*il contributo costituisce la rielaborazione dell'intervento tenuto
durante il coordinamento nazionale del CIDI, a Roma il 15 Novembre 2025.
Discorrere di scuola assumendo la scuola democratica e della Costituzione come baricentro culturale, ancoraggio istituzionale, orizzonte assiologico e di senso, vuol dire legarsi non solo alla Grund Norm della Repubblica Italiana in quanto legge fondamentale dell’ordinamento giuridico, ma anche ad un progetto politico-sociale. Costituzione-democrazia-scuola costituiscono un nucleo concettuale “politico pedagogico e pedagogico politico” unitario, per cui se è minacciata la democrazia costituzionale, è allo stesso tempo posta sotto attacco anche l’istituzione scolastica [1].
Osserviamo con inquietudine l’avanzata ubiqua, solo differita nel tempo, delle democrazie illiberali e delle oligarchie tecno-politiche. Sembra prendere progressivamente forma una sorta di semi-assolutismo imprenditoriale. Il tecno-liberismo, unito a forme di neo-tradizionalismo, dichiara subdolamente o apertamente guerra al pluralismo delle idee, dei modelli di vita, dei contenuti culturali, dei modelli pedagogici e didattici. L’eletto pretende di essere sovrano nel dettare le regole e non più destinatario a sua volta di una regolamentazione. Tale deriva sembra riguardare le assemblee deliberanti ad ogni livello della sfera pubblica. Ricordiamo che le Costituzioni democratiche e antifasciste nacquero nel secondo dopoguerra come mezzi atti a contenere il potere per mezzo delle leggi. La democrazia liberale sembra essere progressivamente rimpiazzata da una tecnocrazia postdemocratica nella quale un ruolo egemonico è progressivamente incarnato dai cosiddetti “tecno-feudatari” di Silicon Valley (Peter Thiel, ad esempio, meno appariscente di altri), per i quali la democrazia è irrilevante. Il passaggio, drammatico, è dalle costituzioni di compromesso alle costituzioni dei vincitori, che pretendono persino di decidere come debba essere raccontata la storia, nazionale e non solo [2].
Scienza e tecnica non sono mai neutrali rispetto alle forze produttive, ai rapporti sociali e alla loro reciproca influenza. Le tecnologie per la comunicazione, e non solo queste, sono sempre state tecnologie politiche [3] e, più in generale, ci plasmano indipendentemente dall’uso (buono o cattivo) che se ne fa, come già ebbe modo di chiarire lucidamente Anders [4].
Quanto all’oggi: "l'esperienza umana è divenuta materia prima gratuita trasformata in dati comportamentali" [5]. Il “capitalismo della sorveglianza”, come lo definisce Zuboff, "non si ciba di lavoro, ma di ogni aspetto della vita umana" [6] ed "è riuscito a non farsi comprendere e a non chiedere il consenso a nessuno" [7]. Le operazioni effettuate dall’intelligenza della macchina "convertono la materia prima, cioè i dati, nei remunerativi prodotti algoritmici finalizzati a predire il comportamento"[8].
Lo scopo dell’estrazione dei dati comportamentali è anche legato alla "elaborazione di metodi per la modifica dei comportamenti"[9]. Secondo la studiosa siamo immersi in una logica economica parassitaria che sfrutta l’esperienza umana come materia prima per pratiche commerciali segrete di estrazione, previsione e vendita. Siamo abituati a pensare alle materie prime riferendoci per lo più a risorse naturali, quali ad esempio i metalli o i combustibili fossili. Risorse estraibili dal mondo esterno.
Nel caso che stiamo trattando le materie prime siamo noi.
Insegnare in controtempo e vivere il tempo della quotidianità scolastica come un controtempo, vuol dire insegnare (e deliberare) nei luoghi istituzionali senza porsi come obiettivo spasmodico la perfetta sincronizzazione con le esigenze imperative correnti, provando ad inserire un contrasto ritmico nell’ordine sonoro imperante, una voce capace di farsi sentire introducendo una tonalità e una direzione di senso differente. Il tempo da cui ripartire è dunque quello proprio dell’anacronismo e non quello dell’adesione sincronica secondo la ferrea logica dell’adempimento amministrativo unidirezionale. I nodi critici che insistono sull’intero ciclo della formazione, dalla scuola primaria fino al dottorato di ricerca, reclamano in primis la riappropriazione da parte degli insegnanti del loro ruolo di intellettuali pubblici, la riappropriazione da parte della scuola del suo imprescindibile compito culturale non immediatamente e precocemente orientato ai mestieri, dunque non intendendo la cultura e i saperi come forze produttive immediate.
Illuminante un passo del filologo Klemperer, studioso della lingua del Terzo Reich: "nel programma pedagogico hitleriano il nutrimento culturale e la formazione intellettuale stanno all’ultimo posto, guardati con sospetto e denigrati. Costantemente, nelle espressioni usate, è possibile avvertire il timore nei confronti dell’essere pensante, l’odio per il ragionamento"[10].
1. Il primo controtempo: la traduzione come critica dell’ideologia
Il primo controtempo, il primo anacronismo, riguarda la lingua ed è un compito di traduzione, di ricostruzione e di riappropriazione lessicale e semantica. Tradurre la neo-lingua che insiste sull’istruzione smascherandone il portato ideologico, per ricondurla alla razionalità economico-politica (non filosofica, non pedagogica) che la istituisce e la normalizza come senso comune irriflesso. Costruire un nuovo vocabolario per la scuola e per l’insegnamento, in grado di ripristinare l’autonomia linguistico-concettuale a partire dalla quale si parlano e si pensano le “cose” scolastiche. Riesaminare le parole divenute senso comune è un esercizio critico salutare, un esercizio di de-familiarizzazione. Da dove arrivano queste parole? Perché ci esprimiamo in questi termini? “Innovazione”, “competenze”, “capitale umano”, “life long learning”, “soft skills”, “hard skills”, “problem solving”, “decision making”, “facilitazione dei processi di apprendimento”... Le parole sono come minime dosi di arsenico, scriveva ancora Klemperer, "ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempi ecco rivelarsi l’effetto tossico". [11]
Nel tempo presente, la questione pedagogica, a mio avviso, si pone nei termini di una piena riappropriazione dell’intelligenza umana, la quale ha già da tempo avuto modo di apprendere la propria progressiva auto-estraniazione nei dispositivi sociali mediati e digitali. Tutto – senza sforzo - è sempre ubiquitariamente presente e riproducibile all’istante, cose, persone, saperi, informazioni, immagini, pratiche amministrative, lezioni universitarie, corsi di formazione. Il cervello apprende a delegare e, non appena si affaccia un problema alla sua mente, oppure è alla ricerca di un’informazione, anziché provare a cercare in prima istanza dentro di sé tende ad attivarsi affidandosi ad uno strumento risolutore. Che nel tempo rischia di indebolire la memoria [12].
E’ una mente già “googlizzata” quella che utilizza ChatGPT. A prevalere, inavvertita come tale, è una mancanza di fiducia in se stessi e nella propria intelligenza, una sorta di resa preventiva, perniciosa per la crescita personale. Tempo addietro Gadamer denunciava "la pervasiva incapacità di tentare una qualunque cosa secondo il proprio giudizio. Un atteggiamento del genere è diffuso ampiamente nel nostro mondo"[13].
Una soggettività incapace di giudizio è privata di intelligenza, intelligenza di sé, delle cose, del mondo. Intelligente non è chi non commette mai errori e ha sempre la risposta esatta pronta, ma chi osa commetterli, come è proprio dello scienziato popperiano [14].
La soluzione tecnologicamente assistita non comporta fatica, è rapida e da tutti indistintamente accessibile, infallibile o quasi e sempre a portata di mano, qualunque sia la domanda posta. La gratificazione è pressoché istantanea, senza tempi morti. Non c’è, non può esistere ricerca che non vada a buon fine. Può l’intelligenza umana ridursi alla sola capacità di saper utilizzare in modo conveniente la dotazione tecnologica che dà accesso illimitato alle informazioni e ai saperi pur privi di una sicura e dichiarata catena di fonti autorevoli e scientifiche? L’esperienza del non trovare quanto ricercato, perché non immediatamente raggiungibile, perché da inseguire magari a lungo e con un certo smarrimento, affrontando l’incertezza e aguzzando l’ingegno, questo tipo di esperienza rischia di uscire di scena. Con essa verrebbe meno il portato maturativo dell’incontro-scontro con la realtà spesso indocile, talvolta respingente, non collaborativa e mai al nostro servizio. Perché studiare, memorizzare, passare ore e ore sui libri? L’homunculus digitalis può affrancarsi da questi obsoleti, oltremodo lunghi e assai faticosi Lehrjahre. Il responso velocemente recapitato a domicilio restituisce inoltre un’idea di conoscenza già riassunta, schematizzata, ordinata nei suoi tratti essenziali. Il soggetto fa prima ad impossessarsi dell’essenziale già reso tale senza che sia necessario alcuno sforzo a suo carico, nessun acume o finezza particolare. Scompare il tempo che abitualmente intercorre tra il cercare e il trovare. Il tempo in cui il soggetto deve darsi da fare, deve capire come fare. La conoscenza recapitata ad uso e consumo perde la sua intrinseca complessità, problematicità e provvisorietà, la sua storia interna, assumendo le sembianze di un corpo solido e privo di dialettica.
Non sembra questo un buon nutrimento per l’intelligenza umana in formazione. L’intelligenza che disimpara ad esplorare, ad osservare, ad esaminare attentamente la relazione sé-mondo, i suoi lati sconosciuti tentando di penetrarli per conoscerli, è un’intelligenza che rinuncia a se stessa. Il pensiero rischia di degenerare "nella soluzione di compiti assegnati" e "anche ciò che non è assegnato è trattato secondo lo schema del compito" [15].
Gorz, esaminando in controluce le posizioni espresse dai precursori dell’IA, scrive: "essi non si erano mai posti la questione principale: Quella della capacità di definire i problemi da risolvere; di distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è: di scegliere, definire e perseguire uno scopo, di modificarlo alla luce di avvenimenti imprevisti; e, cosa ancora più fondamentale, la questione delle ragioni e dei criteri in virtù delle quali gli scopi, i problemi, le soluzioni vengono scelti. Da che cosa dipendono dunque queste scelte, questi criteri? Se l’intelligenza umana funziona come una macchina, chi ha definito il programma?" [16]
L’intelligenza acuta, colta e informata, avida di apprendere e capace di ragionamenti inflessibili è, non certo da oggi, una provocazione intollerabile per quei sistemi che preferiscono tenere i propri sottoposti a un basso regime intellettuale, con le menti on line disposte ad assorbire acriticamente i contenuti via via prescritti. La scuola democratica ha dunque oggi il compito di consentire – a tutti - la riappropriazione e la coltivazione dell’intelligenza umana come imprescindibile baricentro per la formazione della consapevolezza critica capace di sacrificio e di coraggio, di distinguere il ragionamento giusto da quello sbagliato, come voleva Lombardo Radice [17], e promuovendo per questa via la libertà dell’uomo.
[1]M. Baldacci, "La scuola e la Costituzione"; Carocci, Roma 2025
[2]M. De Carolis,. "Rifeudalizzazione. La mutazione che sta disintegrando le democrazie occidentali"; Gramma – Feltrinelli, Milano 2025. Un commento al volume, su insegnare, si trova a questo link.
[3] D.F. Noble, "La questione tecnologica"; Bollati Boringhieri, Torino 1993. A. Gorz, "L’immateriale. Conoscenza, valore e capitale"; Bollati Boringhieri, Torino 2003
[4] G. Anders, "L’uomo è antiquato. Vol I. Considerazioni sull’anima nell’età della seconda rivoluzione industriale". Bollati Boringhieri, Torino 2003 (1956)
[5] S. Zuboff, "Il capitalismo della sorveglianza"; Luiss, Roma 2019, p.17
[10]V. Klemperer, "LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo"; Giuntina, Firenze 2011 (1947), p. 18.
[12]M. Spitzer, "Demenza digitale"; Corbaccio, Milano, 2013
[13] A.G. Gadamer, "Bildung e umanesimo";Il Melangolo, Genova 2012, p. 76
[14]K.R. Popper, "Scienza e filosofia". Einaudi, Torino 1969, p. 136
[15]T.W. Adorno, "Minima moralia. Meditazioni della vita offesa"; Einaudi, Torino 1979 (1951), p. 235
[17]L. Lombardo Radice, "L’educazione della mente", Editori Riuniti, Roma 1962.