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19/06/2025

La mitologia del "nuovo" agli Esami di Stato

di Maurizio Muraglia

Quando gli studenti devono scegliere la tipologia di prova scritta all’Esame di Stato del secondo ciclo, da anni in larghissima misura scartano la prima, ovvero la tipologia A che propone loro testi letterari da analizzare. Forse è giunto il momento di chiedersi perché questo accade. La sensazione, infatti, è che l’interrogativo chiami in causa la presenza della letteratura nelle aule delle nostre scuole, e, nella fattispecie, la sua presenza nelle classi terminali.

Vorrei partire da un’opinione abbastanza diffusa che non condivido. I ragazzi non sceglierebbero la prima prova perché non sono in grado di misurarsi con testi letterari “nuovi”, cioè non presenti tra quelli trattati con la loro prof o il loro prof durante l’anno, quei testi indicati dal documento del 15 maggio che poi saranno oggetto del colloquio. E non sarebbero in grado di misurarsi con il mitico “nuovo” perché la didattica praticata durante l’anno scolastico non avrebbe dato loro quei fantomatici “strumenti” (competenze?) che li abiliterebbero a confrontarsi con qualsiasi tipo di testo. Questa spiegazione mi risulta alquanto implausibile per diverse ragioni che proverò ad esplicitare.

Il linguaggio letterario ha una sua specificità non accomunabile al linguaggio che gli studenti trovano nelle altre tipologie di testi che il ministero propone. Dinanzi al testo di un giornalista, di un magistrato, di un sociologo, di uno scienziato, se si ha contezza della tematica proposta ci si può cimentare nell’argomentazione. Si tratta di testi non soltanto, in genere, più recenti dei testi letterari proposti per la tipologia A, ma con un intento certamente non letterario ma scientifico o divulgativo. Insomma, si tratta di saggistica. Il cimento col nuovo nelle tipologie B e C può starci.

Il caso dei testi della tipologia A invece è differente. Il linguaggio letterario richiede apprendistato, competenza stilistica, coscienza dell’immaginario in cui si muove lo scrittore. Il ministero pesca in un oceano. L’oceano della letteratura prodotta in Italia nel Novecento. La percentuale di testi affrontati in classe in rapporto alla totalità letteraria credo non vada oltre l’1 per cento, perché i docenti in genere si orientano su un canone consolidato, che non trascura, che so io, Spesso il male di vivere di Montale oppure Il fu Mattia Pascal di Pirandello o ancora Il giorno della civetta di Sciascia o Le città invisibili di Calvino. Il ministero invece, da sempre, fa un altro gioco. Il gioco di andare a cercare ciò che in classe molto difficilmente si studia. Andare a scovare una poesia di Pasolini degli anni Quaranta significa sfidare gli studenti su un terreno certamente sconosciuto. Quindi ci sono più livelli di estraneità: il Pasolini poeta, il Pasolini poeta degli anni Quaranta, e quella data poesia che probabilmente neppure i tecnici ministeriali conoscevano.

Che il ministero peschi (il verbo “pescare”, diverso da “scegliere”, è volutamente polemico) nel Novecento è legittimo perché è il Novecento letterario oggetto di studio nelle quinte. Ma lo è davvero? Davvero quando il ministero suggerisce Leopardi all’inizio della quinta pensa che una prof coscienziosa possa liquidare il Giacomo recanatese in poche settimane? E poi cosa dovrebbe accadere a partire dal 1837, anno di morte di Leopardi? Dovrebbe accadere il Novecento? Di norma, il Novecento (inteso soprattutto come quel secolo in cui sono nati gli autori di cui si tratta, perché anche Verga è novecentesco se si vuole….) entra in classe grosso modo quando si comincia a tagliare il panettone, ma cosa dovrebbe accadere nel secondo quadrimestre? Dovrebbe accadere la costruzione di quegli “strumenti” che, acquisiti con Uno nessuno e centomila, consentirebbero di fare l’analisi di qualsiasi altro brano narrativo del Novecento?

Ma, al di là del tempo disponibile, siamo certi che un’operazione del genere sia comunque didatticamente plausibile? Quanto conta la specificità del contenuto studiato in classe con i prof? A me pare che conti in modo decisivo, anche quando il ministero propone il testo di un autore studiato durante l’anno. Pasolini, nella fattispecie, è stato studiato dai miei studenti durante l’anno. Ma con tutta evidenza privilegiando alcune piste, perché è vano pensare che di un autore a scuola si possa studiare tutto. Il Pasolini di Ragazzi di vita o il Pasolini degli Scritti corsari è stato esplorato, ma il Pasolini poeta no. E non si vede quali strumenti generalissimi, anche se si è avuto commercio con Montale, Quasimodo, Ungaretti o Fortini, possano consentire ai ragazzi di avvicinarsi ad una poesia novecentesca totalmente sconosciuta.

Lo studio letterario nell’ultimo anno è fatto di scelte. Su quelle scelte gli studenti si misurano e se ben spiegate e discusse in classe esse possono produrre buone capacità di analisi dei testi. Di quei testi. Che è molto difficile trasferire a testi letterari totalmente sconosciuti. E la scarsa appetibilità della tipologia A non può essere spiegata con un’incapacità generalizzata dei docenti di letteratura a praticare una didattica del transfert. Educazione letteraria non significa consegnare passpartout per qualsiasi tipo di testo. Davvero sarebbe miracoloso. La letteratura non è un territorio da cui si possono trarre presunte competenze generali di analisi del testo, e non è solo una questione di tempo, che pur ormai è divorato dalle molteplici attività che i ragazzi svolgono a latere.

Occorrerebbe forse fare un esperimento. Prendere venti insegnanti di letteratura sul territorio nazionale e sottoporre loro dei testi che non hanno mai letto. Posso anche non proseguire. La riflessione invece a mio parere deve essere un’altra, a partire da alcuni interrogativi. Che ruolo ha la letteratura nella formazione degli studenti? Quanta e quale letteratura è possibile fare a scuola e quanta e quale letteratura novecentesca è possibile studiare in un anno in cui i ragazzi sono dispersi nelle mille direzioni in cui da parecchi anni ormai la politica scolastica vuole disperderli per poi sfidarli a giugno sul testo sconosciuto? Cosa dovrebbe indurre uno studente a privilegiare la tipologia A, avventurandosi su territori inesplorati, quando le altre due tipologie offrono ampia occasione di scrivere?

Concludo. Occorrerebbe a mio parere superare la tipologia A e lasciare che le competenze in letteratura dei ragazzi si manifestino al colloquio su testi studiati, compresi, discussi, interpretati e fatti occasione di riflessione profonda. Cioè al colloquio. Lasciando perdere la roulette del testo esotico che somiglia tanto alla roulette dell’immagine o citazione con cui si inizia il colloquio per vedere se l’alunno “se la cava”. Non è questo che si deve vedere agli esami di Stato. La si finisca una volta per tutti col gioco vediamo-se-te-la-cavi-con-una-cosa-che-non-hai-mai-visto. Ci sarà tempo nella vita perché il sapere appreso giunga a quella maturazione che amiamo chiamare “cultura”, e che si eserciterà sul nuovo. Anche perché l’alunno che non se la cava sul nuovo otterrà comunque il suo diploma. Usciamo da questa ipocrisia che mescola severità centrale e buonismo locale e lasciamo che i nostri studenti facciano vedere, anche a docenti esterni, se quel che hanno appreso lo hanno realmente appreso. È già tanto che questo possa essere accaduto. Le roulettes lasciamole ai quiz televisivi e ai parolai, politici inclusi, che parlano di cose che non conoscono senza sapere di che parlano. 

 Uso a proposito degli studenti sempre il maschile universale per comodità espositiva, ovviamente senza alcun restringimento del campo. [n.d.a]

Parole chiave: esami, Esami di Stato 2025

Scrive...

Maurizio Muraglia Docente di Lettere nei licei, formatore, già Presidente del Cidi Palermo

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