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16/09/2025

Alla ricerca di risposte possibili

di Rita Bortone

Ho ascoltato con attenzione Gloria Calì e la sua riflessione su un 1° settembre che non è come gli altri. Ragionava su ciò che si sta consumando a poche miglia da noi e su ciò che accade quotidianamente nel nostro Mediterraneo, e invitava gli insegnanti ad uscire dalla propria confort zone, ad assumere un punto di vista diverso rispetto alle routine consolidate, a costruire classi come spazi per una cittadinanza che non escluda, ma includa, a promuovere saperi disciplinari che forniscano linguaggi e strumenti per aiutare le diversità ad esprimersi e a comprendersi. Invitava gli insegnanti ad un agire quotidiano che sappia guardare oltre i confini territoriali, riappropriandosi delle intellettualità individuali e riconoscendosi nelle individuali responsabilità.
Diceva che occorre che ciascuno di noi si faccia un’idea di ciò che sta accadendo, prima di decidere quale didattica adottare. Ho condiviso tutte le sue parole.

Gloria segnalava anche che il Cidi, per tradizione storica, è luogo di domande.

Anche se da molti anni non sono più in servizio e dal Cidi sono un po’ lontana, io le domande continuo a farmele, ma mi è sempre più difficile trovare risposte, perché le domande sulla scuola, oggi, mi rimandano a domande come persona e come docente che ha insegnato a figli ed alunni ad essere cittadini “del mondo”, e che ora non sa più qual è il senso di ciò che ha fatto.

Oggi, cittadina del mondo io sono costretta ad esserlo perché ho un figlio che ha lavorato in Palestina per cinque anni fino a una settimana prima del 7 ottobre, e poi è stato mandato in Siria giusto in tempo per godersi l’avanzata dei ribelli e la caduta di Assad. Cittadino del mondo, sì. Ma la “cittadinanza terrestre” che Morin ci aveva fatto desiderare è altra cosa, ed io non ne vedo più orizzonti possibili.

Ho ricordato più volte in questo periodo che quando insegnavo (più di cinquant’anni fa), per far comprendere ai ragazzi di scuola media il senso della responsabilità individuale nella Storia, facevo un disegnino alla lavagna, con una freccia orizzontale lunga che rappresentava il fluire della Storia, e con tante freccette, orizzontali anch’esse, di lunghezza diversa, che correvano in parallelo sotto e sopra alla freccia più lunga e volevano rappresentare i diversi contributi individuali alle trasformazioni storiche. Oggi non avrebbe alcun senso quel disegno, né per me, che non credo più che siano i contributi individuali a fare la Storia, né per i ragazzi, molti dei quali constatano ogni giorno la inutilità delle azioni individuali volte ad obiettivi della collettività, o frequentano le strade di un’indifferenza che forse è anche autotutela di fronte alla sofferenza e al senso di impotenza.

In sostanza ciò che mi sembra di volere, e che mi spinge a scrivere questi pensieri, non è piangere sulla contemporaneità planetaria e nazionale, ma riflettere sul fatto che forse il sistema concettuale cui noi “insegnanti democratici” abbiamo fatto riferimento negli ultimi decenni, va risignificato, ricontestualizzato, “ammodernato”, problematizzato.

Penso che i terribili anni che stiamo vivendo hanno talmente minato alla base la credibilità dei principi che sono stati il fondamento di nostri insegnamenti, orientamenti, indirizzi, che oggi non possiamo entrare in classe come se nulla fosse accaduto e predicare cose che apparirebbero bugie o utopie se confrontate con la realtà, e che potrebbero essere smentite o irrise da chiunque.
Occorrono ri-condivisioni: cosa significa oggi “cittadinanza”? Quale è il suo raggio di significazione concreta? Cosa significa “partecipazione”? Partecipare a cosa, con quale strumento, con quale finalità? Cosa significa “informazione”? Su cosa? con quali strumenti? Quali fonti? Quale credibilità? Cosa significa “democrazia”, cosa caratterizza oggi un governo democratico? Cosa significa il diritto internazionale? Cos’è? A cosa serve? E la nostra Costituzione, nata in definiti contesti, sulla base di definiti principi, per perseguire definiti obiettivi, quali principi e quali obiettivi persegue oggi nella realtà? Cosa significano oggi parole come diritto, equità, uguaglianza, persona, legge? E la ricerca scientifica cos’è? Che valore hanno, oggi, e per chi, le “verità” scientifiche? A cosa servono? Sono meglio i social o il sapere scientifico? I social sono più facili dei saperi scientifici: quali sono più utili nella vita quotidiana? E lo sviluppo di competenze? Cosa sono? A cosa servono?

Forse occorre farsi delle domande anche sulla scuola, che smascherino le ambiguità: cosa significa la parola "pluralismo" per una scuola in cui convivono posizioni che non sono confrontabili, che a vicenda non si riconoscono come legittime, che non condividono neanche i massimi principi sociali e pedagogici, che non “giurano fedeltà” a niente? Farsi domande che smascherino le prospettive verso cui si muove un sistema d’istruzione pubblico che fa l’occhiolino al privato e lo promuove, assecondando la “libertà educativa delle famiglie” e rinunciando ad una cultura nazionale fondata sulla interazione e sul confronto di punti di vista diversi, comunque supportati da saperi scientifici. Farsi domande su cosa significhi e come possa essere interpretata la “autonomia funzionale” degli Istituti scolastici in un Paese in cui le riforme ministeriali non rispondono ai bisogni della nazione, in cui insegnanti e dirigenti non si riconoscono nei dettati normativi, in cui dilaga un dettato pedagogico che appare a molti incompetente e reazionario. Farsi domande su cosa ce ne faremo, davvero e con quali strumenti, dell’intelligenza artificiale.
Al di là delle innovazioni di facciata introdotte da questo ministero e delle risibili modalità della loro introduzione, che ce ne facciamo nella scuola pubblica di una IA che ormai sa entrare anche nel nostro sistema emotivo, sa valutare ed emanare principi etici, sa diventare un ottimo interlocutore quotidiano sui temi più diversi, compresi quelli personali e sentimentali? Continueremo a piangere sul fatto che i compiti assegnati non sono più riconducibili ai singoli alunni e quindi la valutazione ecc.ecc. ? Di fronte all’aggressività ed all’aiuto invadente dell’intelligenza artificiale, continueremo a non farci domande sull’intelligenza naturale e i suoi processi, su cosa c’è dell’uomo e del suo pensiero che va preservato, tutelato, o accresciuto di fronte a questa ingombrante e insidiosissima nuova compagna di vita? La considereremo solo uno strumento in più?

E il pensiero critico, cos’è oggi il pensiero critico? Di cosa è fatto oggi il pensiero critico? Si può promuovere a scuola, oggi, il pensiero critico? Chi? Come? Con quale professionalità? Per quale formazione? Per quale uomo/donna? Per quale società? Per quale mondo possibile?

Non si tratta di scegliere o insegnare se sono cattivi gli israeliani e buoni i palestinesi o viceversa, se Trump è pazzo e se gli americani sono stupidi, se l’IA è bella o brutta, utile o dannosa: si tratta di provare a comprendere un mondo diversissimo da quello che conoscevamo o credevamo di conoscere fino a ieri, molto difficile da interpretare nella sua complessità,  molto mutevole, molto spietato nella gestione del potere e nel perseguimento del profitto, molto crudele e irrispettoso delle persone e delle vite, molto legato alla passività ed alla credulità delle masse, molto condizionato da tecnologie e da sofisticati sistemi di persuasione occulta…

Restano, nella scuola, vecchi problemi irrisolti che riguardano la didattica, la concezione del sapere, la relazione docente-alunno, il rapporto scuola-famiglia, l’educazione alla cittadinanza, la inadeguata preparazione degli studenti su aspetti fondamentali dell’istruzione, come ci dicono le indagini internazionali, ma oggi i problemi si aggravano e si moltiplicano, pongono domande difficili che restano prive di risposta, perché richiederebbero strumenti di comprensione adeguati. 

Di fronte alle aggressività degli atroci autoritarismi planetari da un lato e delle misere e incompetenti scelte nazionali dall’altro; di fronte all’avanzare della scienza e della tecnica ma anche della disinformazione, della credulità e dei negazionismi; di fronte al bisogno di relazioni e affetti ma anche di saperi solidi e funzionali alla persona nella sua interazione con la contemporaneità, credo che occorra, prima di cercare nuovi approcci alla didattica, ridefinire e ricondividere il senso e i modi dell’informazione, della partecipazione, del sapere scientifico, della cittadinanza, della democrazia, dell’essere persona fra persone, dell’essere cittadino, della libertà educativa delle famiglie. Credo che occorra ridefinire anche la funzione e le modalità di esistenza della scuola pubblica, dell’autonomia scolastica, della funzione docente e delle modalità della sua costruzione, della libertà d’insegnamento e delle condizioni e dei modi in cui essa si può realizzare.

Come diceva Gloria, occorre “farsi delle idee” prima di pensare alla didattica, e lo sforzo forse deve essere quello di ri-costruire, insieme, un sistema condiviso di significati possibili e credibili.

Ma non finisce qui: noi siamo CIDI. Qual è la funzione dell’associazionismo in questa scuola pubblica? Perché ci definiamo “associazionismo democratico”? Cosa rispondiamo alle accuse dei Valditara e dei Galli della Loggia e delle Mastrocola, a chi insomma accusa la scuola progressista di aver abbassato la qualità della cultura? Può darsi l’associazionismo democratico il compito di intercettare i nuovi bisogni, le nuove domande, i nuovi disorientamenti, le nuove sofferenze degli insegnanti, iscritti e non iscritti, e di provare insieme a trovare nuove risposte, per costruirci su una didattica consapevole e un modo d’essere docente che abbia senso oggi, per chi lo pratica e per chi ne fruisce?

Un signore che si chiamava Popper diceva che “Fino a quando molti insegnanti sono insegnanti amareggiati, amareggeranno i bambini e li renderanno infelici… Fintantoché nella scuola restano insegnanti amareggiati … la scuola non potrà diventare migliore. Noi facciamo domande non prive di amarezza, ma non siamo insegnanti amareggiati.

In realtà le vicissitudini planetarie e nazionali non suggeriscono al momento molte possibili direzioni di gioia, ma forse anche ricercare insieme e combattere insieme possono essere armi contro la tristezza, contro l’amarezza.

Su Repubblica (31 Agosto) Vanessa Roghi in un suo articolo citava un attualissimo invito di Gramsci, che mi sembra oggi adatto agli insegnanti: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”.

Non so se citare Popper e Gramsci sia accettabile e moderno e utile, ma mi sembra che il loro pensiero sia molto adatto alla complessità del momento ed alla ricerca di un senso possibile, nella esistenza privata come nell’esercizio della professionalità docente

 

 

 

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Rita Bortone

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