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28/05/2024

La società esiste, se la Scuola r-esiste. Per difendere la società, bisogna essere follemente umani.

di Antonella Tredicine

Aiutarci a guardare sempre ciò che va visto.
Che cos’altro chiedere a un maestro? L’abitudine allo sguardo.
F. La Porta, "Maestri irregolari"

Il rapporto conviviale, sempre nuovo, è opera di persone che partecipano alla creazione della vita sociale.
I. Illich, "La convivialità"

A proposito di nuove narrazioni, auspicate nel libro di Serughetti, un libro plurale, come lo è la Scuola, un mosaico di cura e responsabilità.

Buongiorno, mi chiamo Avenone /le vorrei far fare una piccola riflessione. / Per cominciare studio in Italia, ma non sono italiano /ho raggiunto la capacità di scriverle questo pensiero piano piano.

Provengo dal Bangladesh, il mio viaggio comincia da lì/ dopo tanti sacrifici ho avuto l'occasione di venire qui /nella mia terra non andavo a scuola /il mio percorso è iniziato qui come una goccia che dall'alto cola.

Studiando qui ho imparato molto /grazie alle maestre, professoresse e professori che bene mi hanno accolto./ Il risultato del mio studio da questa poesia si può notare /quindi ci pensi se la percentuale degli studenti "stranieri" conviene abbassare.

La Scuola è la prima forma di istituzione pubblica, luogo di incontro fra pluralità di Voci e Volti, baluardo nel “rimuovere gli ostacoli” alla piena inclusione per una società di eguali. L’esperienza dell’aula insegna a declinare l’esercizio paziente dell’ascolto e dello sguardo, educando a passare, non solo lessicalmente, dalla visione del migrante come problema, al migrante come patrimonio umano, culturale. Agire, quotidianamente, i valori primari della nostra amata Costituzione: questa la naturale vocazione della Comunità educante, al di là di percentuali inapplicabili sul nostro territorio multiculturale. 

Ascoltiamo ancora le parole-ponte di Karim, un nostro alunno con background migratorio, ma cittadino italiano dal 16 maggio del 2022:

Mio  padre desiderava molto la cittadinanza/ il nostro affetto per l'Italia era un grande speranza/ continuava a dire io aspetto, io aspetto/ alla fine l'abbiamo ottenuto perchè, per dieci anni, abbiamo mostrato rispetto.

Io sono felice di aver ottenuto questo enorme premio /sento di essere un cittadino di una Terra limpida /sento di essere un nuovo segno di questa Terra / sento di essere un altro filo d'erba di questa Terra /sento di essere una nuova onda che bagna questa amabile Terra.

Da quel giorno penso di essere entrato in una nuova vita /e, attraverso un sospiro, la mia preoccupazione è sparita.

Ogni luogo è un campo nel quale fare esperienza dell’Altro: un’aula di una scuola fatta di molte voci, storie, volti per essere vissuta, in cui nessuno è tabula rasa e pur mantenendo le sue peculiarità, ri-definisce e trasforma lo spazio in un’avventura dell’ascolto e dello sguardo che cominciano a dialogare. Come un funambolo, l’educatore deve muoversi tra gli schemi che sono alla base della sua visione del mondo e l’acquisizione di nuove conoscenze, mantenendo tuttavia la distanza che gli consenta le note dal terreno, ovvero di trans-ducere la sua esperienza.

La poesia di Karim, contro la seduttività delle proposte delle classi dominanti: "la competizione soppianta la cooperazione, l'idea di libertà modellata sulle esigenze del mercato cancella ogni preoccupazione per l'uguaglianza, la propensione individuale al rischio trasforma il sostegno verso i meno equipaggiati in una pratica umiliante non rispettosa della dignità della persona" [1].

La poesia di Karim, contro la manipolazione delle parole, contro cittadinə  concepiti come "ingranaggi di un grande meccanismo sociale formato dalla semplice somma di interessi individuali convergenti" [2].

Il Soggetto può essere letto nel duplice senso di: 1) [s]oggetto a qualcun altro, nella pluralità delle pratiche in cui il potere circola e si diffonde; 2) soggetto come colui che agisce attraverso la coscienza e la conoscenza di Sé attraverso l’Altro. Un soggetto che prende la parola affrancandosi dalla visione della società che lo ha “costruito”.

Alunnə S-oggetti dell'azione educativa?

Se l’opinione pubblica è sorda alla storia, occorre appellarci alla scuola e all’educazione per poter sperare in un nuovo e più umano futuro. La presenza dei migranti, dei rom, ci dà la possibilità di costruire una cultura plurale. Verificando colpevoli silenzi e responsabilità nel veicolare i pregiudizi, crediamo che la Storia possa, debba offrire un’esperienza del profondo atta a ripensare e contaminare la modernità, fornendo le chiavi di lettura per un’ontologia del presente ripartendo dalle “Alterità negate”.

Alla luce della manipolazione dell’immaginario, che ha sancito il confine tra “persone” e “non-persone”, dialogare con Avenone insegna a ridefinire mappe etnografiche per ri-orientare l’Educazione dal piano della conoscenza a quello del riconoscimento dell’Altro.

Le parole, lo sappiamo, possono essere muri o ponti...

Attraversare un ponte  vuol dire attraversare la Storia e i drammi che ha vissuto e vive.

L’abc della Cittadinanza agita: le parole ponte. Noi scegliamo di essere ponti. Abitando e dando valore alla fragilità preziosa delle parole [3].

Lo Stato viene letto quindi non nella sua accezione monolitica, ma come costrutto culturale che non può essere analizzato separatamente da quelli che sono i multiformi dispositivi di sorveglianza: la governamentalità, attraversando capillarmente tutta la società, produce il cittadino più adatto a soddisfare le sue politiche.

Queste riflessioni conducono a un’analisi critica, non dogmatica, del Potere e dei suoi moderni meccanismi di controllo che si esplicano attraverso ramificate strategie. Un’egemonia di un ordine sociale stratificato in cui gli elementi subordinati si allineano e aderiscono alla Norma, interiorizzano i valori dominanti, accettandoli come fatto naturale.

Se è vero che "là dove c’è potere c’è resistenza" [4] credo che la prima forma di resistenza auspicabile sia agire, con responsabilità personale, nel realizzare il bene comune: un’attività  laboratoriale mai conclusa in cui indagare come il soggetto viene costruito nell’immanenza di un dominio di conoscenze.

Qual è l’utilizzo delle analisi di Serughetti sulla situazione attuale? Ci aiutano a "produrre nuove forme di soggettività"?[5] E’ possibile articolare un’etica alternativa e una pedagogia della soggettività legate alla valorizzazione della scelta? Il soggetto sarà in grado di riconoscere e agire sulle pratiche dei dispositivi di potere?

Oggi, più di ieri, siamo chiamati a riflettere su quegli Apparati, che hanno il compito di misurare, controllare e correggere gli a-normali integrandoli in nome dell’aumento della produzione, di diffondere l’istruzione e garantire la sicurezza. Questo insieme di tecniche e istituzioni che si scompongono in procedimenti flessibili, quasi anonimi (chi è che vigila nel Panopticon?), si esercita pervasivamente e trasversalmente, assoggetta gli individui e assicura una capillare distribuzione del potere e la sua legittimazione: "la governamentalità è la melodia su cui la popolazione deve ballare"[6].

Avenone ci ricorda che il compito della Scuola è tracciare linee di fuga, muovere verso qualcosa di radicalmente altro, aprire varchi agendo all’interno dei micropoteri. Quote percentuali, ridefinizione dei curricola, valutazione meritocratica rappresentano un "addomesticamento della diversità" che rende i corpi docili e auditabili, classificando premiando, registrandone il grado di affidabilità in precipui documenti, in una dinamica logica di costi-benefici.

Contro la pervasività della governamentalità, le sue nuove e più oculate forme, il pensiero nomade decostruisce le certezze sulle quali si fondano il nostro sapere e le nostre pratiche quotidiane, attraverso la presa di coscienza delle possibilità di rivelare i limiti di chi vorrebbe plasmare il corpo sociale.

Cosa rimane dell'istruzione pubblica che, nel Novecento, era riconosciuta come "componente essenziale della costruzione di una cultura comune, ma anche il primo luogo di prevenzione e contrasto delle disuguaglianze"? [7]

Dialogare con il libro di Serughetti non conduce a risposte definitive, anzi, la sua attualità è proprio nella sua specifica attitudine a percepire le cose secondo un’altra prospettiva.

La pedagogia emancipante insegna a riappropriarci della nostra capacità di emozionarci e di tendere all’utopia del donare, genuino pensare agli altri: "ci si ripropone la prospettiva della scuola come luogo si soggettivazione, alternativa di umanità rispetto all'omologazione consumistica disumanizzante" [8].

Lasciarsi permeare dall’esperienza dell’Altro è, sempre, un’esperienza straordinaria. Vivere la scuola come un laboratorio culturale, significa agire una particolare sensibilità per cui si riesce a produrre una conoscenza del mondo più profonda di quella consentita dal senso comune: la peculiarità della Scuola che r-esiste consiste nella sua umana capacità di vivere il dubbio, di indagare rappresentazioni operando nuove inferenze e infinite possibilità di fuga alle logiche dominanti.

E' un viaggio con risoluta gentilezza quello contro il potere manipolatorio della parola, dell’immagine, delle colonizzazioni dei silenzi di coloro che non hanno voce nel sistema economico mondiale, la guerra tra il visibile e l’invisibile, diventano incessanti strumenti di rinegoziazione, di rielaborazione di tutto ciò che è rimasto non detto.

Qual è il ruolo della Scuola nella rappresentazione della realtà e quali le conseguenze sociali e politiche delle sue interpretazioni? Spinge ad essere guardinghi verso nuove forme di assimilazione, forse meno evidenti, ma culturalmente più incisive?

Come insegnanti, siamo chiamatə non ad offrire confortanti approdi, ma coordinate per ri-orientare una riflessione propensa all’ascolto della diversità, all’incontro quotidiano con l’Altro, nelle periferie d’Italia e del Mondo. Rimettere in discussione, prepotentemente, le nostre certezze, è terreno della crisi identitaria e della sospensione di ogni giudizio: solo se diveniamo soggetto e oggetto dell’educazione possiamo cominciare l’avventura interpretativa, che è traiettoria di sguardi nella quale il disorientamento iniziale necessita della distanza per poter vivificare l’incontro. Attraversare la soglia tra il consueto e l’eccezionale, il familiare e l’alieno, costringe a rivedere il senso di appartenenza fatto di legami che confermano la casa biologica, linguistica, professionale.

Dalle nostre Aule estrapoliamo comportamenti in cui le emozioni, tradotte in rappresentazione linguistica, producono senso e valori etici; ridefinendo il concetto di identità, che esprime la semplicistica frontiera dell’appartenenza, queste piccole cellule della società suggeriscono “la dimora interrogata dallo spaesamento”.

Se, come scrive Illich, "siamo talmente deformati dalle abitudini industriali che non osiamo più scrutare il campo del possibile [allora] la società conviviale riposerà su contratti sociali che garantiscano a ognuno il più ampio e libero accesso agli strumenti della comunità, alla sola condizione di non ledere l'uguale libertà altrui". [9]

La pedagogia emancipante, sottraendosi a ogni pensiero unico e utilitaristico, avversa la prevaricazione di quei sistemi, che hanno diseducato, ovvero, reso il ragazzo "incapace a capire": puramente pragmatici, lo portano ad accettare il loro insegnamento come assoluto, dando "ogni giorno una tremenda lezione di come comportarsi e pensare in una società consumistica [sviluppando la loro] ansia di normalità, la loro adesione totale e senza riserve all’orda" [10].

Muovendo dalla questione del linguaggio in rapporto all’educazione, la pedagogia emancipante invita a riflettere sul rigore nell’uso delle parole che è rigore morale e intellettuale: contro una lingua uniforme e mercificata, ci impegna a scalfire ciò che sembra acquisito, nonostante il senso di impotenza di poter cambiare l’"ordine orrendo" che si è palesato. Qual è il campo del possibile? Non un luogo, scrive Appadurai, quanto un nodo degli immaginari, delle persone, dei media: se la modernità è andata in polvere una volta per tutte, travolta dal "piacere dell’effimero che è al cuore dell’addestramento del moderno consumatore […]. Ovunque si sviluppano sacche di resistenza".[11]

Dialogare con le persone che animano la Scuola è un'avventura nel mondo frammentato, tra forme di imprigionamento e possibilità di fuga, tra la presa di parola contro la produzione in serie delle idee. Nella multiculturalità delle loro appartenenze, le nostre Aule sono luoghi naturali di mediatori in-consapevoli dell’"etica della possibilità, che significa accogliere una pluralità di visioni della buona vita"[12] che ci affrancano dalle nuove forme di egemonia culturale. Riportare la periferia al centro di un percorso umano e culturale è il necessario atto rivoluzionario, un gesto che mai troverà compimento, perché non può avere residenza l’inesausta volontà di capire e di dire

Non tornerò/ dalla periferia di Roma o del Mondo,/ secondo il destino del Figliol Prodigo, […]/ o meglio tornerò, se così è umano,/ ma andando sempre più lontano.

(P.P. Pasolini, L'uomo di Bandung)

Chiosando l'insegnamento di Tullio De Mauro in "Cancellati dalla dottrina", la Scuola r-esiste affinché ognunə fabbrichi "una lingua personale, libera, non soggetta a modelli, strumento di liberazione anziché di soggezione". Grazie Karim Mahiyad Bin, grazie a Voi, carə ragazzə, del vostro essere, in questo viaggio della conoscenza, promotori di senso perchè vi rivolgete a  tuttə, in quanto persone-mondo. Con Voi costruiamo una scuola per la cittadinanza, animata da soggetti portatori di diritti e responsabilità.

A te, costruttore di muri/ Il futuro è lì che continua ad aspettare/ e vuole che ci arriviamo cercando di volare /raggiungere un altro luogo è la nostra aspettativa / siamo pronti, siamo forti/ è la scelta decisiva.

Siamo parte di un nuovo e più umano futuro. Noi, giovani e adulti, stiamo migrando, per fortuna il nostro barcone è ancora intatto. Dialogando ci si può liberare di qualunque problema, affrontiamo un percorso insieme e soprattutto stiamo migrando dentro noi stessi.

Abbiamo lavorato con la scrittura, il disegno e con il cuore.

Ci mettiamo nei panni degli altri…e abbiamo la possibilità di esprimere le nostre idee e i nostri pensieri.

Adoriamo quello che si fa in questa scuola perché ti strappa un sorriso e ti fa riflettere molto e, secondo Noi,  è molto importante perché non ci sarebbe piaciuto stare in una scuola dove ti annoi e non rifletti su quello che succede nel mondo.

Continuiamo a prendere appunti...

La società esiste, se la Scuola r-esiste. Per difendere la società, bisogna essere follemente umani nel re-immaginare il pianeta.

Note

[1] G. Serughetti, La società esiste, tempi nuovi, Laterza Bari-Roma, 2023, p. 12

[2] Ivi, p. 40

[3] Parole e immagini: muri o ponti. Noi scegliamo di essere ponti, può essere consultato nella sua interezza nel Museo Digitale delle scuole italiane

[4] M. Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, trad. it. di P. Pasquino e G. procacci, Feltrinelli, 2004, p. 84

[5] Id, Poteri e strategie. L’assoggettamento dei corpi e l’elemento sfuggente, ed. it. a cura di P. Dalla Vigna, Milano 2005, pp. 51-52.

[6] Cfr. A. Sharma-A. Gupta (Ed.), The Anthropology of the State: a reader, Blackwell, 2006.

[7] Serughetti, cit, p. 47.

[8] M. Ambel, in Per una pedagogia emancipante. Pasolini con rustic amòur, a cura di A. Palmieri e A. Tredicine, Guida Editori, Napoli, 2022, p. 131.

[9] I. Illich, La convivialità, tr. it. di M. Cucchi, Arnoldo Mondadori, Milano 1974, p.  33

[10] Cfr., P.P. Pasolini, Lettere luterane, Garzanti, Milano, 2009, pp. 67; 73-74.

[11] A. Appadurai, Modernità in polvere, ed. it. a cura di P. Vereni, Milano 2012,  pp. 111-112.

[12]  Id., Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, tr. it. di M. Moneta e M.P. Ottieri, Milano 2014, p. 411.

 

 

Scrive...

Antonella Tredicine Laureata in Lettere e in Discipline Etno-Antropologiche, insegna Materie letterarie a Roma.

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