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18/03/2022

Il dovere di cambiare schema

di Luigi Tremoloso

Ha senso scrivere e quindi proporre di leggere qualcosa che riguardi la scuola, i suoi compiti, i suoi scopi e i suoi valori in giornate come queste, con la guerra a due passi da casa e migliaia di persone travolte dalla furia omicida di armi e di ideologie?
Spero in queste poche pagine di dimostrare che sì. Che è quasi obbligatorio. Che è obbligatorio uscire dall’affannato tran tran del lavoro quotidiano e fermarsi a pensare, se quello che si fa in classe ogni giorno serve a qualcosa, e a cosa.  E a cosa non serva, o a cosa non si fa che bisognerebbe fare.

Proprio in questi giorni, sì. Perché è in questi giorni che il senso di ciò che abbiamo attorno e facciamo ci interroga più profondamente.

La corsa al futuro
Partiamo da qualche tempo fa, da prima di questa nuova crisi della guerra e delle vicissitudini della pandemia.
Cosa abbiamo avvertito noi docenti, prima ancora che le emergenze ci travolgessero?
Dall’esterno, un senso costante e martellante di forte inadeguatezza. Una spinta ossessiva al “miglioramento degli standard formativi” - standard ovviamente sempre “esterni” e definiti da altri -. Ci siamo trovati negli anni di fronte a definizioni sempre più stringenti di ciò che conta
come Istruzione  e ciò che conta nell’istruzione.
Una declinazione continua di competenze -sempre nuove e aggiornate- e di contenuti da privilegiar
e; per tenerci all’ultimo periodo: Educazione civica, Coding, STEM, la proposta di Filosofia nei tecnici, ecc. Ma anche una lunga teoria precisa e sicura di strumenti e di modalità di lavoro.
Quanto alle finalità dell’intero percorso di istruzione sempre più ci sono stati dissolti i dubbi
: serve al giovane ad attrezzarsi al mondo del lavoro del futuro, che sarà sempre più dominato dalla tecnologia e dalla competizione.
Col corollario perdurante e pervasivo che la velocità dei cambiamenti rende il futuro molto prossimo e allo stesso tempo trasformativo. La conoscenza di oggi sarà  perciò già obsoleta domani. Perché annoiare allora i bambini e i ragazzi con dati e fatti?  I dati e i fatti sono già archiviati digitalmente e facilmente reperibili. Loro hanno invece bisogno di un insieme generale di abilità e competenze. Un concetto quello di competenza molto prossimo a quello di capacità, ma sempre più declinato operativamente nel senso di mobilitazione delle proprie conoscenze e risorse co
 gnitive finalizzate a uno scop o o un compito. Da qualche altra parte ci viene detto che l’obiettivo fondamentale è la resilienza.
La definizione delle competenze e la loro focalizzazione  sono stati un esercizio che ha impegnato dalla fine degli anni ’90 gli organism
 i politici ed economici più  autorevoli a livello globale: l’UE, l’OCSE, ecc.
L’ultimo in ordine di tempo è il World Economic Forum Education 4.0  che le ha sintetizzate, ma anche
  estese in nome della globalizzazione ai sistemi educativi di tutto il mondo.  A parere di  questo organismo, per sopravvivere nel futuro prossimo venturo sono fondamentali:

  • Competenze di cittadinanza globale (vivere in un mondo interconnesso);
  • Competenze nell’ innovazione e creatività;
  • Competenze tecnologiche;
  • Competenze interpersonali (empatia, cooperazione, negoziazione, leadership).

Possederle permetterà ai giovani di adattarsi rapidamente a un mondo -lavorativo- globale flessibile e in evoluzione continua. In una sola parola: diventare resilienti, cioè flessibili, adattabili, connessi.
Varrebbe la pena soffermarsi  un attimo a pensare a questa dimensione globale e lo faremo più avanti. Qui ci preme sottolineare il fatto che esiste, dietro il valore e l’importanza attribuita alle competenze nello sviluppo formativo, l’assunto sempre più implicito e perciò convinto -sostenuto dallo sviluppo tecnologico - che le conoscenze siano ormai reperibili ovunque e a disposizione di chiunque. 

Sempre in questi anni, a cascata,  fondazioni, organi di informazione, politici, opinionisti ci hanno raccontato questa storia del futuro, dell’innovazione, della competizione individuale e globale e dell’inadeguatezza dell’istruzione. Ma è  così vero questo mantra, questa ossessione sui magnifici e progressivi scenari del futuro?
Certo, ci sono ambiti dove la rapidità di trasformazione è avvenuta e avviene: nel mercato finanziario, nel mondo dell’informazione, nel settore della tecnologia, nel marketing, ecc. Questi settori si muovono già adesso con la sicumera di chi trasforma le decisioni prese in denaro rastrellato a livello globale.  Sì, questo è il futuro, ma il loro. Cosa ne è, invece, della precarietà lavorativa, della impossibilità per molti di mettere insieme un reddito per sopravvivere, e della mancanza di tempo per costruirsi relazioni e magari una famiglia? A questo futuro, che pure è lo stesso, anzi ne è una conseguenza, quegli organismi mondiali così importanti e così interessati alla scuola e ai giovani sembrano molto meno attenti.
Li considerano come inconvenienti di percorso, come se riguardassero non la società, ma i singoli. E
 hanno reso meno attenti anche noi.

Apprendimento e formazione/insegnamento
Quella sul futuro e sulla necessità di trasformazione del presente è una narrazione di primo livello. Riguarda la scuola, ma è rivolta alla società nel suo complesso che si vuole governata dai valori della individualità, della competitività e dal profitto in nome della logica di mercato. C’è invece una  seconda parte del racconto -più specifica - che entra pesantemente nel merito del processo di insegnamento/apprendimento. Negli anni, la centralità del processo formativo che ingloba sia la funzione della formazione che la natura dell'apprendimento si è spostata da un polo all’altro, sminuendo il peso e il ruolo attivo del docente, sul piano delle proposte e delle intenzioni, ma anche delle scelte politiche.
Perché, verrebbe da chiedersi,  c’è questa intrusione a livello globale sulle dinamiche della formazione? Perché questo bisogno di efficienza e canalizzazione sempre più precoce e sempre più orientata al singolo?   Anche questo secondo piano della narrazione ha cominciato a circolare con sempre maggiore insistenza. Recentemente sembra che il percorso si sia definitivamente compiuto, e viene affermato con sicurezza cosa è centrale a scuola.

Guardiamo nuovamente cosa propone il World Economic Forum in merito alle trasformazioni necessarie da introdurre nel campo dell’istruzione per conseguire le competenze di cui sopra:

  • Un apprendimento automatico e personalizzato: si passa da un apprendimento standardizzato, uguale per tutti, a un approccio che permetta a ciascuno di progredire secondo il proprio ritmo e le preferenze personali;
  • Un apprendimento accessibile e inclusivo: da un sistema in cui l’apprendimento è limitato a coloro che hanno la possibilità di accedere a un edificio scolastico a uno in cui tutti abbiano accesso all’apprendimento;
  • Un apprendimento collaborativo e basato su problemi: dalla distribuzione di contenuti basata su processi, a progetti e problemi, che richiedono collaborazione tra pari e rispecchiano più da vicino il futuro del lavoro;
  • Un apprendimento permanente e guidato dallo studente: da un sistema in cui l’apprendimento e le competenze riguardano una singola fase della propria vita a un sistema in cui ciascuno si prende responsabilmente in carico il proprio sviluppo che continua oltre l’età scolare.

Dalla lettura di questo breve elenco dovrebbero saltare agli occhi da un lato che l’istruzione è focalizzata sull’apprendimento: l’insegnamento, la formazione, se non scompare del tutto, diventa qualcos’altro;  d'altro lato,  leggendo nemmeno tanto tra le righe, il fatto che la scuola, come spazio fisico, potrebbe anche non esserci, e questo libererebbe lo Stato da un grosso problema: dove non ci sono scuole, non sarebbe più necessario costruirle.
In definitiva, si prefigura uno scenario per cui tocca direttamente agli studenti costruire le proprie comprensioni e sviluppare le proprie abilità.  Il compito principale degli insegnanti, viene detto e ribadito nei documenti, è fornire disposizioni attraverso le quali le operazioni cognitive possano essere attivate e sviluppate. In questo quadro, l'insegnante non trasmette saperi, ma si limita a  progettare “ambienti” al fine di facilitarne l’apprendimento. Gli studenti dovrebbero essere impegnati costantemente nella costruzione attiva di processi di adattamento all’ambiente che viene loro proposto, ed è attraverso questo che acquisirebbero le abilità e le competenze che li rendano più capaci di adeguarsi alle situazioni future.

È evidente che questa impostazione riduce anche il significato e la posizione del curricolo, che non esiste più come contenuto da trasmettere e acquisire, ma viene ridefinito come un insieme di "opportunità di apprendimento" in cui e attraverso le quali gli studenti, in modo flessibile e personalizzato, perseguono il proprio unico e specifico percorso di apprendimento.
Ci sono diverse cose che sono nascoste o sono taciute dietro questo racconto dell’apprendimento flessibile e personalizzato.

Anzitutto  che

  • gli allievi sono persone in via di sviluppo, per di più attratte da tutto il caleidoscopio di opportunità e di solleticazioni che questa società  squinterna loro davanti, sollecitando costantemente l’io di ciascuno e tutti i suoi possibili desideri;
  • l’apprendimento può divenire personalizzato perché si basa sulla raccolta massiccia e indiscriminata di dati dell’allievo, incasellandolo progressivamente da ogni punto di vista come lavoratore e consumatore.
    E a corollario di questi rischi, se ne possono rilevare altri.
  • La personalizzazione - ovvero far emergere il talento di ognuno -potrebbe condurre a una asimmetria nello sviluppo.  L’idea cioè che ciascuno possa lavorare prevalentemente ed efficientemente sul proprio specifico talento potrà sicuramente servire per poter competere con gli altri - in quello specifico campo-  in ambito lavorativo, ma il soggetto rischia di diventare una persona a una dimensione. E potrebbe essere tutt’altro che una persona equilibrata, quanto piuttosto diventare  ipercompetitiva e/o presuntuosa e/o prevaricante e/o asociale, ecc. Con riflessi generali sulla vita sociale complessiva.
  • Si ignorano le disuguaglianze delle condizioni di ingresso e si supera il problema decidendo che la responsabilità della rimozione a monte delle cause non è della società, ma dell’attivismo del singolo.Una volta che si è centrata la formazione sull’apprendimento, perché non puntare direttamente sull’autoapprendimento, con pacchetti di formazione individuali e progressivi gestiti automaticamente? Ci sono già studi e progetti finanziati e corredati di materiali in merito, con enorme risparmio per la comunità e enormi guadagni per le aziende.
  • Come abbiamo visto, la scuola come spazio fisico può anche non esserci, e allora l’insegnante - progettatore di ambienti - potrà essere tranquillamente sostituito da macchine (anche qui ci sono già investimenti e ricerche in merito).

Le crisi e la scuola
Dovrebbe risultare obbligatorio a questo punto chiedersi cosa è la scuola, che ruolo gioca nella formazione e chi decide il ruolo che deve avere.
Ci si chiede in virtù di che cosa questi organismi think tank transnazionali, debbano condizionare le politiche su una istituzione così particolare e speciale per la società come la scuola, se continuiamo ad essere in un paese democratico, come si dice nella nostra carta fondativa:  “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, dove “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Il World Economic Forum è composto nel suo consiglio direttivo in stragrande maggioranza da Presidenti e Direttori generali di multinazionali nel campo chimico farmaceutico, tecnologico, agroalimentare, petrolchimico e di cloud computing. A questi si aggiungono i Presidenti di Banche centrali, i Presidenti di gruppi finanziari e di fondi di investimento, ecc. Ė un organismo potente e autorevole, ma ideologicamente orientato a una certa visione del mondo.
Possiamo immaginare che questi poteri siano lontani e che le loro decisioni siano lente a raggiungerci. Non è per nulla così. Basta guardare la velocità con cui le loro finalità sono già state assunte in toto nella loro logica e proposte al governo e alle scuole italiane dal consorzio: Sistema  scuola Impresa Elis [1], di cui fanno parte per citare qualche esempio:  BNL-Cisco- Erg-Enel-Eni- Fincantieri- Generali Assicurazioni- Hitachi- Iren- Italtel- Oracle- Open Fibre -Sky- Snam- ecc.


In una società governata da un regime autoritario il senso della scuola viene uniformato all’ideologia del sistema.
Se tali principi sono orientati pesantemente dalla visionarietà dell’ideologia dei poteri dom
inanti (economico finanziari) - possiamo chiamarli oligarchi?- quanto sarà davvero democratica quella scuola,  o,  detto in modo più brutale, che differenza ci sarebbe tra questi ultimi e un sistema autoritario?
Ha senso porsi queste domande anche perché sta diventando sempre più evidente che questo bel mondo globale, interconnesso, sempre in crescita, dove le tecnologie fanno tutto il lavoro, dove ognuno ha tempo e possibilità di esprimersi e dare spazio alla propria creatività, e, di perciò stesso, libero e democratico, non solo non esiste, ma si è trasformato nel contrario.

Negli ultimi anni quello a cui abbiamo assistito - ossessionati da questa narrazione- è stata la perdita del controllo sui processi primari dell’esistenza:
- il cambiamento climatico - siccità ed eventi atmosferici estremi mettono a rischio le colture e le fonti di approvvigionamento;
- i
l bisogno energetico, per far funzionare il sistema che ne è emerso, è spasmodico; 
- l
’ambiente è sempre più depredato - specie estinte o minacciate di estinzione, foreste distrutte, mari inquinati-, avvelenato e reso fragile;
- le società sono sempre più in competizione e sempre più si innalza il livello e la qualità del conflitto;
- malattie devastanti, miseria e guerre destabilizzano aree sempre più estese e numerose del globo.
La pandemia e ora la guerra sulla porta di casa della parte benestante del globo - la nostra- ci dovrebbero far dubitare delle narrazioni di questi organismi internazionali e pseudoistituzionali, che pontificano su tutto.

L’aggressione militare russa non è un episodio, ma un cambiamento di fase storica. D’ora in avanti avremo un nemico oltre la porta, un potenziale aggressore. Ogni azione da questa parte del confine o dall’altra può essere pretesto per scatenare l’inferno. Quel potere economico che ci sovrasta deve solo capire quando sarà il momento più redditizio.
La stabilità, le certezze e le libertà che hanno accompagnato gli u
ltimi settantacinque anni della parte più ricca e potente del pianeta stanno crollando sotto i nostri piedi. I nostri figli e nipoti avranno un mondo tutt’altro che semplice da affrontare.
L’unica risorsa che abbiamo per pensare a un futuro diverso, sembra retorico dirlo, ma è la scuola. Occorre uscire da questa situazione di debolezza estrema dentro cui è stata cacciata.
Rivendicare il ruolo che le spetta in una società veramente democratica.

Una scuola non orientata al singolo, ma che prepara ad affrontare collettivamente l’instabilità:

  • come vivere insieme -dove ognuno è diverso - e valorizzare le differenze in scala globale;
  • come la vita collettiva possa essere sostenuta  su un pianeta con una capacità limitata di poter soddisfare tutte le esigenze, i desideri, gli sprechi e le disuguaglianze che lo abitano;
  • come prendersi cura di coloro che non sono ancora o non sono più capaci di farlo per sé stessi.

Non è possibile pensare che le priorità per imparare a sopravvivere nel mondo prossimo venturo  possano essere centrate su trattati e accordi che favoriscano fondi speculativi sulla pelle del globo e sulle sue contraddizioni; che decidano sulle conoscenze e le competenze utili al funzionamento di quella stessa economia che fa riferimento a un mercato del lavoro squilibrato e precario.
La priorità dovrebbe essere posta sulla disuguaglianza creata dalla competizione (dove si sta bene solo se si fa parte della squadra che vince) e sulla sfida a fare una economia totalmente altra.
Cioè, non in mano a chi questa economia ora governa.

Solo una classe dirigente miope non è in grado di capire che la scuola non è uno spreco e che le scorciatoie tecnologiche non risolvono, ma semmai aggravano i problemi se orientate a una logica sbagliata. Prima occorre investire sulle persone.
La scuola ha bisogno di insegnanti formati e motivati a un compito per l’istituzione più importante per la società. E non esistono, se si vuole preservare la cultura democratica,  scorciatoie tecnologiche e focalizzate sugli singoli.  
 Il tempo a scuola è tempo per conoscere la realtà concreta (altro che metaverso!), per imparare a riconoscere l’instabilità e a considerarla nelle sue dinamiche e effetti, a “sprecare” il tempo per intravvedere possibilità e per vagliarle, per governare i tanti desideri in relazione a una responsabilità a cui si è chiamati e a cui si è accompagnati. Lo possono fare solo persone adulte, responsabili a loro volta, capaci di leggere i processi, e con un ruolo di valore riconosc iuto a cui sono stati preparati.

C’è da chiedersi se bisogna aspettare che ci sia un’altra guerra totale - quella sì globale - per  capirlo.
 

Note


Vedi, al riguardo, Elis, "Il libro bianco".

Scrive...

Luigi Tremoloso Insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di I°; membro della segreteria del Cidi Torino

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