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una recensionedopo scuola

04/09/2025

Crisi e soluzioni nelle relazioni educative

di M. Gloria Calì

"Il rispetto violato" di Giombattista Amenta. Mondadori, 2025

Siamo in una fase politico-sociale in cui il governo, sulla scuola, racconta una favola noir: “c’era una volta, tanta tanta scuola fa, l’ordine, l’obbedienza, l’alunno che rispetta tutte le regole. Poi arrivarono i pedagogisti, i sostenitori dell’apprendimento come diritto e dell’insegnamento come impegno culturale, e si sono moltiplicati gli alunni che mancano di rispetto ai loro professori. Questo racconto tanto fantasioso è stato definito molto opportunamente “culto del declinismo” [1].

Per riparare a questo danno, nella favola governativa, un Vendicatore mette per iscritto che il docente è “magis” per legge, e l’alunno “minus” per punizione… voilà: la scuola diventa un macchina con rigidi ingranaggi in cui i “minores”, decretati privi di valori e di aspettative, devono muoversi evitando di essere travolti; vanno solo “trattati” attraverso un processo di schiacciamento delle loro aspirazioni e, soprattutto, del loro dissenso. Il Vendicatore e le sue schiere dichiarano guerra alle frotte di studiosi di vario ambito scientifico che hanno dimostrato quanto il dissenso sia generativo, evidenziando come, attraverso il distacco critico rispetto al passato, si costruisce un presente e un futuro sano. Si cancellino dai manuali di studio e dai sacri testi di legge decenni di esperienze di ricerca didattica, perché queste hanno dimostrato quanto è profondo e significativo l’apprendere insieme, l’apprendere tutt*. Ripristiniamo una narrazione in cui ragazze e ragazzi siano sotto un controllo rigido e compiaciuto da parte di docenti distanti. Il Vendicatore non vuole che si ascolti più la parola di chi entra in classe e porta con sé aspettative, bisogni e sofferenze: la dimensione adulta viene presentata come un traguardo da meritarsi e non un diritto normale. Appunto: l’oggetto magico del Vendicatore è il bastone del Merito.

La favola che racconta il governo è il frutto di una semplificazione gravissima del problema dei conflitti tra docenti e discenti nelle scuole, e di un ancor più grave, intenzionale, inversione di prospettiva: mentre negli ultimi decenni si è cercato di tenere al centro dei processi di insegnamento/apprendimento chi apprende, principio e fine dell’esistenza stessa della scuola pubblica, il nuovo ministro vuol mettere al centro il docente, come entità superiore che va difesa contro i cattivi comportamenti dei minori. Da qui le leggi sul voto in condotta, il decreto “Caivano”, ecc. ecc.

E’ quasi superfluo precisare che non c’è nessun intervento reale sulla professionalità in termini di percorsi formativi di lungo periodo e centrati sulla ricerca, di contrasto al precariato, di adeguamenti stipendiali, di tutto quel sistema normativo che dovrebbe incentivare il miglioramento culturale generale e gli assetti professionali specifici di chi lavora per la crescita della società, nella direzione della giustizia.

In questa favola noir in cui il nemico dell’insegnante non è l’ignoranza (sua e della sua classe) ma ogni singolo alunno, alla percezione del “pericolo” rappresentato dall’alunno contribuisce in maniera determinante la narrazione giornalistica, che amplifica, distorce, usa termini impropri: “emergenza”, “crescita esponenziale”, “devianza”.
La verità è molto più complessa, caratterizzata dalla difficoltà che vivono adolescenti e preadolescenti nel definire loro stessi, specie in un contesto fortemente stressante come quello scolastico.
Si tratta, quindi di guardare con schiettezza alle reali condizioni relazionali in campo tra docenti, allievi e allieve, di osservare un crescente problema non certo di “condotta”, ma di relazione educativa. I rapporti dissimmetrici nelle classi sono una caratteristica essenziale e in sè generativa del sistema scuola; in molti casi, questa relazione è improntata al riconoscimento reciproco, che si traduce in insegnamento-apprendimento. Talvolta, tuttavia, si manifestano situazioni di conflitto, che possono esplodere fino a raggiungere il livello dell’aggressione al docente, il quale non è “vittima”, ma ha una responsabilità essenziale, in quanto adulto consapevole e “colto”, nella costruzione di un contesto relazionale.
“Se si concentra l’attenzione soltanto sui comportamenti evidenti degli studenti, diventa difficile cogliere cosa sottendono. I comportamenti offensivi e maltrattanti variamente richiamati possono segnalare la presenza del bisogno impellente di reputazione, che può sottintendere un’idea di sé eccessivamente penosa, che può amplificare il senso di inadeguatezza, di fragilità, di vulnerabilità.” Così leggiamo a pag. 32 nel libro “Il rispetto violato – Docenti maltrattati, studenti maltrattanti” di Giombattista Amenta (Mondadori, 2025). L’autore, docente di Didattica e Pedagogia speciale presso l’Università di Messina, parte da un caso di studio molto famoso: l’episodio della docente colpita in classe da pallini sparati da una pistola ad aria compressa, e ripresa con uno smartphone. L’analisi dettagliata di tutti i passaggi di questo episodio evidenzia come sia del tutto inefficace chiedersi “che cosa dobbiamo fare di questi ragazzi?” e, successivamente, dividersi in “buonisti” e “cattivisti”. Questo approccio binario e semplificante non affronta il problema non aiuta né studenti né docenti. Nel saggio di Amenta il caso è usato come una lente per analizzare, con una solida struttura scientifica e una lunga esperienza di ricerca sul campo, la relazione educativa dai due punti di vista: quello del docente e quello dello studente, senza assegnare pregiudizialmente alcuna priorità a nessuno dei due termini della relazione, ma riconoscendo valido un approccio essenziale: considerare la classe non come uno spazio per stabilire egemonie ma un contesto di istruzione in relazione.  

Da una parte, evidenzia Amenta opportunamente, gli adolescenti cercano, nei contesti scolastici, di definire un’immagine positiva di sé, attraverso lo sguardo “esperto” dell’insegnante. Se l’insegnante non costruisce un ambiente in cui si coltivi la fiducia nelle potenzialità di ciascun alunno/a, se non esplicita riconoscimenti positivi autentici alla persona, l’individuo in apprendimento rafforzerà la convinzione che la sua difettosità sia inguaribile e cercherà di costruirsi una facciata per ottenere quel riconoscimento dai suoi coetanei. “Quanto più è povera l’idea che [l’alunno] ha di sé, tanto più abnormi e sovradimensionati, di conseguenza, possono risultare i percorsi difensivi escogitati e assunti per guadagnare reputazione”. (pagg. 32-3).

D’altra parte, c’è il ruolo del docente, che dovrebbe sapere chiaramente qual è il suo ruolo nella dinamica ad alta complessità che è la classe, popolata da persone in crescita, con poche idee confuse. Riguardo alla posizione dell’insegnante, quindi, a seguito dell’analisi di altri casi di studio e di altre ricerche, Amenta ribadisce: “Si tratta di impegnarsi per scoprire cosa funziona e di rilevare nell’alunno risorse e qualità da cui partire per aiutarlo a costruire il suo progetto di vita” (pag. 39) Possiamo aggiungere a questo punto di vista psico-pedagogico anche la consapevolezza di quanto sia importante l’uso esperto della valutazione[2] che costruisce educazione, istruzione e relazione attraverso la gestione del sapere. Valutare significa dare valore, ma non è un processo che si può attuare semplicemente desiderandolo, anche in perfetta buona fede. Una valutazione formativa (che, cioè, dia “forma” all’apprendere in una prospettiva di crescita, con lo sguardo in avanti che non venga usata come arma punitiva o come una roulette russa) è un potente sostegno alla credibilità personale dell’insegnante, alla sua autorevolezza, non certo perché la impone per legge o per morale, ma perché garantisce che l’alunno sia padrone e non schiavo del suo sapere, e quindi sia in una posizione di autonomia sia verso le proprie difficoltà, sia verso il docente stesso.

C’è quindi non una “colpa” dell’insegnante oggetto di comportamenti vessatori o maltrattanti, ma certamente una mancanza di consapevolezza di sé e del proprio ruolo, che va costruito in quel contesto classe.
Molto interessanti, a questo riguardo, sono i paragrafi relativi alle precisazioni terminologiche che Amenta propone, utili anche per porsi in una matura posizione critica rispetto alle risultanze mediatiche del tema della violenza a scuola, alimento di un discorso sulla scuola fatto di guerra tra generazioni, anziché di complessità da affrontare. L’autore analizza, quindi, l’approccio dichiarato dal Ministro nelle esternazioni in cui parla di “principio di autorità” che, come si è detto all’inizio, deriva solo da fattori esterni. “Così facendo, da una parte [l’educatore] potrebbe trovare sollievo assolvendo se stesso dal peso di eventuali errori o carenze che gli competono, dall’altra, potrebbe rischiare di non rendersi conto del potere che gli appartiene per agire attivamente sulla complessità, anziché subirla” (pag. 70).

Una delle componenti di questo potere, argomenta Amenta in più passi del saggio, è l’autenticità degli atteggiamenti del docente, anche quando si tratta di esprimere sentimenti di fragilità, di tensione o di inefficacia. Non sempre si sente parlare dei docenti nella loro integrità di persone “morbide” cioè anche fragili, ma nell’immaginario comune, avvelenato da una certa rappresentazione social, il docente deve essere accattivante, capace di usare oggetti mirabolanti con finalità pseudodidattiche, vincitore di premi… Il grande pregio del saggio di Amenta è di suggerire un’attenzione consapevole alla propria dimensione relazionale, partendo dall’assunto che una classe è un insieme di persone, non un terreno di scontro o un palcoscenico. 

Si tratta, quindi di esprimere con chiarezza e senza aggressività la propria condizione emotiva contestuale, ottenendo un doppio effetto: liberare l’adulto/a dall’obbligo “di trasformarsi per diventare come si presume di dover essere” (pag. 102) e, inoltre, “anche gli educandi possono prendere atto che vanno bene così come sono, comprese le loro eventuali fragilità, vulnerabilità, sensazione di inadeguatezza e debolezza.” (pag. 103)

“L’autorità e il rispetto nei confronti dell’educatore non derivano unicamente da posizioni che occupa o da leggi sancite per proteggerlo, ma sono profondamente radicati nella consapevolezza di sé e della responsabilità della sua condotta, nonché nella capacità di autoregolazione che ne deriva”, leggiamo sempre nello stesso libro, che, una volta concluso, lascia la certezza nella possibilità che l’insegnante non debba identificarsi come un “magis”, ma come persona tra persone, piena di umanità e portatrice di una cultura generativa, per poter restaurare la propria professionalità dentro una dimensione di complessità vitale, attraverso relazioni consapevoli e significative.

 

Note

[1]  Mila Spicola, “La scuola di ieri e quella di oggi, nel culto del declinismo”; HuffPost 31/7/2025.

[2]  Si vedano i materiali su insegnare: il video dell’incontro realizzato con il contributo di Cristiano Corsini e Andrea Ciani e il video dell’incontro realizzato con il contributo di Vincenzo Arte

Parole chiave: relazione educativa

Giombattista Amenta

"Il rispetto violato - Docenti maltrattati, studenti maltrattanti"

 

Mondadori Università, Gennaio 2025

pagg. 143, euro 14

Scrive...

M. Gloria Calì Insegnante di lettere alla media, si occupa di curricolo, discipline, trasversalità, con particolare attenzione alle questioni della didattica del paesaggio. Direttrice di "insegnare".

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