzava le animate discussioni degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, che avevano il loro riverbero all’interno degli organi collegiali della scuola, sembra aver lasciato la scena alla tristezza degli adempimenti che narcotizzano la coscienza professionale senza incidere, come la scuola della Costituzione richiederebbe, sullo spessore civico della società. Il tema arduo è proprio questo: il nesso tra tessuto sociale e scuola. Quest’ultima viene sempre più sentita come via per realizzare interessi individuali piuttosto che spazio “politico” di cittadinanza, e la politica sembra sempre più orientata ad intercettare questo utilitaristico senso comune.

Per chi va controvento la strada è davvero in salita.

Scrive...

Maurizio Muraglia Docente di Lettere nei licei, formatore, già Presidente del Cidi Palermo

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