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13/11/2025

Rifeudalizzazione

di Giuseppe Buondonno

“La politica è regredita al Medioevo, quando regnava solo il rapporto personale. La legge sgorgava solo dalla bocca del re o di chi per lui. Oggi siamo di nuovo alla tribù…” Questo dice una magistrata avveduta al commissario Soneri, nell’ultimo romanzo di Valerio Varesi [1]. E questa lettura me ne ha richiamata, inevitabilmente, un’altra, recentissima; scrive Massimo De Carolis: “È come se le istituzioni moderne si stessero riducendo a un guscio sempre più sottile, al cui interno cresce un coacervo di forze di cui avvertiamo la distruttività, senza però riuscire né a disinnescarle né, banalmente, a spiegarle con i concetti che ci sono familiari […] Occorre un’immagine nuova o, come minimo, una nuova lente concettuale, attraverso la quale i diversi fenomeni emergenti, opachi e all’apparenza eterogenei, possano essere letti come articolazioni di un unico processo, un’unica mutazione e, in definitiva, un’unica minaccia […] E la lente adottata è l’ipotesi di una rifeudalizzazione della società, portata a erodere le istituzioni moderne dall’interno, alterando in modo sotterraneo e progressivo la logica che governa l’accumulazione sia della ricchezza sia del potere […] Un particolare tipo di sovrapposizione fra l’autorità pubblica e gli interessi privati. La particolarità sta nel fatto che l’ordine istituzionale nel suo insieme diventa (o almeno rischia di diventare) uno strumento nelle mani degli interessi privati più forti e organizzati, autorizzati a usarlo per consolidare la propria posizione di privilegio e di dominio anche a danno delle altre componenti della società e persino del mondo nel suo insieme”. [2]

Ci riguarda? Ci interessa? Intendo dire: questo processo investe anche la scuola e il sistema del sapere, nel suo complesso? A me sembra proprio di sì; persino nella metodologia operativa: l’opacità istituzionale e l’apparente eterogeneità di tanti provvedimenti, riconducibili, però, a un’unica mutazione, ad esempio.

Dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, possiamo leggere in questo nostro tempo molte delle strutture caratteristiche della società feudale: la coincidenza del potere e del possesso; la legge che diventa arbitrio; la forza che annichilisce diritti e istituzioni; la personalizzazione dei legami sociali, strutturati intorno al criterio della lealtà, più che del merito o del diritto; la frammentazione della società, fino alla sua atomizzazione. Si tratta, ovviamente, di una ri-feudalizzazione che si afferma in una società di massa, globalizzata e ad alto tasso di evoluzione tecnologica; dunque incomparabile, nelle forme esteriori, al feudalesimo storico. Ma portatrice delle stesse strutture piramidali e selettive; e infinitamente più pericolosa nelle sue potenzialità autoritarie. Dalla vicenda palestinese, a quella ucraina; dalle big tech, all’irruzione dei privati nelle scuole pubbliche; dalla destrutturazione del sistema sanitario pubblico, alle università private e telematiche; dalla precarizzazione alla competitività in ogni settore lavorativo (compresi insegnanti o ricercatori). Giù per li rami, fino al gradimento per i docenti di sostegno e al consenso informato di famiglie, sempre più clientes particolari e sempre meno soggetti democratici collettivi, tutto ci parla di una logica privatistica, lontana dalla Res-publica; tanto quanto i regni feudali lo erano dalle istituzioni pubbliche. E lo stesso concetto di nazione – costantemente evocato dalla Presidente del Consiglio – assomiglia sempre più a un feudo vassallatico; al cui interno comandano i più forti (quelli che “hanno vinto” e che esercitano il potere nelle forme e nei modi del loro arbitrio, più che della Costituzione), ma che, nelle strategie globali, obbediscono al signore feudale, che esige fedeltà in cambio di qualche prebenda.

Stiamo assistendo a un’osmosi, connivente, di logiche e interessi privati, nelle dinamiche e nelle libertà – collettive, non solo individuali - che dovrebbero essere garantite dalle istituzioni pubbliche. Qualche esempio l’ho già anticipato; facciamone qualche altro, ma, prima, ne riprendo uno: il “consenso informato” sull’educazione sessuale e affettiva: la logica è negare la libertà di insegnamento e programmazione dei docenti, perché, per questa destra neo-feudale, la famiglia è il luogo centrale dell’educazione, non la scuola delle diversità, delle pluralità, della coscienza pubblica e collettiva; ma, appunto, quella privata della famiglia, che, però, in molti casi, è esattamente quella in cui si riproducono le strutture antropologiche del patriarcato, che sono, inequivocabilmente, alla base di violenze e femminicidi. La scomposta reazione di Valditara, in Parlamento, probabilmente è stata determinata dal sentirsi messo a nudo su questo livello, dagli interventi dell’opposizione.

Ancora due esempi: nella “filiera tecnico-professionale”, tanto cara al ministro, come nella riduzione di un anno degli istituti tecnici e nel pompare gli ITS (diciamo, in sintesi, nel 4+2), lo sfondamento dei soggetti privati è palese e programmatico, coerente con la logica di fondo, su cui tornerò tra un attimo. Nel segmento dell’università e della ricerca, l’osmosi è ancora più evidente: dalle ben note pagine del PNRR, alla dipendenza, ormai strutturale di molti atenei agli interessi privati, fino allo scandalo delle università private (telematiche in particolare). Come nella sanità, nella formazione la logica è la stessa e rigorosamente coerente: il pubblico va posto al servizio degli interessi privati. È la controffensiva dei privilegi, sulla dimensione universalistica dei diritti; un regresso delle istituzioni – come, alla fine del Capitolo 5 de I Promessi Sposi, nella tavolata di Don Rodrigo, che Fra’ Cristoforo si trova davanti – a maggiordomo della sfera privata. Un rovesciamento radicale della stessa logica della sussidiarietà: da intervento del privato sociale a sostegno dei diritti, alla messa a disposizione delle istituzioni al servizio dei privilegi. E, in definitiva, di una società atomizzata e, di nuovo, piramidale. Il sapere come “bene comune” e diritto universale, dunque, non è compatibile co questa piramide di interessi privati, insieme rigida e parcellizzata. Per questo, la “scuola della Costituzione” è un ostacolo da cui liberarsi; a pezzi, ma con coerenza.

E non si pensi che rifeudalizzare la società sia in contraddizione con l’epoca globale; del resto, il feudalesimo storico, in tutte le sue sfere, poggiava proprio sulla cornice dei poteri universali, sulle loro capacità egemoniche e, nel caso, sulla loro efficienza repressiva.

 

Note

[1] Valerio Varesi, "Lago Santo", Mondadori, Milano 2025.
[2]Massimo De Carolis, "Rifeudalizzazione. La mutazione che sta disintegrando le democrazie occidentali" Gramma Feltrinelli, 2025.

Scrive...

Giuseppe Buondonno Insegnante di Lettere al Liceo Artistico di Fermo; è responsabile Scuola e Università di Sinistra Italiana.

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