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16/10/2025

Su fiducia e consenso

di Ruggero Policastro

“Come è andata oggi a scuola?”, chiede di solito il genitore. “Bene”, risponde il figlio. “Cosa avete fatto?”, insiste il primo. “Nulla”, chiude il secondo.

Talvolta la reticenza del figlio sembra fatta apposta per proteggere il genitore “sensibile”.

I miei studenti, se avessero voglia di raccontare ai loro genitori cosa hanno fatto con me nelle mattine dell’ultima settimana, dovrebbero rispondere di aver parlato di suicidio leggendo Amleto, di lussuria approfondendo la figura di Cleopatra, di genocidio leggendo le notizie di attualità. Un genitore “sensibile” potrebbe inorridire.

Talvolta, quindi, mi capita di riflettere su cosa potrebbe accadere se ai genitori fosse data la possibilità di censurarmi. Nell’epoca dei social, in cui ciascuno ritiene di avere la facoltà di criticare tutto, sarebbe strano se nessuno avesse da ridire su un lavoro così delicato come quello dell’insegnante.

Per non urtare le diverse sensibilità presenti all’interno di classi multietniche, io, docente di Lingua e letteratura italiana, dovrei insegnare solo la Lingua, cioè la grammatica, trascurando la formazione della persona nel suo insieme, l’educazione affettiva ed estetica su cui sento invece di dover lavorare. La grande letteratura, infatti, è spesso scandalosa e raramente ha perorato i valori del focolare. Basti pensare a uno dei personaggi più interessanti dell’opera più importante in lingua italiana: “né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre, né ’l debito amore / lo qual dovea Penelopé far lieta” poterono sconfiggere il desiderio dell’Ulisse di Dante di divenire esperto del mondo, e dei vizi umani, oltre che delle virtù.

Nella mia carriera nessun genitore, però, ha discusso le metodologie o i contenuti delle mie lezioni, neanche di quelle in cui si è parlato di temi complessi o scandalosi. Credo che questo sia dovuto al fatto che le famiglie ripongono fiducia in me, e questo credito non deriva solo dalla credibilità che spero di avere personalmente, ma soprattutto dalla fiducia che le famiglie, malgrado tutto, ancora ripongono nella scuola. Sono convinto, poi, che nessun genitore, neanche il più fanatico, avrebbe nulla da ridire se assistesse alle lezioni, perché tutto vi si svolge nel rispetto dei ragazzi, della loro sensibilità e dei valori presenti nella carta costituzionale, che garantisce, tra le altre cose, la mia libertà di insegnamento.

Non mi piace il DDL che reca disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico, attualmente in discussione in parlamento, in primis perché mette in discussione la necessità della fiducia dei genitori nei confronti della scuola, ponendo sotto controllo le attività che si scelgono di fare. Esso non prevede, ovviamente, che i genitori possano negare il loro consenso alla partecipazione dei figli a delle innocue lezioni di Lingua e letteratura italiana. Prevede però che le famiglie debbano autorizzare la partecipazione dei ragazzi alle lezioni di educazione affettiva e sessuale. Questo rappresenta a mio avviso un pericoloso precedente. In futuro, rischiamo di dover programmare percorsi su misura, in cui ciascuna famiglia possa riconoscersi senza mettere in dubbio le proprie convinzioni. In pratica, una scuola-algoritmo, che ripropone, come nella bolla social, quello che si vuole sentire. Una scuola in cui è vietato di parlare di suicidio, di lussuria, di genocidio. La scuola deve invece tutelare il pluralismo, di cui resta uno dei pochi presìdi.

Tutto questo mi appare inquietante, ma un altro rischio mi sembra più immediato e pericoloso: subordinando la loro partecipazione al consenso delle famiglie, molti ragazzi potrebbero non partecipare alle attività di educazione affettiva e sessuale, che invece - lo dimostrano anche i fatti di cronaca più recenti, lo dimostra il numero delle vittime di femminicidio (più di cinquanta da inizio anno) - sono indispensabili. Se lo Stato ritiene che l’educazione affettiva e sessuale sia essenziale per garantire la formazione completa del cittadino, allora quelle attività non possono essere facoltative.

Dato che il consenso informato in ambito scolastico è la trasposizione (impropria) di quello in ambito medico, mi permetto di evidenziare che l’educazione affettiva e sessuale è l’unico vaccino che abbiamo contro le violenze di genere, contro i crimini domestici, contro l’omofobia. Alcuni vaccini sono obbligatori perché difendono la comunità nel suo insieme, e soprattutto i suoi elementi più deboli, grazie all’ormai famosa immunità di gregge. Se da un lato, quindi, non mi stupisce che il disegno di legge in questione arrivi dalla stessa parte politica che ha strizzato a lungo l’occhio agli antivaccinisti, mi pare che se vogliamo difendere le vittime delle suddette violenze si debba raggiungere un’immunità di gregge che può essere perseguita solo con attività strutturate e sistematiche, che dovranno essere obbligatorie e che sono urgenti.

Scrive...

Ruggero Policastro Insegnante in un istituto tecnico e professionale di Firenze.

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