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16/09/2024

La revisione delle Indicazioni curricolari è già in atto! Educazione civica e non solo

di Caterina Gammaldi

L’emanazione del D.M. n. 183 del 7 settembre scorso recante le nuove Linee Guida per l’insegnamento dell’educazione civica, in sostituzione di quelle adottate con D.M. n. 35/2020 ai sensi della legge 92/19, impone una riflessione su quanto accadrà nei prossimi giorni nelle istituzioni scolastiche, impegnate come di consueto nella revisione del PTOF e una valutazione sulle scelte adottate a dir poco discutibili, contrarie alla cultura e all’esperienza della scuola democratica.

Le proposte adottate, di fatto, potrebbero orientare, senza spazi e tempi adeguati per una riflessione collegiale,  le scelte culturali e organizzative delle scuole e degli insegnanti nella logica di nuovi/vecchi argomenti in capo alle discipline coinvolte, in controtendenza  rispetto ai contributi degli esperti disciplinari e dei pedagogisti che  hanno costruito i documenti ministeriali degli ultimi anni.

Faccio qui alcune riflessioni sulla normativa richiamata nel provvedimento in questione  e sul curricolo di educazione civica  che si presenta, senza dichiararlo,  come una revisione, di fatto,  delle indicazioni curricolari vigenti.

1. La normativa di riferimento

La lettura della normativa di riferimento richiamata nel decreto (quasi nessuno legge il visto….visto … in capo alle norme)  svela l’intento del ministro e alimenta le mie perplessità. La proposta curricolare interviene, avendo a riferimento tutti i provvedimenti vigenti,  di cui riscrive porzioni consistenti (contenuti, metodi, traguardi, competenze, obiettivi di apprendimento, valutazione), ovvero le Indicazioni nazionali per la costruzione del curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (2007 – 2012) , il documento Indicazioni nazionali e nuovi scenari (2017), le Linee guida per gli istituti tecnici e professionali fino alla più recente revisione, le indicazioni curricolari destinate ai percorsi destinati agli adulti. Un esempio di come riscrivere i curricoli senza nominare gli esperti consultati! Per non parlare dei riferimenti ai provvedimenti legislativi sulla valutazione (voto di condotta) approvati ieri in Commissione cultura e vigenti già da questo anno scolastico o quelli in materia di  “competitività dei capitali, che hanno introdotto l’educazione finanziaria e assicurativa e la pianificazione previdenziale anche con riferimento alle nuove tecnologie digitali di gestione del denaro e alle nuove forme di economia  e finanza sostenibile” o quelli “per il recupero dei rifiuti in mare e nelle aree interne e per la promozione dell’economia circolare”. Leggere per credere!

Un decreto emanato senza rendere noto di quanto emerso dal monitoraggio previsto dal precedente provvedimento (era stata attuata una sperimentazione di tre anni) e non accogliendo, se non in parte, le osservazioni del CSPI che aveva reso un parere non favorevole all’unanimità nella seduta del 28 agosto scorso. Nella parte introduttiva al decreto si possono leggere i motivi di non accoglimento delle riserve contenute del CSPI. Il ministro aveva dichiarato in una intervista che nel parere ravvisava un “pregiudizio ideologico”. 

2. Il curricolo di educazione civica

E, dunque, esaminiamo le nuove Linee guida. Facendo riferimento alla legge che lo prevedeva, il ministro sceglie di definire in via definitiva (le precedenti lasciavano alle scuole le scelte)  una proposta  complessiva che coinvolge la scuola dell’infanzia, il primo e il secondo ciclo proponendo un lungo elenco di traguardi per lo sviluppo delle competenze/risultati di apprendimento e obiettivi di apprendimento, utilizzando la terminologia dei documenti ministeriali che hanno introdotto il curricolo, ma dandone un significato del tutto diverso.

A riguardo non posso non osservare che tali definizioni non tengono in alcun conto quanto scritto nei documenti da cui sono tratti. Ne ricordo alcune. Ad esempio nelle Indicazioni nazionali del 2012 con la dicitura Traguardi per lo sviluppo delle competenze si legge …”essi indicano piste culturali e didattiche da percorrere e aiutano a finalizzare l’azione educativa allo sviluppo integrale dell’allievo. Essi costituiscono criteri per la valutazione delle competenze attese”. Una scelta che, negli anni, ha portato i docenti riflessivi a sviluppare, in classe,  le attività didattico – educative secondo una prospettiva che guarda alle competenze (un mix di conoscenze, abilità e atteggiamenti), traguardi  prescrittivi per gli insegnanti quanto gli ambienti di apprendimento come hanno sottolineato più volte Italo Fiorin e il compianto Giancarlo Cerini, a cui si deve il coordinamento del gruppo di esperti che hanno scritto il testo,  accompagnando gli insegnanti nella riflessione sulla progettazione curricolare. Se leggo i verbi utilizzati nella nuova formulazione e le azioni che li accompagnano vedo praticamente impossibile enucleare le competenze a cui fare riferimento, anche in vista di una certificazione delle stesse  (v. in particolare … sviluppare atteggiamenti e comportamenti responsabili (l’altro verbo è  adottare ), interagire, rispettare, maturare  e condotte … con esplicito riferimento alle norme, ai beni materiali e immateriali, al risparmio, alla rete, al mercato, all’impresa, alle condotte dei cittadini, con particolare riferimento a tutti i comportamenti illeciti che possono derivare da un utilizzo improprio dei devices o dal mancato rispetto delle norme.

Nel secondo ciclo, sostituendo come nella norma vigente (indicazioni nazionali per i licei, Linee guida tecnici e professionali fino al decreto legislativo di revisione per l’istruzione professionale)   traguardi con competenze/risultati di apprendimento e quindi con riferimento al PECUP, tornano gli stessi verbi e temi “sensibili” che i più grandi devono conoscere e comprendere per capire il mondo in cui vivono. Un mondo ereditato su cui è bene che gli adolescenti, i giovani, gli adulti non si facciano troppe domande.

Vale la pena ricordare, inoltre, che nei documenti vigenti per ciascun campo di esperienza nella scuola dell’infanzia  si indicano i traguardi per lo sviluppo della competenza, per ciascuna disciplina nel primo ciclo  si indicano i traguardi per lo sviluppo delle competenze in quinta primaria, in terza scuola secondaria di primo grado e allo stesso modo nel secondo ciclo (primo e secondo biennio, ultimo anno). Vale la pena fare osservare che detta scelta era ed è coerente con una idea di insegnamento - apprendimento evolutivo, che procede con la gradualità e la lentezza necessaria alle diverse età. Qui non si colgono le differenze sostanziali fra la prima e la seconda infanzia e fra la prima, la seconda e la terza adolescenza, un principio pedagogico importante nella progettazione dei percorsi di insegnamento apprendimento.

Riguardo agli obiettivi di apprendimento che come è noto nelle Indicazioni … “indicano campi del sapere , conoscenze e abilità ritenuti indispensabili al fine di raggiungere i traguardi per lo sviluppo delle competenze. Essi sono utilizzati dalle scuole e dai docenti nelle loro attività di progettazione didattica, con attenzione alle condizioni di contesto didattiche e organizzative mirando ad un insegnamento ricco ed efficace. Gli obiettivi sono organizzati in nuclei tematici in relazione a periodi didattici lunghi…”. Che ne è di questa opzione pedagogica, metodologico – didattica? Nel nuovo testo il lungo elenco di obiettivi di apprendimento è solo un elenco di argomenti. Degli ambienti di apprendimento, anche essi prescrittivi, in quanto richiamano un’idea di insegnamento coerente con una impostazione curricolare -  come ha ricordato  Italo Fiorin nella sua relazione al seminario nazionale del CIDI  a  Forlì – nessuna traccia. Anche in questo caso nel nuovo documento si propone un elenco di approcci metodologico – didattici, ma senza la dovuta attenzione a principi pedagogici di rilievo. A memoria di chi legge nelle Indicazioni si va “ dal valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni, all’attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità, al favorire l’esplorazione e la scoperta, all’incoraggiare l’apprendimento cooperativo, al promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere al realizzare attività in forma di laboratorio”.  Non sono solo generici principi pedagogici. Essi sostanziano il fare scuola a tutte le età.

Come non rilevare che il numero elevato di campi di sapere e nozioni che ritroviamo nel nuovo testo sembra privilegiare un’altra idea di scuola fondata sulle conoscenze, sulle nozioni, prevalentemente quelle riferite allo sviluppo economico in nome di una pretestuosa definizione di sostenibilità. E’ di fatto un indottrinamento per stare al mondo secondo i principi dell’identità nazionale e della responsabilità personale. E’ questa la ri-nazionalizzazione dei Programmi di studio di cui si parla nelle sedi di confronto disciplinare, voluta, nel nostro paese, al tempo dell’autonomia differenziata e del premierato?

3. La valutazione

Ho già espresso, e più volte, la mia contrarietà riguardo all’attribuzione del voto di educazione civica per il suo carattere (trasversale, formativo, non riconducibile a una materia…), soprattutto ora che sarà  collegata al voto di condotta fino a prevedere prove di educazione civica per riparare in caso di comportamenti non corretti. È quanto evinco dal testo del disegno di legge AC 1830 approvato il 12 settembre in Commissione Cultura alla Camera che, già dall’anno scolastico in corso, introduce le nuove norme. Nel secondo ciclo, il voto di condotta che corrisponda a 6/10 comporterà per lo studente/la studentessa sia coinvolto nello svolgimento di attività di cittadinanza attiva e solidale, con l’assegnazione di un elaborato critico in materia e la sospensione del giudizio di ammissione alla classe successiva. C’è da chiedersi che relazione c’è fra detta valutazione sanzionatoria e la valutazione educativa.    Sono convinta, e non da ora, che la valutazione dei percorsi e dei processi  debba essere ricondotta  alla sola dimensione formativa. La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari, non può essere sanzionatoria, soprattutto nel caso dell’educazione civica, di un comportamento ritenuto inadeguato e da recuperare.

4. Costituzione, sviluppo sostenibile, cittadinanza digitale

In calcio d’angolo, nella versione definitiva, dopo i rilievi del CSPI le nuove Linee guida riprendono i tre nuclei concettuali richiamati nella legge 92/19 e nel testo delle prime Linee guida con alcune novità che meritano di essere analizzate.

Riguardo alla Costituzione, le nuove Linee guida, dopo aver ricordato che è norma “cardine” dell’ordinamento e “riferimento prioritario per identificare valori, diritti, doveri, compiti …” , sottolineano il suo “carattere personalistico”. Emerge la preoccupazione degli estensori del documento che parole come individuo o ideologia possano prevalere nel processo di costruzione degli italiani. La preoccupazione prevalente diventa l’identità italiana e di conseguenza la responsabilità individuale. Penso che tali parole non sono altro che una sottolineatura, invece, necessaria perché sono il primato dei soggetti e delle idee su cui si fonda una comunità, una società aperta e orizzontale, in cui i singoli provano a “sortirne insieme “. Colpisce la descrizione di una “scuola costituzionale” che focalizza l’attenzione sulla cultura dei doveri.
Riguardo al secondo nucleo (diventa Sviluppo economico e sostenibile) sottolineo l’enfasi sulla dimensione economica.  Certo è importante “educare i giovani ai concetti di sviluppo e di crescita”, ma bisogna intendersi su quali siano le idee alla base di questi concetti, anzitutto i modelli di sviluppo e di crescita.  I principi cardine a cui il nuovo testo si ispira sono l’iniziativa economica privata e la cultura di impresa in un tempo in cui la precarietà del lavoro (quando c’è) interpella chi governa i processi economici e finanziari a fare chiarezza e a fare scelte politiche. Mescolare temi e questioni importanti (bioeconimia, degrado, mancato sviluppo …) con l’adozione di stili di vita personali corretti e percorsi di contrasto alle devianze, indebolisce lo stesso concetto di sostenibilità, con riferimento all’Agenda 2030. Le stesse scelte che portano ad inserire, in questo nucleo, l’economia finanziaria e assicurativa, la gestione del denaro, la valorizzazione e la tutela del patrimonio privato, sono discutibili. Allontano gli studenti dalla cura del  bene “pubblico”, in cui si costruisce prioritariamente il rapporto con le istituzioni.

Riguardo all’ultimo punto (Cittadinanza digitale), pur consapevoli della pervasività delle nuove tecnologie, dell’impatto sull’apprendimento, non rassicura l’esclusivo riferimento alla vulnerabilità dei giovani, descritti come dipendenti dai devices, che andrebbero guidati nell’utilizzo. Dopo gli anni della pandemia e l’enfasi sulla didattica a distanza, si torna a proibire l’utilizzo di smartphone, tablet nel primo ciclo, sottovalutando che, quando accade, le attività sono affidate alla guida dell’adulto in classroom o in aula anche a fini di riflessione sui processi attivati e di documentazione. Curioso: ne viene legittimato l’uso solo per guidare i processi economici in atto.

Un’ultima considerazione

Non vorrei che per questa via si procedesse a una semplificazione orientata a comportamenti e atteggiamenti responsabili senza una riflessione più ampia sul tempo che i nostri studenti stanno vivendo e di cui in quanto educatori siamo tenuti a prenderci cura. Non vorrei che nella società passasse l’idea bene espressa da uno storico di eccezione – Charles Heimberg dell’Università di Ginevra – nel seminario nazionale promosso dalla Società italiana di didattica della storia lo scorso 12 luglio. Ha detto e ha scritto  “Non possiamo accettare in una società democratica che le giovani generazioni non abbiano accesso a un approccio critico alla storia”. Abbiamo, invece, bisogno di costruire, per gli allievi, a qualunque età, situazioni che consentano loro di comprendere il presente interrogando la nostra storia con gli strumenti del dubbio, del dialogo, del confronto nel gruppo dei pari e con gli adulti di riferimento.

Questa è la nostra educazione civica/alla cittadinanza. Non crediamo possibile lavorare perché i “nuovi italiani” (migranti che studiano, vivono e lavorano nel nostro paese), come ha detto, nello stesso seminario, lo storico Pietro Colla, componente dell’Osservatorio del Consiglio d’Europa sull’insegnamento (OHTE) siano orientati all’identità nazionale, così come in una battuta infelice ha detto Sarkozy: i nuovi francesi (i migranti) dovranno pensare “i miei antenati sono i Galli” . Nel nostro caso sono forse i Romani? Lo ius soli è tutta un’altra storia e ci permettiamo di sollevare la questione, in conclusione, per non dimenticare la via via italiana all’inclusione è un’altra.

Scrive...

Caterina Gammaldi A lungo docente di scuola media; già componente del CSPI

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